Da due anni commentatori, analisti e politici pericolosamente vicini al Cremlino descrivono la Russia come un avversario troppo forte per l’Ucraina, provando a vendere la sconfitta di Kyjiv come un destino ineluttabile, il negoziato a perdere come unica soluzione possibile. Come se un negoziato fosse una garanzia di non aggressione in futuro. Come, poi, se si potesse negoziare con il dittatore che siede al Cremlino. Abbiamo imparato a conoscere queste assurdità da propaganda filorussa semplicemente guardando la tv e leggendo i giornali italiani. Ma nel resto d’Europa o negli Stati Uniti non sempre si sta meglio di così.
La settimana scorsa il Washington Post ha rivelato che Donald Trump ha già un suo piano per risolvere il conflitto. Lo avrebbe confidato ai collaboratori durante alcune conversazioni private. Ma è sempre la stessa storia: l’Ucraina dovrebbe cedere la Crimea e il Donbas alla Russia in cambio di un cessate il fuoco. Trump, l’unico presidente antiamericano della storia degli Stati Uniti, dice da tempo di poter risolvere la situazione in un giorno solo, dice che gli basterebbero giusto ventiquattro ore. Finora si era limitato agli slogan da campagna elettorale. Adesso si scopre che ha un progetto ed è nient’altro che un tradimento all’Ucraina, all’Occidente e agli sforzi fatti in oltre due anni di resistenza.
Trump la fa facile, dice che Russia e Ucraina cercano una via d’uscita ma non vogliono perdere la faccia, quindi hanno bisogno di una exit strategy. E lui, se tornasse alla Casa Bianca, convincerebbe Volodymyr Zelensky a negoziare facendo leva sugli aiuti militari, proprio come ha già costretto il Congresso a fermare il nuovo pacchetto di aiuti (in pratica, dopo aver visto la brutalità dell’esercito russo in guerra, sarebbe una minaccia all’Ucraina). Poi avrebbe aggiunto anche la solita vecchia fesseria degli ucraini che accetterebbero di vivere sotto il regime russo. Che, appunto, è una storia che non sta in piedi.
Non è che a Trump sfuggono dei dettagli o una conoscenza approfondita della storia politica dell’Europa dell’Est. Il problema è che sembra mancargli una capacità minima di leggere l’attualità e i fatti più recenti. Forse pensa che nessuno abbia mai provato a sedersi al tavolo delle trattative negli ultimi due anni (o negli ultimi dieci, allargando lo sguardo all’annessione della Crimea del 2014). Forse è convinto che Vladimir Putin possa accontentarsi dopo un accordo di questo tipo, nonostante abbia investito tutte le risorse possibili in questa guerra. E in qualche modo deve anche pensare che lasciare Donbas e Crimea alla Russia sia una exit strategy valida per tutti: in realtà questa soluzione accontenterebbe solo Mosca. Perché lascerebbe l’Ucraina in una condizione peggiore rispetto a quella di oggi e di due anni fa, costretta a rinunciare a pezzi del suo territorio, della sua casa, delle vite dei suoi cittadini, e senza alcuna garanzia su un possibile nuovo attacco in futuro. «Accettare il controllo russo su parti dell’Ucraina amplierebbe la portata della dittatura di Putin dopo quella che è stata la più grande guerra d’invasione in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale», scrivono Isaac Arnsdorf, Josh Dawsey e Michael Birnbaum sul Washington Post.
Come qui a Linkiesta ripetiamo da molto tempo, questa guerra non può essere ridotta a una faccenda bilaterale tra Ucraina e Russia. Ecco perché la proposta di Trump sarebbe una sconfitta politica e morale anche per gli stessi Stati Uniti, che passerebbero dalla parte sbagliata della storia abbandonando il vessillo di alfiere delle democrazie liberali che in un modo o nell’altro portano avanti – prima da pionieri, poi da superpotenza – da oltre due secoli. Sarebbe una sconfitta anche per l’Europa, che troverebbe ai suoi confini orientali una Russia ancora armata, galvanizzata dal condono dei suoi crimini, pronta a perseguire la sua visione imperialista. Potrebbe essere uno scenario distopico uscito dalla penna di Aldous Huxley, Ray Bradbury o George Orwell, ma per Trump è una soluzione realistica alla guerra.
Questo ci ricorda una volta di più perché i prossimi appuntamenti elettorali sono davvero importanti, ancora più del solito. Perché l’ultima volta che gli Stati Uniti avevano avuto un candidato alla presidenza così distante dalla realtà, dai valori democratici, liberali e occidentali era il 2016 e quel candidato era lo stesso Trump di oggi. Lo stesso Trump accondiscendente con Putin. Lo stesso Trump incapace di condannare il Cremlino per l’omicidio di Alexei Navalny. Lo stesso Trump che finge di non vedere le interferenze russe nelle elezioni politiche del 2016. E così via. Mentre dall’altro lato del ring – o della tessera elettorale – c’è Joe Biden, che nel suo discorso sullo stato dell’Unione ha fatto capire chiaramente quale sia l’unica postura possibile contro un dittatore come Putin parlando di aiuti a lungo termine per l’Ucraina.
E se gli Stati Uniti possono passare da Biden a Trump in una notte, qualche rischio lo corre anche l’Europa. Difficilmente le elezioni Europee cambieranno l’assetto politico dell’Unione, ma va tenuta sotto controllo l’avanzata delle forze eversive e populiste. Il voto di giugno servirà quindi a mantenere vivo e forte il modello della società aperta e democratica, quella in cui gli ucraini vogliono entrare per sentirsi protetti dalla minaccia russa. Quella che gli ucraini hanno difeso e stanno difendendo da due anni combattendo in modo eroico, nonostante fossero in inferiorità numerica e senza armi. Allora piuttosto che immaginare soluzioni ridicole favorevoli alla Russia di Putin, sarebbe giusto fornire agli ucraini quello che chiedono, munizioni, sistemi difensivi e qualsiasi cosa che li aiuti a difendersi. E a difendere noi.