«Abitare significa appartenere a un luogo concreto», scriveva Christian Norberg Schulz nel libro che ora Electa – casa editrice italiana – ha riportato in libreria, dal titolo Genius Loci. Paesaggio, Ambiente, architettura, per poi specificare non solo che «l’uomo abita quando ha la capacità di concretizzare il mondo in edifici e cose», ma anche che l’architettura «appartiene alla poesia, suo scopo è aiutare l’uomo ad abitare». E non è mica finita, perché l’architettura, secondo l’autore, è un’arte difficile che diviene quando «un ambiente completo si rende visibile», per usare una definizione di Susanne Langer.
In generale, questo significa concretizzare il genius loci, perché «appartenere a un luogo significa avere un punto d’appoggio esistenziale, in senso concreto quotidiano». Consuetudine e famigliarità sono dunque due elementi cardine dell’abitare, quasi sinonimi di appartenenza (al territorio, alla casa, al paese). Poi, c’è un abitare in senso stretto cioè di vivere dentro un appartamento, un’abitazione, un palazzo, una città.
E se invece, parlassimo di architetture inabitabili? Lo ha fatto un curatore, Dario Dalla Lana, insieme a Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà e dell’Associazione Produttori Audiovisivi (Apa), con una mostra (fino al 29 settembre alla Centrale Montemartini di Roma) e un libro (edito da Marsilio) che raccolgono otto architetture inabitabili, raccontate da altrettanti autori. Creazioni ibride, oniriche, porte da aprire sull’immaginazione, questi edifici sono fotografati da autori come Silvia Camporesi, Francesco Jodice, Gianni Berengo Gardin, Guido Guidi, Marzia Migliora e Gianni Leone, insieme a materiale d’archivio.
Ne vengono fuori otto storie, intrise di leggende e dell’impatto che questi edifici hanno sull’immaginario collettivo. Ma tutto è partito da alcune suggestioni, come le Water Towers di New York e i teatri di posa di Cinecittà, per Sbarigia architetture inabitabili per eccellenza, anche se quotidianamente brulicano di lavoro e personaggi di finzione. In questo caso, le otto architetture nate per non essere abitate e selezionate con il rispettivo autore che si è dedicato a narrarle sono il Campanile di Curon nel lago di Resia, con Francesca Melandri; il Memoriale Brion a San Vito di Altivole (TV), con Tiziano Scarpa; torre Branca di Milano, con Gianni Biondillo; il complesso industriale del Lingotto di Torino, con Andrea Canobbio; gli ex Seccatoi del Tabacco di Città di Castello (PG), con Filippo Timi; il Gazometro di Roma con Edoardo Albinati; il Parco dei Palmenti di Pietragalla con Andrea Di Consoli, e, infine, il Grande Cretto di Gibellina con Stefania Auci.
Qualcuno di questi edifici ha delle aggravanti in fatto di abitabilità, primo fra tutti il campanile sommerso a causa di una diga, per lasciare intendere di sé, ma soprattutto della sua funzione all’interno di una comunità che non è più; ma anche il memoriale Brion, a ricordare vite passate e a fare da soglia tra il nostro mondo e un regno invalicabile agli umani, un po’ come il grandioso cretto di Burri, a coprire quella Gibellina completamente distrutta dal terremoto del Belice. Storie e fantasmi, ma anche speranze, futuri e sogni tra la Torre Branca, gioco ferroso di Giò Ponti per Milano, il Lingotto di Torino, simbolo della produzione industriale torinese (ma italiana, in realtà) in un’idea di progresso, insieme al gazometro, agli essiccatoi del tabacco (ora museo) e al parco dei Palmenti con quelle case a misura di fata, costruite per chi lavorava con gli animali.
Realtà e finzione si mescolano in un dialogo sbalorditivo, che travolge chi si trova all’improvviso davanti a quegli edifici straordinari nel loro dar voce alla fantasia. Ma per chi li conosce, per gli autori stessi che li narrano in questa occasione, non sono alieni. Anzi, sono luoghi della memoria, dell’infanzia, della paura, dell’amore, della vita e non solo. Sono anche luoghi abitabili secondo l’idea del genius loci descritta da Norberg Schulz, decisamente inabitabili: non si può risiedere in una fabbrica, né su una specie di razzo di ferro piantato al limitare del parco Sempione di Milano e men che meno in un campanile che spunta dalle acque di un lago montano, ma in senso figurato, quelle architetture ci abitano.