Calcio e politica non possono non andare a braccetto in Croazia, un paese di meno di quattro milioni di abitanti che però è reduce da due podi ai Mondiali e si è ormai imposto tra le potenze del calcio globale. C’è poco da sorprendersi se politica e pallone s’intreccino, a queste latitudini: d’altronde il leader del movimento nazionalista croato e primo presidente dopo l’indipendenza, Franjo Tuđman, era stato un dirigente sportivo negli anni Cinquanta, quando da ufficiale dell’esercito jugoslavo fu messo a presiedere il Partizan di Belgrado.
Fin dalla nascita come Stato croato autonomo, negli anni Novanta, il calcio è diventato la principale valvola di sfogo dei sentimenti nazionalisti, spesso connessi all’estremismo di destra e alle nostalgie ustascia. Il canto dei collaborazionisti nazisti Za dom spremni – considerato una versione croata del Seig Heil tedesco – è divenuto estremamente popolare in seno alla Nazionale. Nel 2013, durante una partita di qualificazione ai Mondiali, il difensore Josip Šimunić lo intonò insieme ai tifosi, per poi rispondere ai critici che, se gli creava fastidio, era un loro problema. Di nuovo, il coro è stato ripetuto dai giocatori durante i festeggiamenti per il terzo posto ai Mondiali in Qatar del 2022.
C’è dunque attesa per vedere se l’evento si ripeterà anche quest’anno agli Europei in Germania, in caso di un buon risultato della squadra. Anche perché, nel frattempo, lo scorso maggio il democristiano Andrej Plenković ha formato il suo nuovo governo dopo le elezioni del 17 aprile, ottenendo il sostegno decisivo del Movimento Patriottico guidato dall’ex-sindaco di Vukovar Ivan Penava, una persona che ha spesso legittimato l’uso del motto Za dom spremni. Per ora la Nazionale di calcio è rimasta ai margini dei discorsi politici nel paese, anche se è innegabile che molti provino a tirarla per la maglietta. A maggio, il presidente della Repubblica – il socialdemocratico Zoran Milanović – ha descritto i giocatori come il volto di un paese inclusivo, in cui nessuno viene discriminato e dove c’è «posto per chiunque». Una visione idilliaca, vista la conformazione dell’attuale governo di Plenković, che a sua volta è andato a incontrare la Nazionale prima della partenza per la Germania.
La Croazia del calcio sta a sua volta cambiando, con nuove generazioni che si affacciano alla maglia della Nazionale. Se la leva del terzo posto di Francia ‘98 era quella degli adulti che avevano vissuto la guerra, e quella del 2018 e del 2022 è stata la generazione dei ragazzi cresciuti in mezzo al conflitto, oggi metà dei convocati dal ct Zlatko Dalić sono nati dopo la fine della guerra d’indipendenza croata. Sei sono nati e cresciuti in Austria o proprio in Germania, dove ora si gioca l’Europeo. È difficile dire cosa questo possa effettivamente comportare, ma uno studio del 2021 evidenziava come i più croati giovani siano generalmente più tolleranti verso le altre etnie e la comunità LGBTQ+ rispetto alle generazioni precedenti. E, nonostante questo, tendono a essere anche meno interessati alla politica e ad andare a votare: di quale messaggio politico sarà portatrice, la Croazia del futuro?
Il ricambio generazionale è la grande incognita, in campo e fuori. Luka Modrić, il primo croato a vincere un Pallone d’Oro, è ormai prossimo ai trentanove anni, Ivan Perišić ne ha trentacinque e Marcelo Brozović, che ne compirà trentadue a novembre, è già emigrato in Arabia Saudita. Alle loro spalle, l’unico giovane che è già un grande nome è il difensore del Manchester City Joško Gvardiol. Questo Europeo dovrà dunque dimostrare che esistono nuove leve a cui i veterani possano passare il testimone, per mantenere la selezione ad alti livelli e aprire un nuovo ciclo.
In politica, intanto, questo ricambio stenta a vedersi: alle scorse elezioni europee – a cui ha partecipato un’esigua minoranza degli elettori, con un’affluenza di appena il 21 per cento – la lista della «Gen Z» guidata dalla ventiseienne Nina Skočak si è rivelata un flop. Skočak, giornalista e politologa con un grande seguito su TikTok, aveva lanciato un progetto politico volto a portare le istanze dei giovani nella politica nazionale, da cui sono finora state assenti. Un’idea ambiziosa e innovativa, ma che si è fermata poco sopra i trentamila voti, insufficienti per conquistare un seggio a Bruxelles. Il futuro politico e sportivo della Croazia, dunque, è ancora un cantiere aperto.