«Ma qui si parla di giovani, ma è un argomento vecchio», pigolava Stefania Sandrelli in quel film che, quarantaquattro anni fa, già prendeva per il culo tutti i nostri frasifattismi di oggi, “La terrazza”.
Mi è tornato in mente ieri mattina, mentre avrei voluto solo parlare di Berlusconi o di marche di fagiolini, e invece i social erano perentori nel mostrarmi decine di volte lo stesso grafico, grafico secondo il quale i giovani avevano votato al diciotto per cento il Partito Democratico, al diciassette i Cinque stelle, al sedici Alleanza Verdi Sinistra.
Come ogni dichiarazione senza riscontri, viene presa per buona (siamo pur sempre nel tempo in cui crediamo ai successi autocertificati di Netflix). Come ogni sondaggio, lo si può leggere in più modi. Quello in cui decide di servircelo l’internet è: i giovani sì che sono di sinistra.
Vorrei pure vedere. A ventitré anni non avevo alcuna intenzione di fare la fatica di andare a votare attraversando la città per raggiungere il seggio di Monteverde al quale ero ancora iscritta avendo abitato lì l’anno prima. Un amico che lavorava in quello che allora si chiamava Pds (pare preistoria, e forse lo è) mi portò in periferia in macchina, perché eravamo così giovani e convinti che persino votare ci pareva importante. C’era l’uninominale. Votai quindi il candidato che L’Ulivo (pare preistoria, e forse lo è) mi aveva imposto. Paolo Cento, detto Er Piotta. Al mio amico l’ho rinfacciato per decenni, ma d’altra parte cos’avremmo dovuto fare, a ventitré anni, se non pensare che la sinistra avrebbe salvato il mondo (da non so bene cosa, forse da sé stesso)?
Delle migliaia di volte in cui ho visto ripostare il grafico sull’esercito del surf che voterebbe per AVS, quello che mi ha fatto più ridere è uno che, alla domanda «Ma perché cazzo poi la gente cresce e vota a destra?», ha risposto «Perché inizi a lavorare e scopri cosa sia il cuneo fiscale».
E qui bisognerebbe capire a che età si intende si «diventi grandi». Se si intende quando ci si emancipa dalla gonna di mammà, di sicuro non ai ventinove anni che sono la soglia massima presa in considerazione dal sondaggio: il ventinovenne italiano non è infantilizzato oggi perché la sozza società gli offre gli stage sottopagati e lo spritz è troppo caro per pagarsi anche un affitto; lo è sempre stato, almeno da quando non ha il problema d’andare in guerra o di non saper leggere o di non avere l’acqua corrente a casa, cioè dalla mia generazione in poi.
Quando avevo vent’anni, cioè negli anni Novanta, Lidia Ravera scriveva che loro se n’erano andati di casa a costo di fare una vita di sacrifici; mentre noi, generazione di Luca Cupiello, ci facevamo portare il caffè a letto finché non avevamo come minimo un contratto da editorialisti del Corriere. Nel 2001, il rotocalco televisivo statunitense “60 minutes” chiedeva a Franco Ferrarotti se fosse normale che i trentenni e i quarantenni italiani vivessero con la mamma, e lui rispondeva certo, dal punto di vista italiano è normale.
La principale differenza, adesso che le mamme siamo diventate noi, è che ora le generazioni che vivono sulle spalle di quelle precedenti sono (almeno) due alla volta. Non ho neanche un’amica il cui tenore di vita e le scuole private dei cui figli non vengano pagate dai nonni: «che fine farà questo paese quando finiranno i risparmi di famiglia?» mi pare una domanda più interessante di «perché ai ventenni l’ecologia interessa più delle pensioni?», ecco.
Oppure, a voler fare domande sensate, si potrebbe chiedere: ma siete sicuri di questa scommessa di far votare gente cui non s’è finito di formare il cervello, nei sondaggi autocertificati votano per chi almeno scarcera gente ma come la mettiamo con la realtà, dove quelli che han fatto votare i sedicenni si son ritrovati con la vittoria dei neonazisti? (In Turingia, prendo il dato dal podcast di Cecilia Sala, il quarantasei per cento di chi ha meno di venticinque anni ha votato Alternative für Deutschland. Sala ha ventott’anni, quindi non le potete come a me rimproverare d’avercela con l’esercito del surf perché ne invidia le chiappe ancora sode).
Una ventunenne scrive su Twitter, o come si chiama ora, «Che poi il problema manco sono i vecchi che almeno un minimo di memoria storica forse ce l’hanno ancora ma i cinquantenni privilegiati cresciuti col boom economico». Ah vedi, io pensavo d’esser cresciuta con la crisi petrolifera, l’austerity, la tv che non trasmetteva dopo una cert’ora così non sprecavamo energia a tenerla accesa (oggi cosa farebbero, sequestrerebbero il wifi lasciandoli senza Netflix? Allora sì che fanno la rivoluzione). E invece: il boom.
E quindi niente, è per il boom, per il mio grasso benessere, per il mio non essere stata la generazione più vessata della storia dell’uomo, per l’avere avuto solo qualche attentato bombarolo con qualche decina di morti a volta, e qualche esplosione di centrale nucleare dalle conseguenze ignote, robetta al posto del trauma di fare lezione su Zoom, è perché non temprata dalla vita che non ho votato quelli che una cosa concreta facevano, e quella cosa concreta non era farci staccare i tappi dalle bottiglie di plastica ma far restare Ilaria Salis fuori di galera.
Ma tutto questo sarà presto preistoria, e io ieri cercavo negli archivi dei giornali il dato esatto riguardo ai tre leggendari milioni di preferenze che prese Silvio Berlusconi nel 1999, e trovavo grandi delusioni perché in quelle europee lì L’asinello era riuscito a eleggere solo Enzo Bianco e Cacciari.
Le preferenze a Roma, nel 1999, davano primo Fini, secondo Berlusconi, terzo Veltroni, e non solo sembra preistoria e lo è, ma i due vivi fanno un effetto più preistorico del morto. Veltroni commentava così il risultato dei Ds: «È come, spiega Walter Veltroni, se improvvisamente al supermarket fossero apparse tante qualità di fagiolini. Una volta c’era un marchio solo, adesso il consumatore ha l’imbarazzo della scelta. I fagiolini sono i tanti partiti che affollano il centrosinistra». L’asinello, Gianfranco Fini, i fagiolini. Quanta preistoria ha fatto in tempo a sembrarci presente e cogente. Ma, soprattutto, le cose che si potevano dire cinque elezioni europee fa senza ritrovarsi per settimane irrisi in meme coi fagiolini.
È cambiato tutto, tranne le frasi fatte che sono diventate tali perché un qualche nucleo di realtà ce l’avevano, tra cui quella sul nascere incendiari e morire pompieri: certo che i giovani o son di sinistra o son neonazisti, l’anomalia sono i giovani moderati.
L’unica analisi utile mi pare stia in un’altra frase sempre di quel film, “La terrazza”, in cui gli intellettuali parlavano per citazioni, e quindi la frase era una citazione ma non ricordo mai di chi, di Benedetto Croce, di Eduardo De Filippo, di Bobby Solo, non lo so, ma è la risposta che mi viene in mente di fronte a questi dibattiti: i giovani hanno solo il dovere di invecchiare.