Nella notte dello spoglio, Giorgia Meloni si è presentata ai giornalisti per commentare il suo successo elettorale ma soprattutto per esprimere il suo entusiasmo per il ritorno del bipolarismo in Italia. Non ha detto nulla su cosa accadrà adesso in Europa, su quale piatto della bilancia farà pesare i suoi (tanti) voti, se darà una mano a Ursula von der Leyen. Anche ieri si è tenuta vaga, ma è pronta a trattare per avere un portafoglio pesante per il commissario europeo che spetta all’Italia.
Ursula von der Leyen dovrà sudarsi il suo voto. Giorgia alza la posta. È chiaro che vorrebbe riconfermare l’esponente tedesca del Partito Popolare. Non può dirlo adesso perché sono ancora duri i veti nei confronti dei Conservatori da parte dei Socialisti e dagli stessi Liberali che costituisco la vecchia maggioranza Ursula. Anche le elezioni alle quali Emmanuel Macron ha chiamato la Francia congelano le scelte.
E allora Meloni preferisce interpretare i voti in chiave interna, sottolineando la crescita del consenso dei partiti della coalizione di governo come se avessimo votato per il parlamento italiano. Non parla del bipolarismo europeo, di quella spaccatura tra la destra montante e il centrosinistra che finora ha governato a Bruxelles. È più facile e comodo dire che qui da noi sta tornando il bipolarismo che vede la sua parte sommare oltre il quarantacinque per cento dei voti mentre dall’altra volta attorno a Elly Schein c’è il deserto dell’harakiri liberal-democratico, l’inesorabile decadenza dei Cinquestelle, la rifondazione rossoverde. Ma nel bipolarismo europeo lei non sta dalla parte del più forte come a Roma.
Quando sposta lo sguardo oltre confine il discorso è completamente diverso. Meloni dovrà scegliere se entrare in una maggioranza parlamentare con i socialisti o rimanerne fuori. Per quanto tempo potrà fare la sfinge nei prossimi Consigli europei a cominciare dalla riunione informale del 17 giugno? Vorrà giocare il ruolo di go between, di intermediario, di raccordo con una parte di destra vincente come Marine Le Pen, come ha fatto in altri Consigli rispetto a Viktor Orbán.
Le sue manovre saranno più facili nel Parlamento europeo dove le maggiore sono variabili e si vota a scrutinio segreto per il presidente della Commissione indicato dai capi di Stato e di governo. Non potrà certo fare e dire una cosa a Bruxelles con i suoi colleghi di governo e poi farne un’altra a Strasburgo. Ecco, presto, molto presto dovrà scoprire le sue carte e scontentare molti sovranisti e nazionalisti che Meloni intende rappresentare. E anche molti elettori ai quali per tutta la campagna elettorale ha prospettato il trasloco del centrodestra domestico in Europa.
Pur acciaccati e in attesa del voto francese, i partiti delle larghe intese a Bruxelles non le consentiranno di fare la regina. Meloni avrà davanti a sé un bipolarismo che potrebbe emarginarla se non molla gli ormeggi e non va a ormeggiarsi al grande molo del Ppe.