In un mondo ideale i magiari, dopo le fatiche della campagna elettorale, guarderebbero con ansia a Sabato prossimo quando la nazionale ungherese (allenata dal nostro connazionale Marco Rossi) esordirà negli Europei tedeschi contro la Svizzera.
Sono state settimane di piazze piene, alle quali, tuttavia, non è seguito il triste epilogo delle “urne vuote” evocate da Pietro Nenni quasi ottanta anni fa, perché gli ungheresi alle urne ci sono andati battendo il record di partecipazione (mai andati oltre il 43% per le Europee), complice anche l’accorpamento con il turno quinquennale delle amministrative.
L’esito, forse prevedibile, e che non dovrebbe causare terremoti politici a Budapest, è che il voto di domenica scorsa ha chiaramente indicato un calo di consensi per il partito di Viktor Orban, che durante i mesi che anticipavano il voto si era presentato come il partito della pace (pax putiniana, verrebbe da aggiungere), ma soprattutto rimangono in bilico le elezioni dei sindaci di Budapest e di Győr, la sesta città del paese, dove il margine fra i candidati è stato talmente ridotto da costringere gli sconfitti a chiedere un riconteggio.
Budapest è stata protagonista di uno psicodramma a pochi giorni dal voto, quando il premier Viktor Orbán ha ritirato la candidata ufficiale di Fidesz, Alexandra Szentkiraly (moglie del Ministro della Difesa), per far convogliare i voti del suo partito sull’indipendente Vitezy, sostenuto anche dai liberali di LMP. Non essendo previsto il secondo turno, per sconfiggere l’uscente Gergely Karacsony (ecologista) era necessario unire le forze con un candidato più popolare.
È andata a finire che l’opposizione di centro-sinistra ha conquistato sedici dei ventidue seggi al maggioritario e Fidesz si è fermata al ventotto per cento al proporzionale, ma la gara per l’elezione diretta del sindaco è stata molto più tirata: Karacsony ha vinto per soli trecentoventiquattro voti, e Vitezy ha chiesto il riconteggio. Allo stesso modo, anche a Győr il centro-sinistra ha vinto per quattrocentosessantanove voti spodestando l’uscente Dezsi in quota Fidesz, ma il verdetto è sub-judice. Nel resto del paese, l’opposizione ha strappato due capoluoghi minori e ha difeso le città che già governava, perdendo solo Miskolc, la quarta del paese.
Come già chiarito in un precedente articolo, non bisogna pensare ingenuamente che il forte consenso nei confronti di Tisza rappresenti un trend negativo per l’autocrate Orbán: il quarantaquattro per cento di Fidesz è lo stesso ottenuto alle politiche del 2014, quando il voto dell’opposizione si era spaccato fra il centro-sinistra e l’estrema destra di Jobbik, e pure in quella circostanza il partito di governo si era assicurato i due terzi necessari per poter continuare a modificare la Costituzione.
Viktor Orbán è abituato a facilitare, foraggiare, o anche semplicemente raccogliere i frutti della presenza di partiti di opposizione che non mostrano volontà di collaborare con gli altri, e quando questi ammorbidiscono le proprie posizioni, altri sono pronti a prendere il loro posto. Quando Jobbik ha abbandonato le velleità etno-irredentiste, Lmp ha rotto con l’opposizione correndo da sola, poi è stata la volta della costola di estrema destra di Mi Hazank, e adesso il movimento Tisza che raccoglie l’elettorato più moderato dell’orbita di Fidesz e aderirà presumibilmente al Partito Popolare Europeo, ma per ora non mostra nessuna intenzione di voler aprire al centro-sinistra.
L’unica notizia veramente di rilievo, e forse l’unico effetto immediato della presenza di Tisza e del ribelle Peter Magyar, è la caduta nell’irrilevanza della coalizione di centrosinistra formata da Coalizione Democratica, Verdi e Socialisti: il tracollo del gruppo guidato dall’ex premier Ferenc Gyurcsany e dalla moglie Klara Dobrev potrebbe sancire la fine politica della coppia che garantisce la sopravvivenza politica di Orban, al quale è sufficiente sventolare lo spauracchio di un ritorno dell’impopolare ex primo ministro per scoraggiare eventuali guastafeste.
Uno dei cavalli di battaglia di Orbán è stato uno spot elettorale (Fidesz ha speso più di tutti in Europa in pubblicità online) in cui si accusava Karacsony di essere l’alter ego di Gyurcsany, video al quale ha risposto la stessa coalizione mostrando come Magyar fosse l’altra faccia della medaglia del Primo Ministro ormai alla guida dell’Ungheria dal 2010.
Se la prima equazione è stata confermata dalle alleanze per le Europee, la seconda si svelerà solo nei due anni che mancano al voto per il rinnovo del parlamento.
Come in Italia, il livello di urbanizzazione in Ungheria è attorno al settanta per cento, motivo per cui il premier Orban ha buon gioco a vincere largamente le tornate nazionali, pur perdendo (nel 2019 significativamente, questa volta con margine ridotto) il voto a Budapest e in altre grandi città. Fidesz ha comunque superato il cinquanta per cento in cinque contee su venti ed è comunque il primo partito sia nella capitale che nella regione di Pest che la circonda, e dove tra l’altro i partiti di centro-sinistra sono stati superati sia da Tisza che da Mi Hazank. Alle politiche, con un sistema elettorale prevalentemente maggioritario, non basterà questo per battere l’autocrate dopo sedici anni.