Specialità olimpicaCeccon, Pilato, Caporale e quei pochissimi che sanno fare il loro lavoro

Ad ascoltare per intero le interviste alla medaglia d’oro e alla nuotatrice arrivata quarta per un centesimo di secondo si capisce che lo scandalo del giorno è la solita puttanata di un mondo dove nessuno è capace di esercitare il proprio mestiere, però tutti ci tengono a commentare quello altrui

AP/Lapresse

L’anno prossimo saranno centotrent’anni che i fratelli Lumière hanno inventato il cinema, quest’anno sono trentacinque anni che Enrico Ghezzi ha inventato “Blob”, non fatemi pensare a quanti minuti al giorno e da quanti anni passiamo sui social, e ancora non ci è chiaro il concetto di «montaggio».

Alla fine è questa, l’unica conclusione nuova che si possa trarre dallo scandale du jour di ieri: la nuotatrice che arriva quarta per un centesimo di secondo e dice «è il giorno più bello della mia vita», l’ex atleta che nel programma di commento delle Olimpiadi è contrariata da questa frase, e decine, centinaia, migliaia di esponenti del volontariato del commento culturale che ci dicono la loro in un mattino feriale perché già non lavorano di solito figurati a fine luglio.

La conclusione, secondaria ma specifica, è: ci è oscuro come i tagli possano modificare il senso di ciò per cui ci stiamo scandalizzando. Nessuno mai si prende la briga di guardare quel che c’è prima e dopo quel pezzettino, metti che ci si capisca qualcosa di più.

Naturalmente la conclusione principale è un’altra, ma non è certo nuova: nessuno sa fare il suo lavoro. Quasi nessuno. Alcuni non possono saperlo fare proprio per come è strutturato il loro lavoro: sei qualcuno che di mestiere fa lo sportivo, perché dovresti saper parlare?

Prima del momento nuotatrice c’era stato il momento nuotatore. Un italiano aveva vinto la medaglia d’oro per il dorso, ed era comparso a bordo piscina, davanti all’intervistatrice Rai, dicendo che erano anni che preparava la gara ma anche l’intervista post-gara, e invece aveva fatto una figura barbina con Eurosport. L’intervistatrice aveva cambiato rapidamente discorso, preoccupata che si citasse un marchio concorrente.

Sono andata a cercarmi l’intervista di Eurosport, ed era stupenda. Continuava a ripetere che si era preparato per tanti anni a rispondere in quelle circostanze, ma non sapeva cosa dire. Avesse avuto davanti l’inviato d’un giornale, con l’ossessione dei giornali italiani per i virgolettati, sarebbe stato un dramma: cosa diamine ti faccio dire, mica posso mettermi qui a raccontare che balbetti. Ma in tv, era perfettissimo. Solo che il nuotatore non lo sa, perché nella vita si è allenato a dare bracciate, mica a studiare la differenza di resa tra i diversi mezzi di comunicazione di massa.

Il fatto è che le cronache dello sport le fanno i giornalisti sportivi o gli ex atleti. È ovvio e giusto che le facciano loro, certo non le posso fare io che non distinguo un tuffo da un calcio di rigore. Però si dà che siano due delle categorie più analfabete del pianeta. Questo è il punto in cui in genere qualche tifoso con velleità intellettuali insorge dicendo che no, che correre più veloce degli altri o saper schiacciare la palla a canestro sono forme d’intelligenza e di cultura. Lo dice, ovviamente, per difendere sé stesso: non sono ignorante, io che mi appassiono al calcio o ai cento metri. Ma certo, pulcino.

La media del giornalismo sportivo è così analfabeta che il primo che arriva e piazza due citazioni e tre svolazzi poetici passa per sofisticato intellettuale. Dalle telecronache Rai di semifinali e finali del nuoto, che mi sono sciroppata per scrivere questo articolo impadellando la mia fin lì immacolata fedina olimpica (non avevo mai visto un minuto di nessuna olimpiade, una vita di astinenza e poi gettar via tutto per la polemicuzza di fine luglio), segnalo alcuni momenti di altissima retorica.

«Evidentemente c’è un fiume che scorre in lei» (non ho segnato di che nuotatrice lo dicessero, ma è così Smemoranda che vale per tutte). «Sta letteralmente volando» (della cinese che poi ha vinto: sta figurativamente volando, pulcino, lo stesse facendo letteralmente sarebbe in aria e non in acqua). «Era più solenne il mio podio ai campionati regionali quando avevo nove anni» (dei non bellissimi gradini su cui salgono i premiati). «Sta nuotando ancora in maniera deliziosa» (dell’italiana che poi è arrivata quarta, evidentemente presa per un vol-au-vent).

Quando a tarda sera chiedono alla ex schermitrice di commentare, e quella – con una dizione che è cugina di quella di Benedetta Rossitrasecola per averla sentita esprimere contentezza, «Non so se ce fa o ce è, sinceramende non ci ho capito niente», deve intervenire un altro commentatore a spiegarle quel che avevo capito persino io che neanche sapevo alle Olimpiadi si nuotasse, che avevo capito persino io che sentendo parlare la nuotatrice mancavo di tutti i riferimenti. Era contenta perché lei a quella gara lì non pensava neanche di poterci arrivare, perché quest’anno aveva fatto tanti cambiamenti e le sembrava d’esser migliorata.

Era contenta del resto, mica della sconfitta. Il giorno dopo, ieri, Federica Pellegrini avrebbe scritto su Instagram che certo che la ragazza era contenta, era arrivata quarta, era partita col settimo tempo, «le medaglie piacciono a tutti ma a volte conta molto di più il viaggio» (non avendo usato «percorso» come a “Temptation Island”, Federica Pellegrini è da ieri ufficialmente intellettuale).

Ma, anche senza l’autorevole spiegazione della Pellegrini, giuro che si capiva già solo ascoltando per intero quel minuto d’intervista a bordo piscina. Per non lasciare margine d’equivoco, la quarta classificata aveva pure concluso «Peccato, perché un centesimo è proprio stronzo» (l’intervistatrice l’aveva rimproverata per la parolaccia). Era un minuto, però: interminabile per gli smaniosi di far critica culturale sui social.

E quindi niente, il giorno dopo come ti giri trovi le più imbecilli difese d’ufficio, di quelli che ci spiegano che questa è una generazione che è contenta anche se non vince. Certo, è esattamente per quello che uno sceglie una carriera da atleta: per ottenere l’obiettivo di perdere per un centesimo.

Tra l’altro, se si voleva sviluppare quella retorica lì, lo spunto l’aveva dato, alle semifinali, l’altra nuotatrice italiana, una bionda belloccia e piena di orecchini che era arrivata quarta in semifinale e non aveva quindi avuto accesso alla finale. All’intervista post-gara, misteriosamente non rilanciata da nessuno sui social né usata da nessuno per spiegarci un’intera generazione, aveva detto un incredibile «Mi dispiace perché in acqua stavo bene», lei sì scambiando l’agonismo per il percorso di “Temptation Island”.

(Mentre vi agitate perché ho detto che aveva gli orecchini e sono un’orrenda superficiale, potreste per favore spiegarmi se questa cosa delle unghie da TikTok sia una novità o ci sia sempre stata? Tutte le nuotatrici hanno unghie lunghissime e coloratissime, fotogeniche ma penserei non granché pratiche. È per allungarsi un centimetro in più a toccare prima il traguardo? È perché con gli occhialini e la cuffia e il costume intero e le spalle larghe si sentono poco femminili e hanno bisogno di compensare? È un esperimento delle multinazionali della cosmesi per vedere se il semipermanente regge se stai a mollo tutto il giorno?).

Ieri la diciannovenne più difesa d’Italia ha rilanciato su Instagram uno che, nel dire quant’era raccapricciante la povera ex schermitrice colpevole d’essere una il cui mestiere è tirar di scherma e non fare osservazioni intelligenti, dava alla nuotatrice quarta ma contenta il merito d’aver «distrutto questa cultura del successo a tutti i costi che ci sta sgretolando pian piano». Che è un messaggio che va benissimo, se annunci che ti stai ritirando dall’agonismo.

Oppure se hai diciannove anni e un mestiere ce l’hai e non passi quindi le giornate ad allenarti partecipando alle polemiche del giorno, e rilanci cose a caso purché ti lodino. Giacché, avendo diciannove anni, la vita non ha ancora avuto tempo d’insegnarti la cosa più importante: quasi sempre i detrattori sono imbecilli, sempre ma proprio sempre lo sono i sostenitori.

Dimenticavo. Il nuotatore che non saprà se un’intervista è o no un bel momento di televisione ma è il più veloce a fare due vasche a dorso si chiama Thomas Ceccon. La nuotatrice che si lascia trascinare nella polemicuzza del giorno ma al mondo ce ne son solo tre più veloci di lei a rana si chiama Benedetta Pilato. L’intervistatrice che coglie la frase che diventerà lo scandale du jour e, quando la nuotatrice dice che è il più bel giorno della sua vita, la esorta a elaborare con un «ma veramente?» si chiama Elisabetta Caporale. Il mio piccolo contributo all’igiene del dibattito è fare i nomi solo di quelli che sanno fare il loro lavoro.

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