L’altro giorno su Twitter (o come si chiama ora) m’è comparso uno che diceva d’aver guardato la cronologia di Google del padre morto, e d’aver scoperto che aveva passato gli ultimi mesi di vita a cercare di capire come escluderlo dall’asse ereditario.
Lo stesso giorno, Mondadori ha preso i sei milioni e novecentomila euro che aveva vanamente accantonato per comprare una quota di Adelphi (quota che poi ha comprato Feltrinelli), e li ha investiti nella cosa più distante da Adelphi e dal suo posizionamento scicchettoso che vi possa venire in mente: Benedetta Rossi.
Due anni e mezzo fa, l’ultima (unica) volta che avevo scritto di lei, Benedetta Rossi era prima in classifica con non so più quale suo libro, aveva quattro milioni di follower su Instagram, i capelli rosso menopausa, una casa con arredi da povera che non ha ancora fatto i soldi, una dizione da profondissima provincia.
Lunedì, a quasi cinque milioni di follower ma con gli stessi capelli e la stessa dizione, il comunicato di Mondadori diceva che quegli euro, quei sei milioni e nove (ma non potevano fare cifra tonda? È uno sconto per stare sotto la soglia psicologica dei sette, come i negozi con tutto a novantanove centesimi?), sarebbero stati corrisposti «interamente per cassa al closing», e insomma l’unica differenza tra la Benedetta del 2021 e quella di oggi sono quei quattro spicci in banca, quell’accredito immediato; ma restano immutati quegli arredi da povera che non vuol far sapere d’aver fatto i soldi.
Dopo l’uscita del comunicato, Benedetta ha detto alla telecamera del telefono che quest’acquisizione voleva spiegarla bene ma aspettava che tornasse Marco, giacché «a spiegare queste cose lui è molto più bravo di me», giacché Benedetta Rossi non è diventata un caso finanziario facendo la donna emancipata o elegante o che capisce di cose astruse di cui noi donne non c’intendiamo. Lei aspetta il marito per parlare di soldi come faremmo tutte noi signore perbene che siamo emancipate sì ma fino a un certo punto, ma intanto ci rassicura: «Rimarremo sempre Benedetta e Marco».
Benedetta è una il cui penultimo libro s’intitola “In cucina con la friggitrice ad aria” (centoquindicimila copie), e sappiamo che la friggitrice ad aria è l’inventaricci di questo secolo, una cosa che potrebbe far presa solo sulle quindicenni se i cinquanta non fossero i nuovi quindici (io non riesco a sentir nominare la friggitrice ad aria senza pensare a quello spot della mia infanzia, «Sfornatutto? Ma sei sicuro? O fa solo toast, pizzette…»).
Benedetta è il paese reale, questa è la sua forza, e voglio sperare che quelli di Mondadori siano stati abbastanza svegli da mettere, nell’accordo con cui acquisiscono il cinquantuno per cento della società che gestisce i suoi diritti d’immagine e intellettuali, una clausola che le vieta di frequentare corsi di dizione o di comprare divani di Cini Boeri.
Quando è tornato Marco, i due ci hanno rassicurati dal loro divano brutto poggiato su un cotto brutto davanti a un mobile del televisore brutto che nulla cambierà, che «l’aspetto creativo» (che il dio delle parole ci perdoni tutti) resta decisione dei coniugi, che l’accordo garantisce loro indipendenza, e quindi forse quella clausola non c’è, forse alla Mondadori la sanno lunghissima e sanno che una i cui cinque libri più venduti totalizzano novecentomila copie e che tuttavia non ha cambiato gli arredi Mondo Convenienza non lo farà certo ora, con questo bonifico istantaneo che neppure arriva a sette milioni.
«Ora saremo supportati da persone che conosciamo molto bene e che sentiamo come una famiglia», aveva anticipato Benedetta rimandando le conversazioni aziendali al marito, perché la prima e più importante cosa da dire, lo sappiamo, è quella: non è per i soldi, è che li sentiamo di famiglia. Certo, è più facile sentirli di famiglia con sette milioni che se sei un italiano che impara la vita dai social e dagli sceneggiati americani e quindi crede che un figlio si possa diseredare.
Adesso che Benedetta cucinando la pasta al tonno ha messo da parte una dote di quasi sette milioni e può dedicarsi a parlarci di non so quale parassita che le rovina le piante di pomodori (il tema del suo Instagram ieri), io vorrei pensare alla mia dote.
Qualche settimana fa ho fatto un’insalata di pesche e pomodori della quale ero così entusiasta che ho messo una foto nelle storie di Instagram (instagrammare cibo mi sembra sempre il punto più basso dell’intelligenza umana, quindi di solito evito). Per le ventiquattr’ore successive ho pensato meno male che le mie storie Instagram sono visibili solo a poche persone che conosco, perché già così ho ricevuto non so quanti messaggi di amiche che volevano la ricetta: agli esseri umani interessa solo il cibo, e questo lo sapevamo, ma soprattutto gli esseri umani di questo secolo hanno bisogno di istruzioni per tutto, anche per fare un’insalata.
E quindi ho improvvisamente pensato che Benedetta anch’io. D’altra parte lei è diventata famosa per la pasta al tonno, mica per la carne cotta a bassa temperatura e altre complicatezze botturiane. Benedetta è la promessa che, in quest’epoca rimbecillita e bisognosa di tutorial, posso diventare ricca persino io, dicendovi come sbucciare le pesche e come affettare i pomodori.
Sento che riuscirò a fare cifra tonda, ho anche ascoltato Benedetta parlare della peronospora che le rovina le piante perché quand’è piovuto lei era a Pantelleria e non ha ridato il rame subito ai pomodori, ma non vorrei specializzarmi troppo perché si sa che noi gente genuina meno studiamo e più fatturiamo.
Quando è uscita la notizia dell’acquisizione Mondadori, la mia bolla Twitter era piena di «se li merita» motivati con una gamma che andava da «è sempre rimasta marchigiana, non se n’è mai andata» (non fatemi fare battute sugli altrove dove non ne avrebbero capito la dizione: poi si capisce che sono invidiosa) a «almeno lei sa fare qualcosa»: la pasta al tonno è già tantissimo, in questo secolo delle opportunità, in questo Instagram in cui si fanno i supplied delle poltrone Maison du Monde da duecento euro che aiutami a dire quanta miseria e quanta poca nobiltà.
Ho visto il futuro, mi sento già come quelle mie amiche abbastanza ricche da fare giardinaggio e da cucinare, mi sento pronta a fare soffritti e mettere in commercio libri di ricette e soprattutto, invece di aspettare le royalties miserande pagate a chissà quanti giorni, l’anno dopo, due anni dopo, mi sento pronta al vero privilegio benedettarossiano: quel pagamento immediato che è il sogno bagnato d’ogni libera professionista di questa repubblica salvata dalla quota legittima dalla quale non puoi essere diseredato, e per il resto fondata sui centoventi giorni fine mese data fattura.