Aumma aummaElogio dell’inciucio

Tra chi lo disprezza ma non riesce a starne lontano, e chi ha cercato di renderlo «storico», il compromesso è materia incandescente per il nostro paese, puzza di quel particolare lezzo molto italiano fatto di ammiccamenti, passi di danza, corteggiamenti e giri retorici

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Ci sono parole apparentemente innocue, persino ragionevoli, che in politica possono diventare pietre. Che cosa c’è di male nell’espressione «par condicio»? Sembra anzi una cosa doverosa: mettere tutti sullo stesso piano. E lo slogan dei pentastellati «uno vale uno»? Sembra una parafrasi dell’articolo 3 della Costituzione, cosa c’è di più nobile e sacrosanto? Andiamo avanti. Il verbo «spuntare», riferito all’emersione di nuove prove contro un indagato ha un’aria neutrale, solo una constatazione. Il più efficace di tutti, perché contiene un giudizio di valore dispregiativo, è però il termine «inciucio». È a questo che dedichiamo qui attenzione, perché nasconde un pericolo gravissimo della democrazia, l’antipolitica.

Non siamo originali, in questo elogio dell’inciucio, lo sappiamo. Ci hanno preceduto in tanti, ma ora sta tornando di moda la denuncia di questa pratica, ed è di nuovo di grande attualità, in un sistema politico che qualcuno definisce bipolare di ritorno, ma si caratterizza per una rara capacità di mettere insieme tutto e il contrario di tutto, purché l’alleanza di potere funzioni. Pazienza per gli altri casi.

La par condicio ha consentito nefandezze di principio e di fatto. L’uso della clessidra nel dibattito pubblico, la falsa uguaglianza di chi ha diritto a dire la propria secondo regole da alchimista. In nome della par condicio ci siamo persi il gusto del dibattito, scusate se è poco. Il faccia a faccia, la radiografia della personalità del candidato, il fascino del linguaggio del corpo associato a quello della parola. In cambio, risse televisive con la prevalenza del cretino o del più prepotente.

Dopo l’esperienza fatta, non sarà piaciuto a Joe Biden dover duettare da solo con Donald Trump, ma vivaddio il mondo intero ha potuto giudicare con i propri occhi e le proprie orecchie, non in applicazione delle formulette di un burocrate Rai. Quanto all’uno vale uno, i suoi stessi inventori ne hanno dimostrato la vacuità e pericolosità, mostrando a tutti che Danilo Toninelli non vale Sabino Cassese. «Spunta» una nuova prova a carico è infine il più crudele dei giustizialismi italiani. Basta scriverlo nel titolo di giornale per dare il colpo di grazia al presunto colpevole, anche agli occhi non dico del dubbioso (in materia non ci sono mai dubbiosi) ma almeno del distratto.

Giovanni Toti si faceva finanziare rispettando le regole del finanziamento pubblico anche se questa trasparenza formale era solo una furbissima maniera di evitare le mazzette, come sostiene il Pm (ci sarà poi un giudice…). Ma «spunta» un nuovo finanziamento. Mazzette? No, sempre l’applicazione della legge, però con versamento su un conto diverso: non più il Comitato ma il Partito! Ecco la pistola fumante.

E veniamo alla questione inciucio. È davvero riassuntiva ed emblematica, persino in un Paese di storici trasformismi, compresi quelli virtuosi. Non ancora gli accordi, ma già le intenzioni di accordo, sono materia incandescente, puzzano di quel particolare lezzo molto italiano che chiamiamo «aumma aumma». Una meraviglia barocca, fatta di ammiccamenti, passi di danza, corteggiamenti e giri retorici. Però a noi piacciono, perché il profumo – udite udite – è quello della politica, che sia buona o cattiva (talora molto cattiva: Erano inciucisti Stalin e Hitler con il loro patto?). In un altro modo, si chiama compromesso. Senza di lui non avremmo avuto metà della storia umana. Non avremmo comunque avuto la politica, che è per l’appunto l’arte del possibile.

Non avremmo avuto Enrico Berlinguer, che l’inciucio cercò di farlo «storico». Poi magari avrebbe dovuto farlo meglio, spiegarlo ai compagni, non farsi intortare dai democristiani, ma questo è un altro discorso, che non piace in quest’anno di celebrazioni berlingueriane, quasi da santo subito.

Per venire a tempi più recenti, non avremmo avuto Matteo Salvini, che gli inciuci li disprezza in ogni dichiarazione, ma ne è stato giustamente un praticante assiduo, con il caro partner Luigi Di Maio. E non era un inciucio sostenere Mario Draghi? Forse, ancor prima, non sarebbe diventato segretario della Lega, dribblando Roberto Maroni e facendo finta di esaltare Umberto Bossi. Non avremmo avuto neppure Giorgia Meloni, che si è allenata a inciuci addirittura europei – quelli in corso – con oltre un anno di capriole e acrobazie: volta a volta draghiana e orbaniana, ducetta e insegnante di democrazia antifascista. È la politica bellezza, è la natura umana, ancor prima.

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