Verso una filiera nazionaleL’Italia vuole imparare a pilotare l’offshore

Il presidente dell’associazione Aero, Fulvio Mamone Capria, ci spiega che il nostro Paese deve ancora apprendere molte cose su questo modo di produrre energia ma può contare su grandi potenzialità

Ted Shaffrey/AP Photo

Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine + New York Times Climate Forward in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia. E ordinabile qui.

Più di settemila chilometri di coste, una filiera dell’industria marittima già competitiva e una buona ventosità, anche se non paragonabile a quella del mare del Nord: il nostro Paese ha un ottimo potenziale per lo sviluppo dei parchi eolici offshore e finalmente qualcosa inizia a muoversi. Il primo sussulto è avvenuto nell’aprile 2022, quando a Taranto è stato in augurato il primo impianto italiano con dieci aerogeneratori da tre megawatt installati in mare. Nel giro di venticinque anni, secondo le stime, permetterà di risparmiare circa settecentotrentamila tonnellate di CO2.

Secondo Fulvio Mamone Capria, presidente dell’Associazione delle energie rinnovabili offshore (Aero), potremmo ricordare il 2024 come l’anno della svolta, o comunque della presa di coscienza definitiva da parte della politica e del tessuto industriale del nostro Paese: «Stiamo osservando un’accelerazione dei provvedimenti di Valutazione di impatto ambientale (Via), che per alcuni impianti si sono conclusi o sono in dirittura d’arrivo. Ad esempio, un progetto da 250 megawatt al largo delle coste siciliane ha ricevuto una Via positiva e anche il parere favorevole, non scontato, del Ministero della Cultura. Da citare anche i futuri impianti previsti in Puglia e a Rimini».

Negli ultimi mesi, inoltre, sono stati compiuti diversi passi avanti dal punto di vista normativo, a partire dal decreto legge sulla sicurezza energetica, che ha sottolineato il ruolo dei porti e della cantieristica navale a sostegno dell’eolico in mare. «In più», aggiunge Fulvio Mamone Capria, «a breve il Ministero dell’Ambiente pubblicherà un bando per le autorità portuali che intendono candidare i loro porti a essere aree logistiche per la costruzione delle fondazioni galleggianti per l’eolico offshore».

Secondo una ricerca di The European House – Ambrosetti, Renantis, BlueFloat Energy, Fincantieri e Acciaierie d’Italia, l’eolico offshore galleggiante – che risolverebbe il problema dei fondali marini troppo profondi per l’ancoraggio delle turbine – potrebbe generare ventisettemila nuovi posti di lavoro entro il 2050 in Italia. Il nostro Paese, spiega il Global wind energy council, avrebbe i mezzi per imporsi come terzo mercato mondiale per lo sviluppo di questi impianti.

Ora il salto di qualità cruciale riguarda la creazione di una filiera industriale di approvvigionamento italiana. È questo uno degli obiettivi principali di Aero, a cui si stanno associando le più importanti realtà e aziende italiane e straniere con esperienza nel mondo dell’eolico offshore: «È una questione di crescita competitiva per tutto il territorio italiano, ma servirà una visione europea: nel mare del Nord hanno un’esperienza ultra-trentennale nell’eolico offshore. Serve poi avere una grande attenzione alla questione ambientale, e per questo stiamo lavorando con i migliori ricercatori ed esperti in biologia marina, scienze ambientali e geologiche», sottolinea Fulvio Mamone Capria.

L’Italia è tra i leader europei nel navalmeccanico, nel metallurgico e nelle infrastrutture portuali, tutti settori fondamentali per produrre le tecnologie alla base dell’eolico offshore galleggiante. Secondo il presidente di Aero, «il nostro Paese vanta numerose imprese della filiera marittima, dei servizi e della logistica che sono già leader a livello mondiale. Esistono poi anche delle realtà, attive da settanta o ottant’anni nell’oil and gas, che sono pronte a convertirsi e ad accettare la sfida dell’eolico offshore».

Un punto decisivo è quello dell’approvvigionamento dell’acciaio, essenziale per costruire le fondazioni galleggianti. Il prezzo di questa materia prima, secondo il Global assistance development (Gad), rimane superiore del 25 per cento rispetto al “pre-Covid”: «La nostra speranza per mitigare tutto ciò viene dall’ex Ilva di Taranto. E c’è anche la necessità di immaginare una linea di approvvigionamenti per gli aerogeneratori e i cavi elettrici», continua il presidente di Aero.

Ultimo, ma non meno importante, è il tema delle competenze. Aero, ad esempio, sta collaborando per avviare i primi corsi di formazione post-diploma pensati per sviluppare personale specializzato. Per realizzare un parco eolico offshore sono infatti necessarie figure professionali eterogenee: dai biologi marini agli ingegneri, passando per gli architetti, gli economisti e molti altri. «Bisogna anche comunicare con le realtà locali, i cittadini e gli operatori del mare, facendo capire che tutto ciò è necessario anche per raggiungere l’indipendenza energetica», conclude Fulvio Mamone Capria.

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