Guerra in polvereLa crisi degli oppioidi potrebbe arrivare presto anche in Europa

In “Rompere l’assedio” (Paesi edizioni), Roberto Arditti racconta la drammatica diffusione del Fentanyl negli Stati Uniti e il rischio di un’espansione del mercato nero anche nel nostro continente

LaPresse

È il 12 marzo 2024 quando il governo italiano approva su proposta del sottosegretario Alfredo Mantovano il «Piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio di Fentanyl e di altri oppiacei sintetici». Il Fentanyl è dunque arrivato in Europa? Stiamo per assistere anche qui a qualcosa di simile a quello che ha già sconvolto (in peggio) il panorama della tossicodipendenza negli Stati Uniti?

«Ci sono segnali di una sua diffusione in Portogallo e Gran Bretagna», spiega Mantovano, lanciando l’allarme sulla criminalità organizzata che, secondo quanto rilevato dall’intelligence italiana, starebbe «testando il mercato per verificare la convenienza del suo inserimento». A tal proposito, il sottosegretario ricorda il caso di Piacenza, dove lo scorso anno ci sono stati alcuni arresti per «intermediazione di approvvigionamenti di quantitativi di Fentanyl tra Cina e Stati Uniti, con diciotto persone coinvolte: centomila le dosi intercettate ed erano nascoste tra le pagine di libri». (Il Foglio, 13 marzo 2024).

Facciamo un passo indietro, così capiamo bene di cosa stiamo parlando. Circa ottocentoquarantuno mila americani sono morti tra il 1999 e il 2022 per eccesso nel consumo di oppioidi, con una crescita esponenziale del fenomeno negli ultimi anni (centodiecimila morti solo nel 2022). Il che vuol dire – e si tratta di un dato assai probabilmente sottostimato – oltre trecento morti al giorno al tempo presente, contro centoquindici decessi al giorno per incidenti stradali e «solamente» cinquanta omicidi.

In buona sostanza, quelle droghe spesso travestite da farmaci uccidono sei volte più delle armi, in un Paese che continua a consentire a tutti di comprare fucili e pistole con estrema facilità. Potrebbe in apparenza sembrare solo (si fa per dire) una questione sanitaria, magari da associare a un tema ormai presente in tutte le società nazionali esposte ai venti forti della globalizzazione: molti finiscono ai margini per ragioni economiche, che negli Stati Uniti si associano a un sistema di welfare state non certo universalistico come in Europa.

Oppure la cosa potrebbe trovare spiegazione nel disagio giovanile, anch’esso fenomeno di non poco conto in Nord America, dove si salda con la condizione spesso disagiata di parti significative di alcune comunità, prima fra tutte quella degli afroamericani. Peraltro, non si può sottovalutare il fatto che a causare la strage di cui parliamo è un prodotto di sintesi chimica che prende origine da un farmaco legale ampiamente utilizzato con successo nella terapia del dolore, e anzi considerato uno dei più efficaci strumenti oggi disponibili per alleviare la sofferenza di molti pazienti in condizioni di salute assai critiche.

Per avere contezza di ciò di cui parliamo, vale la pena riportare poche righe della descrizione ufficiale dal sito del ministero dell’Interno italiano – Dipartimento di Pubblica Sicurezza: «Il Fentanyl è un analgesico con una potenza di almeno 80 volte superiore a quella della morfina. Il Fentanyl e i suoi derivati sono utilizzati come anestetici e analgesici sia in medicina sia in veterinaria (Carfentanyl). La sua molecola e i suoi derivati sono soggetti a controllo internazionale così come quei derivati non farmaceutici altamente potenziati, quale il 3-metilFentanyl, sintetizzati illecitamente e venduti come “eroina sintetica” o mescolati con l’eroina». E ancora, poco più avanti: «L’uso ripetuto sviluppa rapidamente tolleranza e dipendenza. Non appena si interrompono le somministrazioni, subentrano i sintomi tipici dell’astinenza (sudorazione, ansia, diarrea, dolore alle ossa, crampi addominali, brividi o “pelle d’oca”). Interazioni gravi si sviluppano quando si mischia il Fentanyl con eroina, cocaina, alcool e altri depressori del sistema nervoso centrale, come le benzodiazepine.

L’uso di farmaci antiretrovirali e inibitori della proteasi per l’Hiv farebbero aumentare i livelli del plasma e, se somministrati insieme al Fentanyl, ne ridurrebbero l’eliminazione. L’overdose comporta una depressione respiratoria che può regredire con il naloxone. Può anche subentrare una morte improvvisa per arresto cardiaco o grave reazione anafilattica. Negli esseri umani, sono sufficienti 2 mg di Fentanyl per essere letali. Nei decessi in cui figurava la poli-assunzione è stata registrata una concentrazione sanguigna di circa 7 ng/ml o più. Mentre sono state registrate delle morti accidentali dopo l’uso terapeutico, si sono verificati molti decessi a seguito dell’abuso di prodotti farmacologici. Il contenuto di cerotti usati e no, assunto tramite iniezioni, fumo, per via orale o nasale, ha spesso portato a conseguenze fatali. In Europa e negli Stati Uniti si è registrato un numero significativo di morti a seguito dell’ingestione di fentanili sintetizzati o “creati” illecitamente, chiamati a volte fentanili non farmaceutici.

Per quanto riguarda i fentanili non farmaceutici, molti decessi – caratterizzati dalla loro repentinità – sono stati legati all’uso di eroina combinata con il Fentanyl o uno dei suoi vari potenti analoghi, come l’alfa-metil Fentanyl e il 3-metilfentanyl. Test sugli animali condotti dal gruppo di ricerca della Janssen Pharmaceutical hanno dimostrato che la potenza analgesica del Fentanyl è quattrocentosettanta volte superiore a quella della morfina. Il Carfentanyl sarebbe diecimila volte più potente della morfina». Insomma, siamo di fronte una vera e propria «bomba chimica», la cui somministrazione aiuta l’uomo solo se gestita sotto rigido controllo medico e al massimo livello di serietà professionale. Se invece se ne abusa, gli effetti possono rapidamente portare a morte, come dimostra anche la fine drammatica di due fra le più grandi stelle di sempre del pop: cioè Michael Jackson e Prince.

[…] L’elenco dei volti famosi la cui morte prematura è legata al Fentanyl è lungo una Quaresima. A riprova di quanto diffuso e letale sia questo farmaco. Ovviamente, quella dei personaggi famosi è solo la punta dell’iceberg. E allora dobbiamo guardarci dentro a questa montagna di morte, che rende oggi il Fentanyl responsabile del settanta per cento dei decessi per overdose in America. E dobbiamo guardarci dentro non solo per l’enorme prezzo in vite umane che sta costando (e sappiamo bene quanto spesso tendenze americane diventano realtà anche in Europa con qualche anno di ritardo), o per gli aspetti sanitari o per gli enormi danni sociali che la diffusione di queste sostanze sta generando.

Dobbiamo cogliere il fenomeno nelle sue dinamiche profonde, che probabilmente vanno oltre il monito di Giovanni Falcone follow the money come strumento essenziale per comprendere le logiche criminali a ogni latitudine.

Certo, il business si è fatto imponente. Una pasticca di Fentanyl viene venduta negli Usa a un prezzo che varia dai quindici ai trenta dollari (ne esistono numerose versioni, ognuna con le sue specifiche, più o meno veritiere, ma certamente tutte dall’effetto poderoso). Difficile stimare quante ne vengono piazzate sul mercato, mentre è noto il dato di quante ne sono state sequestrate: ed è un numero impressionate.

Nel solo 2022 la Dea (Drug Enforcement Administration) ha tolto dalla circolazione trecentosettantanove milioni di dosi; quindi, tenendosi a un valore di venti dollari a compressa, siamo a quasi otto miliardi di dollari di sola merce finita in mano alle forze dell’ordine. Vogliamo dire che le autorità recuperano il dieci per cento della merce in circolazione? Allora significa che il giro d’affari per i soli Stati Uniti è di ottanta miliardi, cioè quanto il Pil di una nazione come l’Uruguay che ha 3,5 milioni di abitanti.

Ebbene, questi soldi sono tutti per le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico? E chi sono i protagonisti di questo mercato illegale che sta prendendo piede anche in Europa? E, infine, di quali alleanze internazionali godono i Re Mida del Fentanyl?

Tratto da “Rompere l’assedio” (Paesi edizioni), di Roberto Arditti, pp.176, 16

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