Facebook, Instagram, Twitter, TikTok. I social network hanno moltiplicato i canali e i linguaggi attraverso cui le aziende possono comunicare. Che si tratti di una pasticceria o di un giornale. Certo, nella pratica vanno maneggiati in maniera diversa se si vuole comunicare una notizia o la ricetta di una Sachertorte. Ma le regole auree restano, di fatto, le stesse.
Eppure non sempre l’incastro tra buon giornalismo, buona comunicazione e social funziona. Anzi, le piattaforme sono diventate veicolo di informazioni false e fenomeni effimeri. E le stesse testate giornalistiche, come molte altre aziende, non sempre riescono ad approcciarsi nel modo giusto ai social media e stare al passo con il loro funzionamento.
«I social media sono una cosa seria», ha spiegato Alessio Cannata, Digital & Social Strategist, durante uno dei corsi di formazione tenutosi nel corso del Sicilia Gastronomika Festival di Palermo.
Dopo vent’anni di Facebook, ancora non l’abbiamo capito del tutto. E questo vale sia per chi ne fa un uso privato, sia per chi li usa per motivi professionali.
Quasi il 28 per cento degli italiani usa i social per lavoro, ai social dedichiamo in media 1,48 ore al giorno, di cui più di quindici ore su Instagram. Ma le reali potenzialità, di fatto, sono quasi sconosciute ai più. È per questo che è importante conoscerle.
Perché l’impatto che oggi i social hanno sulle nostre vite sulle e nostre attività professionali non solo è rilevante, ma può avere grandi conseguenze anche sul fatturato di un’azienda. La piattaforma social è motore di ricerca e vetrina. Molti degli acquisti che facciamo sono veicolati da Instagram, lo stesso accade per i ristoranti dove scegliamo di prenotare e per le notizie che leggiamo. Integrare i social in maniera coerente all’interno degli strumenti di impresa è quindi un’opportunità. O forse, ormai, si può definire quasi un obbligo.
I social e il giornalismo
Studiare, monitorare, curare la propria presenza sui social è diventato vitale soprattutto per le aziende editoriali. Ogni anno l’accesso diretto alle app e ai siti web si riduce, mentre cresce il consumo di informazione tramite i social media. Secondo l’ultimo rapporto di Rueters, TikTok raggiunge il 44 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni nel mondo e il 20 per cento per le notizie, ma oltre la metà delle news su TikTok è veicolata da influencer e non da giornalisti.
Questi cambiamenti rappresentano una «nuova normalità» in cui gli editori devono navigare, in un ambiente complesso in cui l’attenzione è frammentata, la fiducia per il giornalismo è bassa (34 per cento) e la partecipazione è ancora meno aperta e rappresentativa.
Rispetto al 2022, è TitTok il social che è cresciuto di più (più 3 per cento) nel 2023. Sempre più giornali investono sulla piattaforma nata in Cina, ma c’è ancora molto da fare. Mentre i giornalisti tradizionali conducono conversazioni sulle notizie su Twitter e Facebook, faticano ad attirare l’attenzione nelle reti più «giovani» come Instagram e TikTok, dove personalità, influencer e persone comuni sono spesso più penetranti dei professionisti dell’informazione.
Combattuti tra vecchio e nuovo, manca la consapevolezza che i social sono strumenti al servizio dell’informazione e non nemici delle notizie. Anzi, sono una vetrina che può portare gli utenti ad approfondire.
I modelli di presenza dei giornali sui social ad oggi sono tre. Quello dei «giornali tradizionali», che si “limitano” alla ricondivisione del titolo di un articolo con foto o un estratto. In questo caso, non c’è strategia social, ma si sfruttano questi canali per aumentare le view sul sito.
L’altro modello è quello dei giornali tradizionali che invece hanno una strategia social, con una maggiore comprensione delle dinamiche, che vengono sfruttate con strumenti e risorse adeguati per massimizzare le visualizzazioni e creare un posizionamento.
E poi la novità sono i giornali nativi sui social media, in cui la piattaforma è centrale e tutta l’informazione si fa con gli strumenti dei social media. Spesso, però, in questo caso si tagliano via informazioni importanti, come la citazione delle fonti o la necessità di approfondimento.
Altra questione, molto discussa nelle redazioni giornalistiche ma anche nelle aziende in generale, è a chi affidare la gestione dei social. Per affidarsi a un professionista, certamente servono investimenti, ma è necessario non improvvisarsi se si vuol fare un lavoro fatto bene. La regola è: «Faresti preparare il pane al sommelier? Allora fai gestire i social a chi fa quel mestiere».
A loro volta, i giornalisti sui social possono amplificare l’informazione, aiutando il giornale a comunicare. A volte possono diventare veri e propri influencer per le proprie testate e altre volte vengono seguiti, al di là della testata per cui lavorano, per l’autorevolezza che hanno su un certo argomento o per il modo in cui lo comunicano.
Il cambiamento appare inevitabile se si vuole sopravvivere. Nel lungo termine, i dati analizzati nel Report Reuters suggeriscono che le nuove generazioni prediligeranno formati di notizie più accessibili, informali e divertenti, spesso forniti da influencer anziché da giornalisti, e consumati all’interno di piattaforme come YouTube, Instagram e TikTok. I formati visivi e audio non sostituiranno il testo online, ma sono destinati a diventare una parte più importante del mix nel prossimo decennio.
Le regole auree valide per un giornale e una pasticceria
Ormai camminiamo per strada guardando lo smartphone per scegliere dove prendere il caffè, mentre scrolliamo le notizie su Instagram. Non presidiare i social, affidandosi a dei professionisti, oggi significa non rendersi riconoscibile a un mercato che sta cambiando. Queste piattaforme sono come le nuove civette delle edicole o le nuove insegne di una pasticceria. Sono la vetrina dei prodotti e l’interfaccia per utenti e clienti.
Ma bisogna saperli usare. E le regole base sono le stesse, sia che si tratti di una attività editoriale o che si tratti di un bar. Anzitutto, più che inseguire il numero di follower, ciò a cui si dovrebbe puntare è creare una community. Attraverso l’ascolto attivo dei follower e l’interazione con loro, si possono individuare e soddisfare spazi di mercato.
I social network non parlano a tutto il mondo, parlano agli interlocutori che si vogliono raggiungere ed è a loro che bisogna rivolgersi. Sempre partendo dalla una base di credibilità che abbia un riscontro nella realtà, che sia un giornale fatto bene o una buon pasticcino. «I social network non sono il punto di partenza», ha spiegato Alessio Cannata. «I soldi li devo fare perché faccio buoni cannoli». O anche un buon giornale. Le notizie, la credibilità, gli ingredienti, e persino la grafica o il packaging, vengono prima della comunicazione online.
Perché i social sono effimeri e un business basato solo sull’inseguimento dei follower, tramite il clickbaiting o o brioche superinfarcite di ingredienti scadenti, alla fine non arriverà lontano.