Indovina ChiIl sestessismo di Meloni, le tapparelle di Totti, e i due Silvio di Fedez e di Ferragni

Considerate questo articolo servizio pubblico, volto a non lasciarvi senza le informazioni essenziali sul declino della classe dirigente, ormai troppo presa a somigliare a noialtri per dirigere alcunché

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Che cos’è il genio, chiedeva quel film. La risposta che si dava la sappiamo tutti a memoria (poche cose sono più lessico famigliare, per gli italiani, di “Amici miei”: anche le generazioni che non hanno visto niente, non sanno niente, non riconoscono niente, anche loro dicono «supercazzola» appena non capiscono, cioè in continuazione).

Ieri mattina me ne sono data un’altra, davanti alla copertina di Chi con foto della Ferragni in bikini e titolo «Pronta a ripartire con Silvio». L’estate scorsa, di fronte a questa frase, avremmo pensato a Berlusconi, evocazione unica associata a quel nome. Quest’anno, però, c’è un altro Silvio nell’immaginario degli italiani, ed è il cane dell’ex marito della Ferragni.

Quelli di Chi sanno che l’equivoco è in agguato e quindi in copertina mettono anche la fotina della Ferragni in compagnia di tal Silvio Campara, che sarebbe il suo nuovo ganzo. Ora. Io non vorrei sempre scrivere lo stesso articolo sullo schema sono-come-voi, unico modulo vincente di questo secolo, sull’immedesimabilità come atout commerciale – però mi ci costringono.

Cosa c’è di più immedesimabile – meschino come noi, portato alle ripicche come noi, ostile verso gli ex come noi – che prendere un cane e chiamarlo come il nuovo moroso della tua ex? Cosa c’è di più capace di catalizzare il consenso popolare che l’essere talmente come noi da garantirsi che i tuoi figli, la prima volta che la mamma presenta loro il nuovo amore, sghignazzino rievocando l’ultima volta che Silvio ha pisciato sulle scarpe di papà?

Certo, non conosciamo la cronologia, potrebbe essere che Chiara si fosse accuratamente scelta un flirt che si chiamasse come il cane dell’ex, per colmo di sprezzo, ma pare un piano di più complicata realizzazione e meno plausibile.

Va detto che, sulla questione del sono-come-voi, questo numero di Chi è un po’ il testo universitario definitivo. Subito dopo la Ferragni e Silvio, ci sono Totti e Noemi, non in barca, non al ristorante, non su qualche spiaggia da quattrocento euro a ombrellone, non in nessuno dei posti in cui, finché lo star system aveva come compito d’essere irraggiungibile e non immedesimabile, sarebbe stato fotografato ad agosto un ex calciatore multimilionario.

I due sono su un terrazzino triste, lei passa la ramazza, si danno il turno all’aspirapolvere per pulire le tapparelle. Le tapparelle. Che cos’è, “Romanzo popolare”? Non staremo esagerando, con questo terrore della presa della Bastiglia, una presa della Bastiglia fatta di Vongole75 che se non nascondi che sei ricco ti vengono a colpevolizzare nei commenti di Instagram?

E poi c’è lei. La regina delle immedesimabili, l’imperatrice delle influencer, la massima accademica del sestessismo di cui l’Italia disponga. Giorgia Meloni, in sette pagine d’intervista la prima metà delle quali su lei come madre, lei come donna che sacrifica i risparmi per la privacy, lei come utilizzatrice di frasi perfette per i gruppi di mamme su Facebook, che nel Grande Indifferenziato lessicale si scopre siano esportabili anche come dichiarazioni d’una presidente del Consiglio su un giornale.

Frasario minimo. «Fare un lavoro importante e dimostrare che si possono anche crescere dei figli non dovrebbe essere una rivoluzione, ma in questa società che spesso usa i figli per impedirti di raggiungere i tuoi traguardi probabilmente lo è». «Essere genitori è un mestiere a cui nessuno sente di essere preparato». «I bambini, nella loro ingenuità, sono in grado di dirti con semplicità la frase che ti rende felice come nient’altro al mondo e quella che ti distrugge». «La felicità ha bisogno di essere condivisa». «Sono sempre stata, e sono, una persona spontanea, immediata, semplice».

Sì, sono consapevole che se dai un’intervista a un rotocalco popolare tu debba avere toni più da gente comune che se t’intervista il Corriere della sera, ma ci sono quelli che risultano più legnosi e inefficaci anche quando provano a parlare di cose frivole (ho usato il maschile così non sembra che mi riferisca all’armocromista di Elly Schlein), e quelle che per questa cifra sono proprio portate. E, se l’alternativa a questa cifra è dirsi nostalgici di Moro e Berlinguer che andavano in spiaggia vestiti da ufficio, non ci vuole Pagnoncelli per svelare quale dei due posizionamenti funzioni meglio.

Ma come, diranno i miei piccoli lettori, l’altro giorno dicevi che i giornali non servono più a niente, e ora sono ottanta righe che ci parli di Chi. Ve ne parlo, gentili lettori, solo perché ieri mattina ero su un Frecciarossa dall’app del quale ho potuto leggere il prelibato manuale di sestessismo di questa settimana.

Qualche settimana fa, un giovedì mattina, mi serviva il numero di Chi uscito il giorno prima per una cosa che dovevo scrivere. Ero a Bologna, e ho detto fammi favorire il commercio di prossimità, invece che scaricare il Chi dalla app. Ho girato tre edicole, trovando edicolanti ignari dei giornali e abituati a vendere souvenir ai turisti e roba di plastica ai bambini.

Ho tentato invano di spiegar loro che la data su un periodico è quella di scadenza e non quella di uscita, mentre gli ignari convinti d’esser professionisti volevano vendermi il numero scaduto. Ma, soprattutto, ho scoperto che a Bologna Chi arriva il venerdì. Ricordo il Novecento, quando nei posti di mare bisognava aspettare un giorno in più rispetto all’uscita nelle città dei periodici, e ci pareva un’ingiustizia inaccettabile. Adesso di giorni, per arrivare da Milano a Bologna, ce ne vogliono due. Fa prima una raccomandata, d’un settimanale.

Quindi, in caso non siate a Milano o a Roma, il che l’8 agosto è parecchio plausibile, considerate questo articolo servizio pubblico, volto a non lasciarvi senza le informazioni essenziali sul declino della classe dirigente, ormai troppo presa a somigliare a noialtri per dirigere alcunché, per farci da modello di lusso, per far arrivare puntuali i treni e i giornali (però il Frecciarossa di ieri era in anticipo, ohibò).

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