La Fallaci dei DaikinLe mie sudatissime Olimpiadi del condizionatore rotto, e la superiorità del ciappinaro

Da Parigi alla metropolitana di Milano, fino a casa mia a Bologna, è l’estate dell’aria condizionata che non funziona. Sensibilità ambientale? Risparmio energetico? O solo incapacità di lavorare?

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Sì, va bene: la colica di Tamberi, la breakdance tipo ippopotamo di “Fantasia” dell’australiana, la sdraiabilità di Velasco, l’infinita polemica del pugilato, la quarta felice nel nuoto a rana, la norvegese strafiga del salto con l’asta. Tutto, direbbero i moderni analfabeti, iconico. Ma io credo che ci sia stato un momento di queste Olimpiadi dal quale più di tutti noialtri sui nostri divani ci siamo sentiti rappresentati.

Io credo che Thomas Ceccon, che ha fatto un pisolino su un prato di Parigi prontamente fotografato e rilanciato da giornali che hanno spiegato che, orrore e raccapriccio, le Olimpiadi francesi hanno lasciato gli atleti senz’aria condizionata, io credo che Ceccon ostaggio della sindachessa ecologista di Parigi si sia sacrificato per noi.

Per P., che ha preso un aereo qualunque perché l’overturismo non sarà mai peggio dell’aria condizionata rotta a casa tua; per D., che da settimane mi fa quotidiani bollettini sulla più importante lezione filosofica appresa quest’estate; per L., che ha tardato a chiamare e si è arresa ad andare in campagna per non morire d’umidità; per me, che quest’estate di lezioni filosofiche ne ho apprese ben due. Thomas si è steso lì per sensibilizzare l’opinione pubblica alla sofferenza di tutti noi, ostaggio dell’assistenza Daikin.

Ostaggio dell’assistenza Daikin o del comune di Milano: nelle stazioni del metrò si muore di caldo, un’amica mi ha spiegato che è perché Sala ha come modello la sindachessa di Parigi, e io ho detto ma sui vagoni c’è, e lei ha risposto con amarezza «finché dura». Una catena di affetti, una catena di ostaggi: e se non fosse ecologismo, se fosse che anche Sala non riesce a far riparare i Daikin? E se persino la Hidalgo avesse lo stesso problema? I francesi hanno persino meno voglia di lavorare degli italiani, vuoi che a Parigi gli sportivi non siano ostaggio della Daikin almeno quanto noialtri?

Una lezione filosofica che avevo già imparato molte estati fa è che è inutile prendersela con l’assistenza delle grandi aziende, giacché l’assistenza mica la fanno loro: la appaltano all’esterno. E quindi, ecco la lezione: deve dirti culo. Deve capitarti in sorte l’appalto dato a quelli che sanno lavorare. Cosa saranno, un uno per cento della popolazione? Figurarsi.

Ne avevamo già parlato il giorno in cui il tizio cui Daikin aveva appaltato casa mia faceva la parte di Salvini che pensava alla lista della spesa mentre si applaudiva un morto, e io facevo quella della Meloni che gli diceva «Arzateve pure voi»: a me non ha detto culo. È arrivato il tizio che mi dava del tu, ha detto che il condizionatore non perdeva, andava solo pulito ma lui non s’era portato l’attrezzatura, aveva smucinato un po’ con lo Scottex, se n’era andato con centosette euro in più.

Avevo fatto presente a Daikin la sua inettitudine, quelli avevano probabilmente chiesto alla ditta locale come mai mi lamentassi, la ditta aveva probabilmente risposto che loro avevano fatto tutto per bene e io ero pazza. Era appena iniziata l’estate, figuriamoci: quante rimostranze e richieste d’intervento avranno avuto da gestire?

Un indizio del volume di lavoro lo si aveva già chiamandoli. Vogliono il numero di serie del condizionatore, gli dici «Lo guardo», e loro ti dicono che per regolamento non possono aspettare al telefono mentre lo guardi, devi richiamarli dopo essertelo annotato. Certo, non sia mai che questi centosette euro debbano impegnare invano un centralinista per sette secondi.

Un altro indizio è il fatto che non conosco nessuno che non sia disperato per la mancata assistenza della Daikin. L’amico P. ha preso l’aereo della speranza dopo che, a fine luglio a Roma, gli hanno detto che sarebbero andati ad aggiustargli il condizionatore il 10 settembre: ovunque atterrasse, avrebbe sofferto meno. L’amico D. nell’ultimo mese li ha dovuti chiamare tante di quelle volte che, coi soldi che gli ha dato invano, si sarebbe comprato un nuovo condizionatore, non so di che marca ma ne esisterà una in grado di organizzarsi per tempo con dei tecnici capaci sapendo che d’estate ci sarà molta gente che, ohibò, pretende che la sua aria condizionata funzioni.

A D., il tecnico genovese ha detto ciò che il mio tecnico incapace aveva detto a me, ma in maniera più sintetica. Entrambi indignati che noi credessimo ci fosse la possibilità che il condizionatore raffreddasse meno perché era finito il gas, ci hanno spiegato che il gas va rifocillato solo se c’è un guasto, una perdita, un incidente. Il mio, sbuffando per la leggenda metropolitana del gas finito, ha sfoderato la similitudine dello pneumatico, nel quale c’è sempre aria finché non lo buchi. Avevo troppo caldo per contestargliela (beh, no, un po’ d’aria la perde fisiologicamente anche lo pneumatico non bucato), ma non ero convinta.

Il tecnico genovese, invece, ha saputo entrare nel nostro (di D. ma anche mio, che oltretutto soffro d’invidia per gli aforismi) immaginario come solo certi filosofi sfogliati al liceo. So di non sapere. La monade non ha finestre. Non ci si può bagnare nell’acqua in cui ci si è già bagnati. E poi, nel 2024: il gas è infinito.

Il gas sarà pure infinito, ma il mio condizionatore ha ricominciato a perdere. E peggio di prima: ora l’acqua colava dal retro, lungo il muro. Oddio, mi ritroverò il muro ammuffito? Chi sono, Edith Beale? Ho chiamato di nuovo la Daikin. La Daikin ha chiamato di nuovo i cialtroni dell’assistenza locale. Il cialtrone che l’altra volta m’aveva detto «sicuramente è perché è sporco, andrà pulito», e poi m’aveva mandato un tecnico senza l’attrezzatura per pulirlo, quel cialtrone lì mi ha chiamato due giorni dopo, alle otto del mattino.

Stavo bevendo il cappuccino, e vorrei scusarmi col barista che m’ha sentita urlare «io le mando un avvocato», ma insomma: se mi dici che tu gratis non mi mandi nessuno a rimediare al tuo non aver fatto il tuo lavoro al primo giro, che non mi hai mai detto che andava pulito ma il tecnico riferisce che era sporco e quindi puoi mandare qualcuno a pulirmelo per ulteriori centotrenta euro, se fai quello che su Instagram chiamerebbero «gaslight» perché “Angoscia” non l’hanno visto ma hanno trovato la parola in qualche carosello di diapositive, se esageri col metodo delle piccole truffe, io alzo la voce. Magari finisco comunque a dormire sull’erba, ma intanto mi sono sfogata.

Vorrei a questo punto lodare l’operatrice Daikin. Non quella con cui ho parlato alle 8 e 53, con la quale è caduta la linea dopo un mio lungo monologo conclusosi con «Mi dica: sono su “Scherzi a parte”?» (dite che avrà riattaccato lei?). Non quella con cui non ho parlato alle 8 e 58, quando il disco mi ha detto che erano tutti impegnati (giacché Daikin oltre che sui tecnici risparmia pure sui centralinisti). Quella con cui ho parlato alle 9 e 47. Dalle 9 e 47 alle dieci e zero nove. Quella che mi ha detto le magiche parole «intanto chiederei per lei un cambio di csa». Non so di cosa sia acronimo «csa», ma ho capito che significa: vediamo se troviamo una ditta meno cialtrona da mandarle.

La signora ha scritto nei computer Daikin una sintesi delle mie epiche lamentazioni, e mi ha detto che non avrebbe aperto un reclamo, «sennò si blocca tutto finché non si risolve», di richiamare per il reclamo dopo che era venuto il nuovo tecnico, e far ricopiare la motivazione della richiesta di cambio di csa come ragione del reclamo. Una che sa fare il suo lavoro. Non ne vedevo una da anni. Avevo una lacrimuccia.

Intanto D., dal divano sotto al suo condizionatore finalmente funzionante (dopo che la riparazione era costata una mezza dozzina d’interventi e un paio di rate di mutuo), mi scriveva che le mie lagne erano avvincentissime ma «per meritarti il soprannome di Fallaci dei Daikin, il prossimo che ti mandano dev’essere greco, deve nascere un amore in cui la sensualità sia seconda solo alla comune passione per il liquido refrigerante, e deve perire prematuramente lasciando le tue stanze ostaggio dell’anticiclone africano».

Un po’ mi veniva da ridere, un po’ ero certa che si sarebbe arenato il cambio di csa (ormai lo chiamavo in gergo da addetta ai lavori: era chiaramente sindrome di Stoccolma), che davvero sarei finita a scrivere “Lettera a un Daikin mai riparato”. Ero ormai troppo sfiduciata, scusami signora delle 9 e 47.

Sono andata dall’uomo che risolve tutti i miei problemi pratici (anche perché, se aspettiamo che li risolva io, altro che Grey Gardens), e quello mi ha detto: le mando su l’omino appena finisce di lavorare sul portone.

Il pomeriggio l’omino è salito, ha diagnosticato in trenta secondi «i tubi di scarico sono pieni», ha scardinato il Daikin dal muro, li ha svuotati in un secchio, e nel giro di tre minuti il condizionatore non solo non perdeva più ma raffreddava come mai prima. Una bolognese mi ha detto con aria saputa «è la solita superiorità del ciappinaro», ovvero del tizio non specializzato che ti fa i lavoretti in casa, ma il punto non è la superiorità sua, bensì l’inferiorità del tecnico Daikin.

Dove lo mettiamo, nella classifica “nessuno sa più fare il proprio lavoro”, il tecnico dei condizionatori che se il macchinario perde non intuisce che il punto da cui dovrebbe scaricare l’acqua sia intasato? Prima o dopo i giornalisti che non sanno fare i titoli? Prima o dopo i cardiochirurghi che non sanno fare i bypass? Prima o dopo i baristi che non sanno fare i cappuccini?

Il giorno dopo mi ha chiamato il tizio della nuova ditta di tecnici. Il cambio del csa dunque era una realtà. Era gentilissimo: dunque se avessi aspettato solo un altro giorno sarebbe tutto finito comunque bene anche seguendo la prassi ufficiale? Chissà: anche il cialtrone specializzato al quale ho minacciato avvocati (come una commentatrice social, chevvergogna), anche lui era stato gentile, all’inizio.

Ho detto al signore del nuovo csa, qualunque cosa esso fosse, che avevo risolto. Non gli ho detto che sospettavo che la temperatura nel villaggio olimpico e quella nel metrò di Cadorna dipendessero da tecnici Daikin incapaci. Non gli ho detto che il gas sarà pure infinito, ma mai quanto la cialtroneria dell’assistenza estiva d’un prodotto che serve solo d’estate.

Ero serena come lo si è solo in una stanza climatizzata a diciotto gradi. Ma anche come chi ha imparato, in una sola estate, ben due lezioni filosofiche. Sì, il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me, ma soprattutto: ti dirà culo più facilmente, se disponi d’un congruo numero di raccomandazioni. Come principio etico esistenziale, avere nella rubrica del telefono qualcuno che ti faccia arrivare subito un operaio competitivo, senz’aspettare i tempi parigini dell’assistenza Daikin, fatta di gente convinta che l’importante sia partecipare, mica svuotare i tubi di scarico.

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