Chi pensa che il Parlamento europeo sia un posto noioso dovrebbe ricredersi. Per certi versi, l’emiciclo di Strasburgo assomiglia a una qualunque classe di studenti del liceo. Andare d’accordo con tutti è chiaramente impossibile: si formano gruppetti sulla base di interessi comuni, e può capitare che qualcuno rimanga tagliato fuori. O per scelta propria, o perché considerato dai più come un tipo un po’ “strambo”.
Tra i settecentoventi membri che compongono il Parlamento europeo in questa legislatura (2024-2029), una scatenata trentina occupa gli scranni in fondo all’emiciclo. Sono i deputati europei non iscritti a partiti sovranazionali: un selvaggio manipolo di esponenti dei più diversi orientamenti politici, scaricati dal gruppo di cui facevano parte in precedenza o proprio mai entrati in alcuno. Ricordate l’europarlamentare romena munita di museruola in stile Hannibal Lecter che “si esibì” durante il dibattito sulla riconferma di Ursula von der Leyen, lo scorso 18 luglio? Ecco, lei è una di questi.
Prima di passare in rassegna alcuni dei trentadue lupi solitari, però, occorre fare delle premesse. Innanzitutto, c’è da dire che mettere insieme un gruppo parlamentare presenta alcuni paletti legislativi. A norma del Regolamento europeo, articolo 33, infatti «un gruppo politico deve essere composto da deputati eletti in almeno un quarto degli Stati membri e deve constare di almeno ventitré deputati». Una condizione che limita la possibilità di formare coalizioni di piccola entità per i candidati che non risultano parte di un grande macrogruppo.
Dal 1979, anno delle prime elezioni, a oggi il numero dei partiti europei è oscillato tra sette e dieci. Durante questa legislatura, i gruppi dell’emiciclo sono otto (senza considerare l’assembramento dei non iscritti). La coalizione di maggioranza è quella del Partito popolare europeo, seguita dall’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, dai Patrioti per l’Europa, dai Conservatori e Riformisti europei, dal Renew Europe, da Verdi/Alleanza libera europea, da Sinistra al Parlamento europeo e da Europa delle Nazioni Sovrane.
In questi quarantacinque anni di vita il Parlamento europeo ha sempre ospitato una quota variabile di deputati indipendenti. In otto casi su dieci, tra l’altro, ha fatto la sua comparsa almeno un partito italiano: il Movimento Sociale Italiano nel 1979, il Partito Radicale nel 1984, i Federalisti e il Movimento Sociale Italiano nel 1989, il Partito Socialista Democratico Italiano nel 1994, il Patto Segni e la Lega Nord nel 1999, il Movimento Sociale e Alternativa Sociale nel 2004, la Lega Nord nel 2014 e, last but not the least, il Movimento 5 Stelle nel 2019. Per il partito di Giuseppe Conte quella fu una totale debacle: dei quattordici eurodeputati eletti all’inizio della legislatura, solo in cinque rimasero fedeli alla maglia (gli altri nove si persero in mille rivoli, tra Forza Italia, Renew Europe, Verdi, Partito democratico e Fratelli d’Italia).
Ma far parte di un gruppo non è uguale a mettersi in proprio. Certo, si potrebbe pensare che la non dipendenza da alcun macrogruppo consenta di votare ed esprimersi più liberamente, senza l’angustia di corrispondere alle direttive del partito. Tuttavia, è indubbio che ci siano vantaggi maggiori nel far parte di una squadra di deputati con idee affini.
In primis perché solamente i membri di un macrogruppo possono aspirare a posizioni chiave nelle strutture politiche e organizzative del Parlamento, come la presidenza di commissioni o il ruolo di shadow rapporteur su importanti dossier. Questo non vale per i parlamentari non affiliati ad alcun partito. Di fatto, non avendo diritto di voto alla Conferenza dei presidenti – l’organo politico responsabile dell’organizzazione dei lavori del Parlamento, delle questioni di programmazione legislativa e delle questioni riguardanti le relazioni del Parlamento con le altre istituzioni dell’Unione europea – quasi mai sono relatori nelle varie commissioni parlamentari.
Poi perché, rispetto ai deputati non iscritti, i partiti europei ricevono finanziamenti più elevati per coprire i costi amministrativi e operativi del personale di un gruppo, ma anche per sostenere le spese delle attività politiche e di informazione nell’ambito delle politiche dell’Unione europea.
E infine perché i deputati appartenenti a macrogruppi hanno diritto a un tempo di parola superiore rispetto ai lupi solitari durante le riunioni plenarie. Funziona così: se in una prima parte del dibattito parlamentare, i non iscritti hanno a disposizione lo stesso lasso temporale dei deputati di macrogruppi per esprimersi, in una seconda il minutaggio per ciascun outsider viene calcolato sulla base del suo peso politico in rapporto al numero totale dei parlamentari non iscritti. Ad esempio, tornando al caso dei pentastellati di cinque anni fa, a inizio legislatura i deputati di Conte potevano ambire a una finestra temporale relativamente ampia rispetto agli altri esclusi, dal momento che il numero di partenza dei candidati non iscritti era cinquantasette.
Tutto sommato, è una libertà pagata a caro prezzo quella di cui dispongono i deputati esterni alle liste parlamentari. Una condizione, tuttavia, di cui non sembra preoccuparsi il giovane youtuber cipriota Fidias Panayiotou. E come potrebbe, d’altronde? Il ventiquattrenne influencer di Nicosia pare vivere la responsabilità parlamentare con la stessa follia con cui elabora i suoi video virali. In occasione della presentazione della sua candidatura ha dichiarato di essersi candidato come indipendente perché non voleva «adattarsi agli schemi» e per dimostrare che «non ha interessi di partito da seguire». Ma quali sono le sue idee politiche? Nessuno lo sa.
Ad avere le idee chiare, invece, sembra essere Diana Iovanovici Şoşoacă, l’eurodeputata romena nota per la sua performance durante la sessione plenaria per la riconferma di von der Leyen di quest’estate. In quell’occasione interruppe un discorso sul tema dell’aborto della collega francese di Renew Europe Valérie Hayer, sventolando un quadretto della Vergine e gridando «Confidiamo in Dio» e «Sta uccidendo persone». Fu immediatamente espulsa dalla presidente Roberta Metsola. L’esibizione le valse la patente di outsider: «Non stavo cercando un gruppo, loro cercavano me, e hanno messo delle condizioni…vogliono essere politicamente corretti», ha detto. Ed eccola accontentata.
Al bestiario dei non iscritti non poteva mancare un negazionista dell’Olocausto. Lo slovacco Milan Mazurek, esponente del Partito della Repubblica, risponde presente all’appello. Non si esclude che possa fare amicizia con altri deputati estremisti rigettati (perfino) dal macrogruppo di destra-destra Europa delle Nazioni Sovrane. Questo è il caso di Maximilan Krah, che alle esclusioni deve esserci abituato visto che è stato espulso pure dalla sua lista nazionale, Alternative für Deutschland, a seguito di dichiarazioni non proprio di condanna nei confronti delle SS.
Dello stesso milieu culturale è il polacco Grzegorz Braun, membro del partito iper-conservatore Konfederacja. Oltre ad aver definito gli ebrei polacchi «nemici della Polonia», è noto in patria per aver spento con un estintore le candele che celebravano la festa ebraica di Hanukkah, e per aver rimosso un albero di Natale da un edificio pubblico perché presentava bandiere europee e decorazioni Lgbtqi+. Chapeau.
Altro personaggione è Nikos Anadiotis, attore, modello e all’occorrenza anche esponente del partito di estrema destra greco Niki. In una recente intervista fattagli da un quotidiano nazionale ha enucleato, per così dire, la sua idea politica in poche battute: «Vengo criticato quando dico che non accetto il terzo genere. L’uomo è nato con due sessi e non accetto un numero superiore a quello. È molto importante e dobbiamo difenderlo». E poi: «Sono a favore della divisa nelle scuole. Non penso che sia una bella immagine vedere ragazze di tredici anni con magliette corte, un outfit che non è adeguato alla loro età».
Di tutt’altro tono, ma comunque degno di far parte di questa schiera di outsider, è il tedesco Martin Sonneborn, fondatore di Die Partei, lo schieramento politico che ha come organo di stampa ufficiale una rivista satirica. Alla terza presenza consecutiva in Parlamento europeo, il partito si è distinto negli ultimi anni per una serie di proposte allucinanti e fortemente provocatorie: il permesso per voli di piccola tratta «solo per uccelli e insetti, e per la presidente della Commissione von der Leyen, che potrà continuare a volare tra Bruxelles e Strasburgo, e per Taylor Swift»; un calmiere al prezzo della birra e del kebab; due bombe atomiche per l’Europa; e il ritorno alla divisione tra Germania dell’Est e Germania dell’Ovest. What else?