Harris vs. TrumpIl civile confronto tra una leader democratica e un golpista

La vice presidente degli Stati Uniti è riuscita a mettere più di una volta il candidato repubblicano sulla difensiva, inchiodandolo alle sue contraddizioni, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

LaPresse

Nel primo e forse unico confronto televisivo con Kamala Harris, che si è concluso stanotte, Donald Trump ha avuto occasione di precisare le sue ultime affermazioni sul risultato delle elezioni del 2020. E ne ha approfittato per chiarire di non avere mai voluto riconoscere la sconfitta, spiegando che anche quell’«abbiamo perso per un soffio» da molti interpretato come una voce dal sen fuggita, in realtà, era stato detto «con sarcasmo». Del resto, da tempo l’ex presidente lancia messaggi chiaramente intimidatori in proposito, rilancia assurde teorie della cospirazione su nuovi brogli e manovre che sarebbero già in corso per rubargli le elezioni, proprio come nel 2020, e si dichiara deciso a sbattere in galera tutti i responsabili.

Parole che non dovrebbero essere sottovalutate, venendo dall’uomo che il 6 gennaio 2021 ha fomentato l’assalto al parlamento (cinque morti) per fermare la proclamazione del vincitore delle elezioni e la certificazione della sua sconfitta, dopo avere – lui sì – tentato in ogni modo di inquinare lo spoglio (indimenticabile la telefonata registrata in cui chiede al segretario di stato della Georgia di «trovargli» gli undicimila voti necessari a superare Biden). Ma soprattutto non dovremmo sottovalutare il fatto che tutto questo non abbia impedito e non impedisca ancora oggi anche a importanti leader politici italiani di schierarsi al suo fianco. Il che la dice lunga sui loro principi, il loro senso del limite e la loro affidabilità democratica.

In ogni caso, specialmente se confrontata con la tragica prestazione di Joe Biden nel confronto precedente, sembra che Harris abbia dato una prova convincente, sia riuscita a mettere più di una volta Trump sulla difensiva, inchiodandolo alle sue contraddizioni, e a offrire agli elettori un messaggio, un’idea dell’America e una prospettiva sul futuro meno torva e soffocante di quella presentata dall’ex presidente. Ma non è affatto detto che basti, ed è tutto da dimostrare che sia quello che la maggioranza degli americani desidera.

Il fatto che dal fronte trumpiano si contesti l’imparzialità dei conduttori, in compenso, è certamente un buon segno. Il fatto che tra i loro limitati interventi vi fossero affermazioni quali «Non esiste uno stato in questo paese in cui sia legale uccidere un bambino appena nato», dopo che Trump, a proposito di aborto, aveva parlato di «esecuzioni» cui sarebbero stati sottoposti i neonati, è sicuramente un segno dei tempi. Per non parlare della precisazione sul fatto che nessun cittadino di Springfield, in Ohio, avrebbe mai denunciato il problema di immigrati che rapirebbero gli animali domestici per mangiarli.

Un altro cavallo di battaglia di Trump, che forse spiega anche perché Taylor Swift, subito dopo il dibattito, abbia deciso di esprimere il suo appoggio a Harris con un post su Instagram sotto una foto in cui abbraccia il gatto (non bastassero le orrende battute del candidato vicepresidente J. D. Vance, cui si riferisce chiaramente la cantante quando firma il suo intervento come «Taylor Swift, gattara senza figli»).

Come sempre più spesso accade in simili circostanze, non solo a proposito della politica americana, è difficile separare il tragico dal ridicolo, l’angoscia che suscita il futuro e l’ilarità generata dal presente. Scrive il New York Times che «sebbene ci siano stati molti momenti critici, non sembra esserci stato un colpo del Ko che possa cambiare radicalmente la dinamica di quelle che saranno, da ogni punto di vista, le combattutissime elezioni di novembre». E questa, date le premesse da cui eravamo partiti, è probabilmente la previsione più angosciante, per l’America e per tutti noi.

Leggi l’editoriale di Christian Rocca su questo argomento

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