Giorno della marmottaLo sciopero dei lavoratori che vogliono difendere la Rai dal governo Meloni

La proposta della maggioranza di creare un tavolo permanente sul sistema informativo ed editoriale dell’azienda è pericolosa e mette a rischio sia la sostenibilità economica sia l’indipendenza politica della tv pubblica

Lapresse

Tecnici, impiegati, operai e quadri della Rai scioperano per chiedere un giusto rinnovo del contratto di lavoro e per difendere il loro futuro e quello della più grande azienda culturale del Paese. Perché la Rai è in crisi.

Eppure il rilancio del servizio pubblico è tema ricorrente nel dibattito pubblico. Una sorta di “giorno della marmotta” che ci riporta puntualmente all’inizio della storia senza che nulla davvero accada, mentre le condizioni quotidiane dell’azienda peggiorano di giorno in giorno.

L’ultimo capitolo di questa saga, di cui si potrebbe fare a meno, si è aperto in questi giorni con la proposta della maggioranza di istituire un tavolo permanente sul sistema informativo ed editoriale e sul ruolo del servizio pubblico.

L’attenzione di Slc e di tutto il sindacato è massima, visto lo stato preoccupante del sistema complessivo, unito alla consapevolezza che non c’è più tempo da perdere.

Perché se su tutto risalta l’urgenza riguardo il destino di una azienda di tale rilievo, a oggi, non si registra alcuna azione da parte del governo.

Tanti sono i temi che incombono. Dopo il taglio del canone di quattrocento milioni dello scorso anno, una misura di stampo populista che, se confermata, imporrebbe preoccupate considerazioni sulla sostenibilità economica della Rai, non se ne conosce ancora l’ammonterà per gli anni futuri.

Così come nulla si sa sul metodo di esazione: si continuerà a pagarlo con la bolletta elettrica o si tornerà al bollettino postale? Tema non indifferente data la recrudescenza del fenomeno dell’evasione, aggravato dal fatto che l’azienda ha ridimensionato la divisione dedicata proprio all’esazione del canone.

Eppure si sa che sulle certezze delle proprie risorse si costruisce il piano industriale di qualunque azienda. La Rai non fa eccezione. Conoscere l’entità del proprio budget, almeno nel medio termine, significa per un’impresa, poter disegnare il proprio futuro. Nel caso specifico della Rai è inevitabile porsi perciò l’interrogativo su quale destino l’attenda se, per finanziare un’ipotesi di piano industriale, deve vendere ulteriori quote di RAI Way per poi fonderla con Ei Towers, privandosi così del possesso di una sua importante infrastruttura.

Senza parlare dell’ipotesi paventata di trasformare l’azienda in una digital media company in un triennio con un budget di circa duecentoventicinque milioni di euro (!).

Come si garantisce l’indispensabile indipendenza dell’azienda dal decisore politico? E cosa impedisce di applicare i criteri di indipendenza del Media Freedom Act europeo già in questa tornata di rinnovo del Consiglio di Amministrazione?

La Rai è in stallo da ben prima di maggio: scarsità dell’offerta, poca sperimentazione, una narrazione del Paese sempre più piatta ed omologata, una esposizione debitoria ingente, un grave ritardo nella digitalizzazione dei processi.

Fin qui, le sole manifestazioni di interesse della politica sembrano piu indirizzate ad una logica spartitoria che al destino industriale e culturale della Rai.

Ed è in questo contesto che si presenta l’urgenza di rinnovare il contratto di lavoro per i circa undicimila quadri, operai e impiegati. E non solo con il giusto obiettivo di difendere il potere di acquisto delle lavoratrici ed i lavoratori. C’è in ballo la valorizzazione delle professionalità interne, possibile se si riparte dalle capacità produttive ed ideative aziendali e si inverte quella tendenza – che ha ormai trasformato l’azienda in una stazione appaltante – che nel tempo ha mortificato ed omologato l’offerta produttiva e informativa.

Bisogna davvero cambiare i modelli produttivi alla luce dei processi di transizione digitale che stanno trasformando il mondo dei broadcaster, e investire in innovazione e formazione.

Ecco perché oggi le lavoratrici e i lavoratori della Rai scioperano. L’apprensione è duplice: per il loro futuro ma, insieme, per quello della più grande azienda culturale del Paese. Che, lo chiedono anche loro, deve poter riprendere il ruolo che storicamente le appartiene e che nei decenni ha contribuito alla crescita civile e sociale del Paese con la qualità della sua offerta informativa e culturale.

Riccardo Saccone è Segretario generale Slc Chil

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