Con un giro d’affari di cento miliardi di euro e un universo di circa cinquantatremila aziende, il Sistema Moda – composto dall’industria tessile, dell’abbigliamento e degli articoli in pelle e simili – è un settore rilevante per l’economia italiana. Si tratta di un comparto formato quasi per il vento per cento da piccole e medie imprese, capaci di generare la metà del fatturato complessivo. Impiegando duecentoquarantaquattromila addetti (pari al cinquantacinque per cento del totale degli occupati), queste realtà svolgono un ruolo cruciale lungo tutta la filiera produttiva, sia nel mercato domestico che in quello internazionale.
Con un export pari a sessantacinque miliardi, il Sistema Moda è storicamente trainato da due forze motrici: l’alta gamma e la media-bassa gamma, entrambe penalizzate in varia misura dalla congiuntura settoriale internazionale avversa e dalla minore domanda di geografie storicamente fondamentali per il comparto, come ad esempio il mercato russo.
Questa situazione determina oggi due priorità per il comparto. In primo luogo l’esigenza di guadagnare competitività – sia in termini di efficientamento dei costi e aumento della marginalità, sia in termini di efficacia e valorizzazione dell’offerta: in questa direzione sono fondamentali investimenti in innovazione e sostenibilità. In secondo luogo, è necessario diversificare i mercati sia di approvvigionamento che di destinazione per mettere in sicurezza la supply chain e cogliere le migliori opportunità di crescita.
Per quanto riguarda il primo aspetto, oggi solo il sessanta per cento delle imprese del settore della Moda ha iniziato a investire in sostenibilità, soprattutto in campo ambientale. Sono quindi chiamate a un cambio di passo che considera diversi fattori critici come l’energetico (sia in termini di utilizzo di energie rinnovabili che di maggiore efficienza), la riduzione delle emissioni di carbonio, e il riuso e reimpiego dei prodotti (dalle materie prime al bene finale) in chiave di economia circolare.
La sensibilità dei consumatori alle tematiche di sostenibilità ambientale interessa anche la moda, per via dell’elevata impronta carbonica (dalle fasi iniziali della coltivazione delle fibre fino alla vendita, passando per la produzione e il lavaggio) su cui pesa anche il modello fast-fashion – ossia l’acquisto di prodotti a un modico prezzo da usare una sola stagione – che ha determinato un aumento dei rifiuti generati.
La strategia per prodotti tessili sostenibili e circolari (EU strategy for sustainable and circular textiles) della Commissione Europea del 2022 fissa specifici requisiti perché i prodotti del settore durino più a lungo, siano più facili da riparare e riciclare, introduce un passaporto digitale per ciascun di essi (il cosiddetto Digital Product Passport) che contiene informazioni sulle caratteristiche di sostenibilità ambientale e contrasta il greenwashing per rafforzare la consapevolezza dei consumatori sul fashion sostenibile.
Questa transizione verso una moda più attenta all’ambiente potrebbe passare anche attraverso l’introduzione di regole di responsabilità estesa del produttore (Extended Producer Responsibility, Epr) da parte di tutti gli stati membri dell’Unione europea, in modo da incentivare i produttori a progettare prodotti più sostenibili e contenere la produzione eccessiva. Nel dettaglio, i produttori dovrebbero stabilire un contributo ambientale, trasferito poi nei prezzi di acquisto finali, con lo scopo di finanziare l’attività di ricerca e sviluppo della filiera della raccolta per il riutilizzo o il riciclo dei prodotti.
Ulteriore elemento di sviluppo, è l’obbligo di raccolta differenziata per i tessuti tessili entro il 2025 – introdotto sempre in ambito europeo nel 2021 – tramite i cosiddetti “Textile Hub”, nuovi impianti dedicati al riciclo e al recupero di questi materiali, la cui costruzione è finanziata tramite fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. D’altro canto, anche le imprese stanno adottando in via diretta azioni per limitare il proprio impatto ambientale e quello della propria filiera.
Alcuni esempi sono l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, macchinari più efficienti e materiali derivanti da prodotti riciclati (come la plastica) o da scarti, così come l’offerta di servizi di sartoria o riparazione. In questo senso, Sace è al fianco delle imprese che si impegnano nella transizione verde come nel caso di Pattern Group – uno dei principali poli italiani di progettazione e produzione di linee di abbigliamento ed accessori del lusso – che entro fine 2025 trasferirà il quartier generale nella nuova sede a Collegno, a Nord di Torino, in un edificio all’avanguardia in termini di efficienza ambientale grazie alla garanzia Green di Sace.
Inoltre, l’implementazione di sistemi digitali anche nel Sistema Moda è una leva strategica per la competitività internazionale, la sostenibilità e l’ottimizzazione dei processi di produzione nonché di miglioramento e personalizzazione delle esperienze di acquisto.
Dall’intelligenza artificiale alla robotica e all’Internet of Things, le ultime tecnologie possono infatti rappresentare per le nostre imprese un rapido ed efficiente strumento di analisi e di acquisizione di Big data, accelerando di conseguenza il percorso verso soluzioni innovative e nuove opportunità di business, rendendo i processi produttivi più efficienti e competitivi.
La strategicità della digitalizzazione risiede sia nell’innovazione di prodotto (in particolare quella 4.0) sia nella formazione del capitale umano. Oggi il trentasette per cento delle piccole imprese investe in innovazione 4.0 e formazione, mentre la quota raddoppia per quelle medio-grandi.
Ne consegue che per un settore come quello della Moda, dove le piccole e medie imprese generano la metà del fatturato complessivo, devono necessariamente investire in questi due campi. Agire su questi due leve ha effetti rilevanti anche sulla export capability delle imprese: innovare i propri prodotti in chiave 4.0 e investire nella formazione accresce del quindici per cento la probabilità di un’impresa di iniziare a esportare.
È altresì fondamentale un maggiore accesso ai prestiti bancari per il sostegno degli investimenti strategici nella duplice transizione green e digitale in un orizzonte temporale più esteso. In tal senso gli ulteriori tagli attesi dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea favoriranno il miglioramento delle condizioni creditizie, i cui impatti positivi sull’economia reale si manifesteranno prevalentemente a partire dal 2025.
Le imprese del Sistema Moda possono anche contare sul “Reverse Factoring”, il prodotto di SACE che, grazie alla possibilità di usufruire di dilazioni di pagamento e offrono ai fornitori interessati l’accesso ai servizi di factoring per l’anticipo dei crediti, consente di migliorare i rapporti con i propri fornitori sostenendo la filiera produttiva ottimizzando il ciclo passivo; dotato di un meccanismo premiante che prevede un tasso di sconto da applicare alle fatture dei fornitori in funzione al loro rating Esg.
A livello produttivo, la realtà aumentata e i modelli 3D permettono di ridurre gli sprechi di tessuto, visualizzando i prodotti senza produrli fisicamente. Il design può essere inviato e modificato digitalmente, riducendo rifiuti e costi di produzione. Tecnologie dell’industria 4.0 migliorano l’efficienza delle imprese, diminuendo tempi e costi produttivi. Algoritmi e machine learning possono prevedere trend di consumo, mentre la blockchain traccia ogni fase del prodotto, migliorando la gestione delle scorte e la trasparenza della filiera.
A valle, l’esperienza di shopping diventerà sempre più digitale con tecnologie in grado di migliorare le attività di relazione con il consumatore e di ottimizzare i processi di back-end: alcuni esempi riguardano il ricorso all’IA per personalizzare la customer experience, il Virtual Try-on per consentire agli acquirenti di testare virtualmente l’esperienza di prova di un prodotto, o l’Extended Reality per simulare la “fisicità” della visita in negozio.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, il giro d’affari prodotto dal fashion ha sfiorato i cento miliardi nel 2023, pari a circa l’otto per cento del fatturato manifatturiero italiano. A livello dinamico, il fatturato è risultato in lieve aumento lo scorso anno (+1,6 per cento, trainato dal comparto dell’abbigliamento, a fronte del marcato calo per il tessile e di stabilità per le pelli), dopo un biennio di forte espansione, mantenendosi comunque ben al di sopra del dato pre-pandemia.
Nel primo semestre del 2024 si è però accentuato il rallentamento (-8,7 per cento su base tendenziale, peggiore della media della manifattura), spiegato sia dal generale deterioramento del contesto operativo nazionale (hanno frenato in particolare le vendite in valore sul mercato domestico, su cui ha continuato a pesare la riduzione del potere d’acquisito delle famiglie), sia dal graduale venir meno del sostegno dei prezzi alla produzione (ossia i prezzi praticati al primo stadio di commercializzazione). Inoltre, il calo si è diffuso a tutti e tre i comparti, pur rimanendo meno intenso per l’abbigliamento. Secondo le previsioni di Prometeia, il fatturato del Sistema Moda è atteso rimanere invariato nel 2024, per poi tornare a crescere nel 2025.
Parimenti, l’attività produttiva ha segnato una battuta d’arresto nei primi sei mesi dell’anno, con l’indice del volume della produzione in significativo calo (-9,4 per cento, in parte spiegato dal confronto statistico con una dinamica molto positiva registrata nello stesso periodo del 2023), anche in questo caso soprattutto per tessile e pelli. Gli indicatori qualitativi anticipatori non sembrano puntare a un’inversione di tendenza nel breve termine: a luglio, l’indice del clima di fiducia delle imprese del settore ha continuato a oscillare attorno a livelli modesti, frenato in particolare dai giudizi negativi sugli ordini.
A partire dal prossimo anno, il miglioramento del quadro internazionale, seppur non privo di rischi al ribasso legati alle tensioni geopolitiche, sosterrà l’avvio di un nuovo trend di crescita dell’attività, con il canale estero a fungere da principale volano di domanda, grazie anche alla ripresa dei flussi turistici. Al contempo, la progressiva discesa dell’inflazione consentirà ai consumatori italiani di recuperare parte del potere d’acquisto, incoraggiando quindi anche la domanda domestica, che rimarrà però ancora relativamente debole.
Il Fashion è uno dei settori di punta del Made in Italy nel mondo, riconosciuto per qualità, pregio ed eleganza. Proprio per queste caratteristiche le esportazioni di moda rappresentano più del dieci per cento delle vendite italiane oltreconfine e negli ultimi cinque anni sono cresciute a un tasso annuo composto (Cagr) del 4,1 per cento, ritmo inferiore a quello dell’export italiano totale (+6,1 per cento).
Tale dato riassume gli andamenti volatili mostrati dal settore negli scorsi anni. Lo scoppio dell’emergenza pandemica ha fatto segnare una decisa frenata (-18,5 per cento nel 2020), a causa delle interruzioni nelle catene di approvvigionamento e dei rincari dei costi di trasporto, nonché delle modifiche alle esigenze e alle abitudini di vita dei consumatori.
L’anno successivo le esportazioni di moda italiana hanno visto un notevole rimbalzo (+18,9 per cento), non ancora sufficiente a tornare al livello del 2019. L’elevato ritmo di crescita è proseguito anche nel 2022, grazie in particolare all’aumento dei prezzi, per poi fermare la sua corsa nel 2023 quando il valore delle vendite estere di Fashion è rimasto stabile (-0,3 per cento, in linea con il dato nazionale) a sessantacinque miliardi di euro per effetto del calo delle vendite in volume (-10,3 per cento).
La performance invariata è il risultato di dinamiche eterogenee dei comparti. L’abbigliamento – che compone oltre un terzo dell’export del settore – è stato l’unico comparto a registrare un aumento lo scorso anno (+2,4 per cento), mentre valigeria&pelletteria e calzature – con valori di export intorno ai tredici miliardi di euro – hanno riportato un andamento pressoché piatto (-0,8 per cento e -0,6 per cento, rispettivamente). Le vendite estere dei restanti comparti, invece, sono risultate in flessione, con l’eccezione della maglieria (+0,4 per cento).
Circa il cinquantacinque per cento delle esportazioni della moda italiana è diretto verso l’area extra-Ue (un peso superiore di sei punti percentuali a quello per l’export complessivo), a testimoniare come la peculiarità e design dei prodotti Made in Italy, spesso di alta-gamma, siano particolarmente noti anche in Paesi dove è in aumento la capacità di potere d’acquisto dei consumatori, specie Medio Oriente e Asia orientale.
Comunque, la Francia nel 2023 si è confermata la prima destinazione delle esportazioni della moda italiana avendo accolto beni per nove miliardi di euro, in crescita sostenuta (+12,5 per cento) sulla spinta dei principali comparti. L’export verso la Germania – con una quota di quasi il nove per cento – ha registrato un lieve incremento (+0,6 per cento), grazie alla performance favorevole delle vendite di abbigliamento e valigeria&pelletteria.
Al contrario, la domanda degli Stati Uniti ha riportato un calo consistente (-5,6 per cento) determinato dagli andamenti negativi di abbigliamento e calzature che non sono stati compensati dal rialzo del comparto valigeria&pelletteria.
Anche le esportazioni verso la Svizzera – primo mercato di sbocco del settore fino al 2021 – hanno subìto una marcata contrazione (-33,8 per cento) attribuibile a quasi tutti i comparti. Tale dinamica trova una spiegazione nei cambiamenti in corso nelle politiche logistiche e distributive dei brand del lusso che avevano garantito al Paese elvetico negli scorsi anni il ruolo, ormai in parte superato, di hub europeo del tessile e abbigliamento.
La Cina, invece, ha mostrato una buona richiesta (+14 per cento), specie sulla domanda di valigeria&pelletteria. Il consumo cinese di lusso all’estero, infatti, nonostante il momento di difficoltà che sta vivendo il Dragone, è in forte espansione.
Guardando invece ai territori di provenienza, la Lombardia è la prima regione esportatrice di fashion – con un peso di quasi il trenta per cento sul totale. Nel 2023 l’export lombardo ha visto un aumento del 4,1 per cento, vantando specializzazioni territoriali come il tessile e filati in seta di Como e tessile, abbigliamento e maglieria di Varese.
Anche la Toscana, nonostante l’ampio calo (-9 per cento), si conferma un importante polo esportativo in quanto sede di specifici distretti industriali: pelletteria e calzature, abbigliamento e maglieria a Firenze e tessile e abbigliamento a Prato. Inoltre, alcuni dei maggiori gruppi internazionali hanno fatto investimenti nella regione per espandere la propria capacità produttiva al fine di continuare a garantire la qualità artigianale dei propri prodotti.
Una simile dinamica, seppur attenuata (-3,2 per cento), è stata riportata dal Veneto, dove si distinguono, tra le altre, le specializzazioni di concia e tessile e abbigliamento a Vicenza, calzature sportive e tessile e abbigliamento a Treviso e calzature di Padova e Venezia. Tra le altre principali regioni di export di moda emerge l’Emilia-Romagna (+1,9 per cento), con l’abbigliamento e maglieria di Rimini e Modena.
Nel primo semestre dell’anno, complice una fase di difficoltà causata dalle criticità del contesto operativo internazionale – tra cui anche il blocco del canale del Mar Rosso, in cui transita circa il trenta per cento della fornitura per il sistema moda italiano – le esportazioni italiane di fashion sono diminuite del 5,3 per cento su base annua, frenate dai comparti di valigeria&pelletteria (-8,8 per cento) e calzature (-10,3 per cento) a fronte di un’intonazione solo leggermente positiva dell’abbigliamento (+0,9 per cento).
La flessione è stata diffusa anche a tutte le principali regioni di export, mentre in termini di geografie di destinazione gli andamenti sono stati diversificati: da un lato, l’intenso rialzo della Cina (+12 per cento) e, dall’altro, gli ampi cali di Svizzera (-55 per cento) e Germania (-7,1 per cento); le vendite hanno visto una crescita contenuta ma rilevante verso la Francia (+1,1 per cento), mentre sono rimaste stabili verso gli Stati Uniti.
Performance significative però sono state registrate da alcuni Paesi Gate individuati nel Doing Export Report 2024 e dove Sace è presente con i suoi uffici, come Emirati Arabi Uniti (+33 per cento), Vietnam (+69 per cento), Singapore (+9 per cento) e Arabia Saudita (+17 per cento).
Seppur siano attesi miglioramenti della domanda estera nella seconda parte del 2024, le prospettive sono all’insegna della cautela ed è probabile una chiusura d’anno in negativo. Più favorevoli sono invece le previsioni per le vendite estere di moda per il 2025 quando invertiranno la tendenza aumentando del 3,9 per cento, grazie al miglioramento del contesto operativo internazionale.
Il traino sarà esercitato di nuovo anche dalla domanda di alcuni mercati Gate, tra cui Emirati Arabi Uniti (+15,8 per cento), Marocco (+10,8 per cento), Vietnam (+9,5 per cento) e Messico (+7,4 per cento), e non solo, come Polonia (+15,1 per cento) e Germania (+5,6 per cento).
Sace accompagna anche la crescita delle imprese italiane di fashion sui mercati esteri, un esempio è l’intervento a supporto dell’internazionalizzazione di Cisalfa Group con una garanzia finanziaria dedicata, volta all’acquisizione di due società tedesche del settore e al potenziamento della rete commerciale.