L’alibi perfettoL’operazione di Meloni in Albania non è solo un fallimento annunciato, ma voluto

Non c’era nulla di meglio per Giorgia Meloni che dichiararsi prigioniera politica di un’alleanza anti-italiana tra giudici nazionali e giudici europei, cui addebitare il freno dell’ambizioso programma per la salvezza della patria dall’invasione straniera

Associated Press / LaPresse

La trappola in cui è finito il governo italiano con l’operazione Albania può essere stata la conseguenza dell’ignoranza e della protervia con cui qualcuno, tra Viminale e Palazzo Chigi, ha pensato di ignorare la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Più probabilmente è stata però una scelta calcolata per salvare capra e cavoli, per non smentire l’impegno dei porti chiusi e comunque in balia di flussi migratori non controllabili e non tradire un consenso sovranista bisognoso di soddisfazioni e risarcimenti almeno simbolici.

Visto che su questo tema è impossibile per l’esecutivo raggiungere gli obiettivi dichiarati, cioè una gestione territorialmente esternalizzata e rapide procedure di rimpatrio dei non aventi diritto all’asilo e ad altre forme di protezione internazionale, non c’era nulla di meglio per Giorgia Meloni che dichiararsi prigioniera politica di un’alleanza anti-italiana tra giudici nazionali e giudici europei, cui addebitare il freno dell’ambizioso programma proclamato urbi et orbi per la salvezza della patria dall’invasione straniera.

Bisogna infatti considerare che l’emergenza cui il governo dichiara di volere rispondere semplicemente non esiste. In Italia il numero degli stranieri regolari è stabile da un decennio a cinque milioni e quello degli irregolari è anch’esso stabile (perfino in lieve calo) a meno di mezzo milione, malgrado nello stesso periodo siano sbarcati in Italia più di un milione di irregolari e i rimpatri forzati non siano mai stati superiori alle poche migliaia all’anno, senza significative variazioni durante i periodi di governo sovranista (lo scorso anno 4.700; quest’anno, secondo le proiezioni in base all’andamento del primo semestre, saranno circa un migliaio in più).

Insomma non c’è l’invasione, non ci sono i rimpatri (a cui le maggiori difficoltà sono opposte proprio dai paesi dei rimpatriandi), ma rimane la gallina dalle uova d’oro di un senso comune xenofobo coltivato e diffuso, che come ogni senso comune è del tutto refrattario alle prove di realtà e di ragione.

Così, prima, non è che Giorgia non abbia potuto fare il blocco navale perché non stava né in cielo, né in terra, ma è perché qualcuno non ha voluto. Così, ora, non è che Giorgia non voglia rimpatriare centinaia di migliaia di persone in poco tempo, è che i poteri forti del continente, con la complicità dell’opposizione italiana e di giudici felloni, vogliono lasciare qui questa umana zavorra criminale. Stranieri al servizio dello straniero.

Che poi, a seconda dei periodi e dei cambi ricorrenti di norme e requisiti di accesso, tra un terzo e la metà dei richiedenti ottenga il riconoscimento del diritto all’asilo o ad altre forme di protezione non è questione che ingombri la coscienza morale e razionale dei “respingeteli tutti”.

D’altra parte non è la xenofobia – non bisognerebbe stancarsi di ripetere – a essere una conseguenza della cosiddetta emergenza immigrazione. È l’emergenza immigrazione a essere il prodotto dell’egemonia culturale di quel sospetto per il diverso e lo straniero, che da retaggio della memoria evolutiva della specie umana diventa, nelle macchine del consenso cospiratorio, spiegazione di tutto il male del mondo e passepartout ideologico universale, per decifrare e vendicare qualunque insuccesso, nella vita degli uomini e delle nazioni, come l’effetto di un’usurpazione o di una violenza, e più ancora, qualunque principio di diritto o umanità come un ostacolo frapposto al corso di una giustizia tanto necessaria, quanto negata.

Diciamo la verità: questa nuova guerra alle toghe e a Bruxelles è la cosa migliore che potesse capitare a Giorgia Meloni, l’alibi perfetto del suo tradimento.

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