«C’è una voce nella mia vita / che avverto nel punto che muore». È da questo distico della poesia La voce di Giovanni Pascoli che prende le mosse il ciclo di tre laboratori multidisciplinari aperti al pubblico proposto da Pandemia, un’associazione di giovani artisti nata nel 2021 con l’intento di sfidare il tempo di stasi del Covid-19 attraverso un’arte “dentro al tempo”.
Nel loro studio in via Bellerio 40, in zona Affori Centro, sabato 26 ottobre dalle 17.00 alle 19.00 si terrà il primo appuntamento dell’evento “C’è una voce”. Attraverso la scrittura, il teatro e le arti figurative, i partecipanti potranno intraprendere un’esplorazione creativa, alla ricerca di quel sussurro vitale che emerge in noi quando tutto sembra venire meno. Ma che cos’è questa voce? E cosa dice?
Per Pascoli fu la parola «…Zvanì», il diminutivo romagnolo di Giovanni pronunciato da sua madre, che lo dissuase dall’idea del suicidio (tentato nelle acque del Reno) chiamandolo per nome. Un «soffio», si dice nella poesia, destinato a svanire, a non lasciare nulla dietro di sé. Per Riccardo Ricca, artista ventottenne di Pandemia, è invece «la risonanza acustica che scaturisce da una promessa di felicità piena che non viene mantenuta, la vibrazione di una lontana nostalgia per qualcosa di eterno».
L’arte, in tutte le sue forme, è lo strumento privilegiato per fare memoria di questa voce. Il bravo artista è infatti colui che è capace di cogliere – in maniera autentica – quella tensione misteriosa latente nella realtà e a riprodurla plasticamente. Sotto forma di versi, movimenti corporei, pitture o altro. A partire dall’appuntamento di sabato pomeriggio, artisti e artiste di Pandemia e partecipanti all’evento proveranno a intercettare quella voce lungo un percorso di tre tappe. La prima sarà incentrata sul tema del silenzio. Durante il laboratorio verrà stimolato l’ascolto del sussulto interiore di ciascuno, in modo da facilitarne l’emersione.
«Fare silenzio è necessario. Fare silenzio non significa per forza non emettere suoni o non parlare, certo questo può aiutare, ma va inteso come un fare spazio, mettersi in una posizione in cui qualcosa può abitare quello spazio, qualcosa anche di imprevisto – spiega a Linkiesta Etc Riccardo –. Per far emergere la voce occorre mettersi in una posizione di attesa, di osservazione, di tensione, a mio avviso di preghiera. La preghiera, per quanto abbia delle formule, è fare silenzio: significa predisporsi come un mendicante, che quindi è più ricettivo proprio perché ha bisogno».
La seconda tappa del percorso indagherà il tema della violenza, vale a dire ciò che impedisce alla voce di scaturire. Mentre la terza – denominata propriamente “voce” – porterà alla trasformazione dell’intuizione generata in prodotto artistico. Fil rouge fra i tre momenti sarà il continuo e vicendevole interrogarsi intorno al personalissimo sussurro che resiste quando tutto è sul punto di cedere, un confronto collettivo in grado di stimolare la ricerca del singolo. Particolare attenzione sarà infatti dedicata alla condivisione: gli artisti affiancheranno i partecipanti non solo durante i laboratori, ma anche durante le pause tra le attività, sostenendo il processo creativo e favorendo uno scambio continuo di idee e riflessioni.
La possibilità di un dialogo, oltre ad arricchire il percorso individuale di ciascuno, concorrerà a creare un senso di comunità. Ogni voce sarà così il tassello di un discorso più grande, una comunicazione capace di dare vita alle diverse espressioni artistiche. «Condividere il lavoro è importante a vari livelli: artistico, umano, ideologico», dice Ruben Londero, ventitreenne poeta di Pandemia. «Per quanto l’arte sia un fatto spesso personale, io credo che darsi all’altro, e al contempo riceverlo, sia un fattore sia di crescita che di comprensione del mondo. Anche la bottega del poeta più grande del mondo è vuota senza una finestra che dà di fuori».