Racconti dalle DolomitiIn Val di Fiemme, dove i boschi sono ancora una ricchezza nonostante Vaia e il bostrico

Resiste dal 1111 la Magnifica Comunità, ente che certifica la proprietà collettiva di ventimila ettari sopra i 1.600 metri. Mentre nel comune di Cavalese il riscaldamento è assicurato solo con gli scarti del legno già da venticinque anni. E ora è nata anche una “Wellness Community” che riunisce le imprese della filiera del benessere

CAVALESE – «Dell’abete non si butta via niente». È questa la regola della Val di Fiemme, tra le principali valli delle Dolomiti, in Trentino. Su questi boschi che da secoli costituiscono la ricchezza della popolazione locale, tra segherie e turismo di montagna, nel 2018 si sono abbattute le raffiche di vento della tempesta Vaia, che ha causato la caduta di oltre 15 milioni di alberi in tutto il Nord Est. E poi, per l’effetto combinato delle piante indebolite e delle temperature in rialzo, è arrivata pure l’epidemia di bostrico, un coleottero minuscolo che secca e uccide gli abeti rossi. E che, ripetono tutti, «è peggio di Vaia».

L’insetto ha infestato ormai una superficie che è due volte e mezza quella abbattuta dalla tempesta, con danni economici enormi. Gli effetti si possono vedere a occhio nudo, con le grandi macchie color ruggine sparse qua e là tra le foreste verdi. Un doppio trauma per i “fiammazzi” – come si chiamano gli abitanti della valle – che nel giro di pochi anni hanno visto cambiare del tutto il paesaggio intorno a loro.

Ma questa è gente di montagna che non si lascia piegare facilmente. Qui il bosco è una cosa seria e si sta facendo di tutto per rinnovarlo e renderlo resistente agli effetti dei cambiamenti climatici.

«Le foreste sono della comunità», spiega Marisa Giacomuzzi, vicedirettrice dell’Azienda di promozione turistica locale. Il che non è un modo di dire. Perché, letteralmente, qui i residenti della valle sono «proprietari dei boschi», grazie all’esistenza della Magnifica Comunità di Fiemme, un ente di origine medievale che certifica la proprietà collettiva di ventimila ettari tra boschi e pascoli sopra i 1.600 metri. Nel 1111 il Principe Vescovo accettò di donare alla popolazione quei terreni in cambio di una rendita consistente. Da allora, la “Magnifica” è sopravvissuta ai secoli trasformandosi in un ente pubblico che riunisce undici comuni, tra le province di Trento e Bolzano, con una propria sede in uno splendido palazzo rinascimentale di Cavalese.

I nati negli undici comuni della Magnifica acquisiscono la qualifica di “vicini” e sono loro i proprietari dei boschi. Per chi si trasferisce o sposa un “vicino”, invece, servono almeno venticinque anni di residenza (erano venti fino a fine anni Novanta). Ogni famiglia di “vicini” ha un “capofuoco”, che elegge i “regolani”, uno per ciascun comune, i quali a loro volta eleggono lo “scario”, il presidente e rappresentante legale della Magnifica che amministra i boschi insieme al “consiglio dei regolani”.

Marisa Giacomuzzi è “vicina” della Magnifica e anche “capofuoco”. In tanti, come lei, sono rientrati tra queste montagne dopo lunghe esperienze all’estero. E come tutti i “vicini” detiene il cosiddetto “diritto di legnatico”. Il che significa che «se ad esempio si ha bisogno di legname per il camino, si chiede l’autorizzazione alla Magnifica, che indica in quale zona del bosco andare a prendere la legna», spiega Mauro Gilmozzi, che oggi ricopre la carica di scario della Magnifica. Gli anziani sopra i settant’anni hanno invece uno sconto per l’acquisto nella segheria dell’ente.

La Magnifica, che impiega duecento dipendenti, bandisce pure le gare che assegnano alle segherie del luogo le porzioni di bosco per lavorare il legname. Ma sempre seguendo il principio di una «politica di gestione forestale sostenibile», come riportato nel regolamento.

«Dopo Vaia, però, tutto è cambiato. La tempesta è stata uno spartiacque che ci ha messo davanti a sfide che fino a pochi anni fa nessuno pensava di dover affrontare», dice Gilmozzi. «Poi è arrivato il bostrico, che è anche peggio, e ora siamo alla ricerca di nuove fonti di finanziamento per compensare la mancata produzione di legname».

La sfida è provare a immaginare le foreste non più solo come luogo da cui estrarre legna, funghi o frutti, ma anche come fonte di altre ricchezze. Dal turismo ai «servizi» che il bosco offre da sempre alla collettività, come la salubrità dell’aria, la stabilità del suolo e lo stoccaggio di anidride carbonica. «Servizi» di cui tutti sono diventati consapevoli quando questi boschi si è rischiato di perderli. Nel frattempo, dopo aver recuperato la legna danneggiata da Vaia e poi quella «bostricata», la Magnifica continua a lavorare al rimboschimento, necessario oltre al naturale rinnovamento delle foreste.

A Solaiolo, nel comune di Carano, ha sede il vivaio dell’ente, al quale a breve se ne aggiungerà uno più grande. Elisabetta Zanetti, vivaista, mostra quello che chiama «l’asilo delle piante». «La pianta che coltivo adesso sarà utile per la generazione futura», spiega. «I semi piantati restano nel semenzaio per un paio d’anni. Poi le piantine vengono trasferite per altri due anni nel piantonaio, dopodiché sono estratte e portate nel bosco. Il periodo tra maggio e giugno è il periodo migliore per trasferirle».

Dopo Vaia sono già state piantate sessantamila piantine. Ma non si parla più solo di abete rosso. «I danni della tempesta forse sono stati tanto estesi anche per la presenza quasi esclusiva dell’abete rosso, che qui è sempre stato preferito perché è il legname più pregiato e ricercato. Dopo la tempesta, abbiamo capito che un bosco resiliente è un bosco misto», dice Andrea Bertagnolli, direttore dell’ufficio tecnico forestale della Magnifica. Non essendo piante che perdono le foglie, con le raffiche di vento di Vaia gli abeti hanno creato una sorta di «effetto vela». E con le piante tutte della stessa età, e della stessa altezza, si è innescato un effetto domino a cascata.

«La nuova gestione forestale prevede quindi la piantumazione di abete rosso, ma anche di larice e cirmolo, cioè il pino cembro. Teniamo conto della gestione economica e dell’aspetto della produzione della filiera, ma anche del lato ambientale», dice Bertagnolli. «Abbiamo capito che un bosco misto, con alberi di varie altezze, offre maggiori garanzie davanti ai cambiamenti climatici in atto, in modo che i boschi continuino a garantire il loro servizio idrogeologico e di biodiversità. Finora forse abbiamo dato il bosco per scontato nella nostra identità e nella nostra economia. Ora la sfida della Magnifica è anche valorizzare i servizi ecosistemici che i boschi ci offrono».

Da qui anche l’idea di creare la prima comunità alpina dedicata al benessere, con il progetto “Fiemme Wellness Community”, che riunisce 443 imprese che operano nella filiera (per un totale di 2.410 occupati), moltiplicando le opportunità anche per gli altri settori economici. Secondo uno studio realizzato dallo European House Ambrosetti, nella valle la speranza di vita è già al di sopra della media nazionale. E il territorio, che ha dato i natali a diversi campioni dello sci di fondo, è anche ai primi posti per la pratica di attività fisica.

Tra questi monti, dove lungo le strade si vede gente correre, andare in bici, camminare, fare yoga, si terranno le gare di sci nordico e di fondo delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. Le strutture ricettive per i turisti sono più di mille. Ma qui sono attive ancora cinque grandi segherie. E qui sono nate e hanno deciso di tenere salde le proprie radici marchi come La Sportiva, Pastificio Felicetti, Fiemme Tremila e Starpool, il brand che ha brevettato il galleggiamento all’asciutto.

Ma se dell’abete non si butta via niente, dal 1999 a Cavalese è nata anche Bioenergia, azienda con la formula della public company, con quattrocento soci tra imprese e cittadini, che trasforma in energia gli scarti della filiera del legno. Su queste montagne, già venticinque anni fa, quando in pochissimi parlavano di sostenibilità ambientale, è nata l’idea di rinunciare ai combustibili fossili e al metano per passare al teleriscaldamento. «Il comune di Cavalese oggi è completamente teleriscaldato grazie agli scarti del legno», dice Andrea Ventura, amministratore delegato di Bioenergia, anche lui “vicino” della Magnifica. «Dalla sede di Bioenergia partono direttamente le tubazioni sotterranee verso le abitazioni».

Ogni giorno, nel cortile dell’azienda arrivano dalle segherie gli scarti degli alberi, il cosiddetto “cippato”. La corteccia, i lati del tronco eliminati, i rami e le radici: tutto viene macinato e accatastato, per alimentare poi le caldaie che generano calore. Dal 2012, è partita anche la produzione di energia elettrica, che copre il settanta per cento del comune di Cavalese. Dal 2016, con la segatura si produce il pellet per le stufe. E nel 2020 è stata creata anche la società Magnifica Essenza che distilla pregiati olii essenziali dagli aghi di pini, abeti, larici. «Gli operai separano a mano la parte verde dalla parte legnosa», spiega Guido Perin responsabile commerciale dell’azienda. «Poi, sfruttando l’eccedenza di vapore della centrale, estraiamo le essenze».

Il processo dura tre ore circa. Camminando tra i corridoio, il profumo di bosco che si percepisce è intenso. Da cinquecento chili di aghi, si estraggono all’incirca due litri di olio che, una volta separato dall’acqua, viene lasciato a maturare almeno una settimana per poi essere confezionato e spedito in tutta Italia. «Tutto merita una seconda possibilità», è scritto all’ingresso dell’azienda. In Val di Fiemme, dopo la tempesta Vaia e il bostrico, lo meritano ancora di più.

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