«Per la tutela della stabilità e dell’ordine costituzionale nel Paese, ai sensi dell’articolo 65 della Costituzione della Repubblica di Abkhazia, mi dimetto»: è tramite un documento diffuso via Telegram che il presidente de facto Aslan Bzhania ha annunciato di voler rinunciare al ruolo di presidente dopo quattro anni in carica. Quattro giorni fa, centinaia di manifestanti hanno fatto irruzione in Parlamento, nella città di Sukhumi, per protestare contro un disegno di legge che semplificherebbe gli investimenti nel settore immobiliare in Abkhazia da parte dei cittadini russi e per chiedere le dimissioni di Bzhania.
Il cosiddetto «decreto sugli appartamenti» era stato proposto per la prima volta a novembre 2021 proprio da Bzhania, secondo cui aprire la vendita di beni immobiliari nella regione a cittadini russi sarebbe stato fondamentale per stimolare la crescita economica dell’Abkhazia, che a oggi, tra l’altro, dipende, da un punto di vista economico, quasi totalmente dal turismo russo. E, da quel momento, la legge è stata ciclicamente proposta. Ma ogni volta che in Parlamento veniva decisa una data per la discussione del decreto, la popolazione iniziava a manifestare fino a che il disegno di legge non veniva ritirato.
L’Abkhazia è una regione della Georgia nord-occidentale dichiaratasi uno stato de facto indipendente dopo la guerra civile del 1992-93, una manovra ratificata con il referendum costituzionale del 12 ottobre 1999, e che dal 2008 è stata riconosciuta indipendente dalla Russia e poi occupata militarmente da Mosca in modo illegale (per il diritto internazionale, l’Abkhazia rimane parte della Georgia).
I rapporti tra Sukhumi e il Cremlino, però, hanno iniziato a deteriorarsi: a luglio di quest’anno la legge sugli appartamenti è stata ritirata per l’ennesima volta dopo che la popolazione aveva protestato, lamentando un possibile innalzamento dei prezzi nella regione e uno sbilanciamento demografico a favore dei russi.
Il governo russo, allora, ha dato un ultimatum alle autorità abkhaze. Durante un incontro tenutosi il 19 agosto con Bzhania, il vice capo dell’amministrazione presidenziale russa Dmitry Kozak ha annunciato che a partire dal primo settembre, e fino a che l’Abkhazia non «adempirà incondizionatamente ai suoi obblighi» nei confronti di Mosca – ossia l’approvazione della legge sugli appartamenti e la ratifica di un accordo sul riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie tra i due Stati –, il Cremlino avrebbe tagliato i fondi a sostegno dell’economia abkhaza, privato i parlamentari di opposizione della cittadinanza russa (tra il 2000 e il 2008 Mosca ha offerto un percorso semplificato per la doppia cittadinanza agli abitanti dell’Abkhazia, il cui passaporto non è riconosciuto dalla comunità internazionale) e modificato gli accordi commerciali che permettevano alla regione di usufruire delle risorse elettriche russe a un prezzo agevolato.
Così è stato, come confermato dal ministro degli Esteri dell’Abkhazia, Sergei Shamba, il 3 settembre durante una conferenza stampa. La decisione di Mosca, però, è stata difesa e giustificata da Shamba stesso: «È evidente che tra i nostri alleati russi si è accumulato un sentimento di malcontento nell’ultimo periodo. Sento da molte figure di rilievo russe che sui social media abkhazi si respira molta negatività per quanto riguarda i rapporti con la Russia», aggiungendo: «Lavoriamo insieme per migliorare le relazioni con questo nostro alleato, invece che per peggiorarle».
E ancora, il 23 settembre, Bzhania e il suo primo ministro, Alexander Ankvab, si sono rivolti ai parlamentari di opposizione, chiedendo che anche loro si impegnassero per migliorare i rapporti con Mosca: «Ho già detto, e voglio ribadirlo, che dobbiamo sfruttare le opportunità che ci sono offerte dalla Federazione Russa per rinforzare il nostro Paese e la nostra sovranità economica. La Russia è un nostro fratello, un nostro amico. Nessuno parla di annetterci – l’Abkhazia è indipendente –, ma dobbiamo adempiere ai nostri doveri verso Mosca», hanno dichiarato.
L’atteggiamento del governo nei confronti di Mosca ha suscitato dubbi sulle vere intenzioni del Parlamento circa il ritiro della legge sugli investimenti immobiliari. Il gruppo di attivisti KaraKHPitsunda, a luglio ha rilasciato una dichiarazione che recitava: «Il ritiro [del disegno di legge] è una soluzione temporanea, e non possiamo accettarla. Chiediamo delle garanzie: se i politici decidono di ritirare il decreto ora significa che hanno intenzione di riproporlo in futuro».
Le paure degli attivisti erano fondate: il 30 ottobre il ministero dell’Economia abkhazo e quello per lo Sviluppo economico russo hanno dichiarato di aver raggiunto un accordo per permettere agli investitori russi di operare in Abkhazia in campo immobiliare – in poche parole, una nuova versione del decreto sugli appartamenti –, che avrebbe dovuto essere approvata in Parlamento a Sukhumi il 15 novembre. A poche ore dalla discussione, però, centinaia di manifestanti si sono riuniti davanti al Parlamento chiedendo non il ritiro del disegno di legge, ma la sua bocciatura. Le proteste sono poi esplose quando i dimostranti hanno sfondato il cancello del Parlamento, che hanno poi occupato, chiedendo che Bzhania si dimettesse. Le forze dell’ordine hanno risposto con la forza, usando gas lacrimogeni contro la folla, che però ha resistito.
L’opposizione, allora, si è fatta carico del ruolo di mediatore tra il Consiglio di coordinamento e gli altri parlamentari, che a loro volta comunicavano con il presidente (che nel frattempo aveva lasciato Sukhumi per tornare nel suo paese di origine, Tamishi). Bzhania, inizialmente, ha tentato di respingere le richieste dei manifestanti, dicendo che le sue dimissioni sarebbero andate contro la legge. La portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha sostenuto la posizione del presidente, accusando l’opposizione della regione di usare metodi illegittimi per provocare un’escalation. Da Tbilisi, invece, la presidente Salome Zurabishvili ha condannato la situazione in Abkhazia, e ha accusato la Russia di voler «accelerare il processo di annessione».
Dopo tre giorni, la sera del 18 novembre, le trattative si sono concluse con un accordo per cui Bzhania si sarebbe dimesso a patto che i manifestanti lasciassero il Parlamento nella giornata del 19 novembre. Il presidente sarà sostituito ad interim dal suo vice, Badra Gunba, a cui spetterà l’incarico di sciogliere il governo e di nominare come primo ministro ad interim Valeri Bganba fino alle prossime elezioni, che dovrebbero tenersi a marzo 2025. Così, ieri, i trentuno membri del Parlamento dell’Abkhazia hanno votato per le dimissioni di Bzhania: ventotto a favore, uno contrario, due schede nulle. E per la terza volta in dieci anni il presidente della regione è stato costretto a dimettersi a causa del malcontento popolare verso le scelte del governo.