Colori spentiLa mostra a Milano che racconta la resistenza culturale ucraina alla devastazione russa

Dal 18 al 28 novembre, il Centro Brera ospiterà un’esposizione per raccontare i mille giorni dell’ invasione russa e l’orrore della guerra attraverso le opere di tre artiste

Colori spenti

Dal 18 al 28 novembre, il centro Brera di Milano ospiterà la mostra “Colori spenti”, un’esposizione che unisce l’arte alla tragica realtà del conflitto in Ucraina. Curata da Ilona Demchenko e Oksana Semenik, la mostra presenta le opere di tre artiste ucraine – Lyubov Panchenko, Polina Rayko e Zhanna Kadyrova – e si propone di sensibilizzare il pubblico sulle devastazioni della guerra, che non solo minaccia le vite umane, ma causa anche danni irreparabili alla cultura, agli ecosistemi e alla memoria collettiva del paese. Le curatrici spiegano: «La guerra non ha risparmiato nulla: cultura, ecosistemi, memoria. Ci sono artisti e artiste che muoiono quando vengono attaccati i civili e alcuni di loro cadono anche mentre si trovano a combattere in prima linea».

La mostra, organizzata dall’Ukrainian Institute, in collaborazione con Linkiesta con il sostegno dell’Ambasciata ucraina in Italia e del Consolato Generale d’Ucraina a Milano, oltre alle opere esposte offrirà anche due importanti panel di discussione. Il primo, che si terrà il 20 novembre alle ore 18:30, affronterà il tema dei danni culturali ed ecologici della guerra russa, mentre il secondo, che sarà il 26 ottobre alle ore 18:30, ha l’obiettivo di avvicinare il pubblico all’arte ucraina contemporanea.

«Le opere di Panchenko, Rayko e Kadyrova non solo incarnano la tradizione artistica ucraina, ma anche le cicatrici lasciate dall’aggressione russa», spiegano le curatrici. La natura e la cultura ucraine, che da sempre sono al centro della produzione artistica di Panchenko, Rayko e Kadyrova, sono ora sotto attacco, simboli della lotta per la sopravvivenza e della resistenza culturale. “Colori spenti” diventa così non solo uno spazio espositivo, ma anche un luogo di testimonianza e di resistenza, dove il racconto delle vite delle artiste e dei luoghi da loro amati si intreccia con la realtà della guerra.

Rayko, ad esempio, ha visto la sua casa trasformata in un’opera d’arte unica, distrutta dalle acque dell’inondazione provocata dalla distruzione della diga di Kakhovka. Le sue opere, che fino a quel momento erano state dipinte sulle pareti della sua abitazione, oggi esistono solo nelle fotografie e nei ricordi, un simbolo della vulnerabilità dell’arte in tempo di guerra. «Rayko ha iniziato a dipingere all’età di sessantanove anni, diventando una delle più note pittrici autodidatte dell’arte naïf ucraina – spiegano le curatrici –. La sua casa nel villaggio di Oleshky nella regione di Kherson, è diventata la sua unica opera. Per anni, la pittrice ne ha ricoperto le pareti con immagini realistiche e mistiche».

Anche le opere di Panchenko sono unica nel loro genere: l’artista prendeva ispirazione dai tessuti, dal ricamo e dal design degli abiti. «Le sue opere più famose sono state create utilizzando lana per cappotti, un materiale mai usato prima per le opere artistiche. La pittrice, che viveva a Bucha, nella regione di Kyjiv, è sopravvissuta all’occupazione russa, ma è poi morta in ospedale due settimane dopo la liberazione della città a causa dell’esaurimento fisico dovuto alla carenza di cibo nel periodo dell’occupazione», spiegano le curatrici. 

Infine, Kadyrova affronta il tema della guerra utilizzando simboli di distruzione per far riflettere il pubblico sulla drammatica situazione dell’Ucraina. Le sue opere trasformano le immagini della guerra in forme artistiche potenti, con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale e ricordare che il conflitto può minacciare chiunque se non si interviene per fermarlo. «Il nuovo progetto di Zhanna è stato presentato nell’ambito della Biennale di Venezia 2024. Si tratta di un organo in cui le tradizionali canne sono state sostituite dai bossoli delle armi russe», concludono le curatrici, spiegando che questa opera d’arte ha l’obiettivo di «ricordare che la guerra può arrivare in casa di chiunque se non facciamo niente per evitarlo».

 

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