Questa è la storia d’un regalo. Questa è la storia d’un pranzo autunnale. Questa è la storia di Giorgia Meloni che governerà per i prossimi trecento anni. Questa è la storia dei giornali italiani che non copiano abbastanza quelli forestieri. Ma soprattutto questa è la storia di Manuela Ravasio, che il sessismo dei lettori che non sfogliano le riviste di moda rischia di privare della gloria che giustamente ebbe l’anno scorso Alain Elkann.
Il regalo si chiama Frecciaplay, la app con dentro tutti i giornali che compulso quando sono in treno, sfogliando riviste che non ho mai comprato o che ho negli anni abbandonato. Ogni volta che prendo un treno ringrazio Frecciaplay di esistere: le meraviglie che mi perderei.
Solo ieri. Maria Rosaria Boccia (per chi se la ricorda) vive su uno yacht. Andrea Giambruno (per chi se lo ricorda) ha una storia con una tizia di Tivoli. E poi c’è Manuela. «La sua vita è in una stanza dove l’innocenza non entrò», cantava Julio quand’ero piccola, ma è evidentemente la descrizione sbagliata, perché neanche i lanzichenecchi in business avevano la squisita innocenza dell’editoriale di Manuela. Editoriale sul quale nessuno si è ancora accanito solo perché nessuno l’ha ancora fotografato sui social, unico posto in cui quei tenaci non lettori che sono gli sbeffeggiatori del giornalismo consumino i loro rituali.
Non ho seguito granché quella che qualche quarto d’ora fa è stata la polemica d’un quarto d’ora, la Meloni che dice che lavora nonostante l’influenza perché non ha i giorni di malattia, la sinistra che ormai completamente incapace di fare la sinistra non ne approfitta per dire che forse è il caso che le partite Iva abbiano gli stessi diritti dei dipendenti, e – per ragioni che appunto ignoro non avendo seguito il tutto – si finisce con la Meloni che parla di gauche caviar.
Che avevo liquidato come un’imprecisione meno grave di “radical chic” (che indicherebbe i miliardari che si baloccano con l’estremismo di sinistra ma viene usata, dai citazionisti più sprovveduti della storia dell’uomo, per indicare insegnanti di lettere col mutuo), ma comunque un’imprecisione: semmai sinistra del formaggio di fossa, essù.
E invece, c’è una ragione se Giorgia governerà trecento anni e io no, ed è che ci prende anche quando non ci prende, e lo scopro mentre vado da un’amica ricca a mangiare il tartufo. Tartufo che una volta la mia amica comprava, e invece ora anche i ricchi ottimizzano: la sua segretaria ha adottato un cane e l’ha messo a scavare i tartufi, siamo la sinistra a chilometro zero e mangiamo cose da ricchi ma senza spendere. Come, forse, i due avventori su cui fa sociologia Manuela.
Quelli che si scambiano, in un pub, una scatolina. «Gliela consegna con cura, ma anche con un filo di mistero: dalla scatolina arriva un profumo, è un pezzo di tartufo e lo condivide con l’amico che, in segno di ringraziamento, insiste per pagare il pranzo a base di panini».
Lasciate stare la sintassi, non cavillate sul fatto che il profumo sia al tempo stesso pezzo di tartufo e soggetto che condivide con amici, non andatemi fuori tema per favore, atteniamoci alla questione politica, che se non la vedete è perché siete osservatori meno acuti di Manuela – la quale, dove voi vedete un tizio che ha comprato un tartufo da sei o settemila euro al chilogrammo, vede il luminoso futuro della sinistra.
«I due amici e il loro tartufo sono una bolla a sé. Una bolla di umanità, di senso da dare alle cose, comprese quelle piccole che sappiamo essere ancora di grande valore, come il tartufo, un po’ il diamante grezzo e speciale della cucina» (ah, anche poeta). Come sarebbe, ancora non vedete che il privato è politico, il tartufo è politico, Manuela è sofisticata analista politica. Ma allora siete di coccio.
«Poche ore dopo quello scambio, in un’alba che pensavamo durasse di più, Kamala Harris avrebbe perso, schiacciata dal vociare di Donald Trump in un altro pub». Di nuovo: non vi distraete. Non fatevi deviare l’attenzione dalla consecutio sbagliata, dalle ben due allegorie che fanno a gara di debolezza, smettetela di pretendere che Manuela sia Marcel e ascoltate piuttosto quel che di cogente ha da dirvi: il tartufo, specie in anni in cui è più abbondante e quindi costa soli sei, sette, ottomila euro al chilo invece di dodici, come modello culturale delle vittorie (passate? Future? Presenti no, quello ce l’abbiamo tutti chiaro) della sinistra.
«La mattina in cui sto scrivendo è la stessa in cui mi sono detta “vinceranno sempre loro”: i potenti, gli urlatori, quelli che in un pub hanno bisogno di farsi spazio, non di scambiarsi regali come un pezzo di tartufo». Ci sono molte cose che vorrei dire. La prima è che Alain è un dilettante, Alain è un populista, Alain se la sogna una rovesciata (scusate, mi sono fatta prendere anch’io dalle metafore sciatte) come «voi orridi vincitori di elezioni e noi sensibili acquirenti di tartufo».
La seconda l’ha già detta Julio (inteso come Iglesias), ed è «prendere o lasciare: questa è lei, Manuela». La terza è che l’allarme per una società che nelle sue scelte elettorali non valorizza abbastanza il tartufo incontra la mia sensibilità politica, e se Manuela organizza una lista Oscar (inteso come Farinetti) ha il mio appoggio e anche il mio piatto di risotto su cui grattugiare il programma elettorale.
La quarta e più importante cosa è anch’essa già stata detta da Julio: «Lei, Manuela, è una parte d’infinito», e quindi urge che guardi oltre i confini nazionali in cui il suo editoriale su Elle è intitolato “Un tartufo regalato, e il non abituarsi a dire: Hanno vinto loro”.
Manuela, la prossima volta chiedi a me, che ho il giusto editoriale dal quale suggerirti di arrubbare il titolo. Parlava di Dominique Strauss-Kahn, lo pubblicò il Nouvel Observateur nel 2011. S’intitolava “De la gauche caviar à la gauche truffe”. Sinistra tartufa, altro che caviale, e Travaglio ti avrebbe anche fatto anche i giochi di parole sulla truffa del neoliberismo, la truffa del riformismo, i tartufi di Molière, la truffe e la truffa, erano giorni e giorni di prese per il culo, sai quanta pubblicità gratuita, Manuela, tutto ti devo insegnare.