Eterogenesi dei confiniL’estrema destra israeliana faceva il tifo per Trump, ma rischia una brutta delusione

L’ala più oltranzista del governo Netanyahu spera che la prossima amministrazione americana avalli l’annessione della Cisgiordania e cancelli definitivamente la prospettiva di uno Stato palestinese. Ma il presidente eletto sembra più orientato a fare accordi con l’Arabia Saudita, che in cambio chiederà lo Stato palestinese

AP/Lapresse

Bezalel Smotrich, il ministro fascista delle Finanze del governo Netanyahu, ha tagliato i tempi e dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca ha dato disposizioni al suo ministero di organizzare da subito l’annessione a Israele della Giudea e della Samaria, cioè della Cisgiordania. Meno precipitosi di lui, gli altri leader della coalizione di governo hanno comunque brindato alla prossima presidenza Trump, certi che metterà la parola fine sulla soluzione dei due Stati, e che sicuramente approverà la fine della prospettiva di uno Stato palestinese.

Non dissimili devono essere i pronostici di Benjamin Netanyahu, che infatti ha nominato Yechiel Leiter, storico della filosofia, quale futuro ambasciatore di Israele a Washington. Scelta scabrosa perché si tratta di un kahanista convinto, un seguace cioè del fascista, xenofobo e terrorista rabbino Meir Kahane, che il Likud, prima della sua gestione, negli anni Novanta, aveva addirittura fatto espellere dal parlamento per indegnità morale e per razzismo. Oltre all’annessione della Cisgiordania, infatti, predicava la deportazione forzata dei palestinesi.

Donald Trump, peraltro, a prima vista sembra corrispondere a queste aspettative dell’estrema destra israeliana perché ha nominato ambasciatore statunitense a Gerusalemme Mike Huckabee, un evangelico battista, solidale dichiarato dell’ala più estremista dei coloni israeliani, il quale ha subito dichiarato: «Il governo americano appoggerà l’annessione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania».

Dunque, i giochi sembrano fatti, e a uno sguardo superficiale pare che verranno premiate le aspettative di quel sessantasei per cento di israeliani che, prima delle elezioni, auspicava la sconfitta di Kamala Harris, mentre, all’opposto, il settantotto per cento degli ebrei americani ha poi votato per lei e contro Donald Trump.

Certo, è sicuro che se la Cisgiordania venisse annessa a Israele si verificherebbe una rottura netta tra Gerusalemme e l’Europa, ma questo poco importa a Bibi Netanyahu e alleati, che considerano comunque persi gli europei. Quel che conta per loro è il favore – e le armi – di Washington.

In realtà, però, queste aspettative dell’ala oltranzista del governo e dell’elettorato israeliano rischiano di andare deluse. E non è affatto sicuro che Donald Trump darà il riconoscimento degli Stati Uniti a un’annessione formale a Israele della Cisgiordania.

La ragione di questo possibile diniego è molto semplice: Donald Trump ritiene centrale e fondamentale rafforzare in Medio Oriente l’alleanza storica e strategica con l’Arabia Saudita, quindi con tutti i Paesi arabi del Golfo. Non a caso, Ryad è stata la destinazione del suo primo viaggio all’estero all’inizio del suo primo mandato nel 2016. Ma soprattutto l’Arabia Saudita è stata il baricentro e il garante di quegli Accordi di Abramo tra i Paesi arabi e Israele che è stato il suo unico successo diplomatico.

L’Arabia Saudita è disponibile a reiterare una nuova alleanza strategica con gli Stati Uniti, e anche a sottoscrivere a sua volta con Israele gli Accordi di Abramo, come era sul punto di fare prima del pogrom del 7 ottobre e della guerra di Gaza. Ma solo alle sue rigide condizioni.

Infatti, Mohammad bin Salman, che dell’Arabia Saudita è il re di fatto, per far comprendere che non ha nessuna intenzione di deflettere dalle sue pretese rispetto a Washington e a Gerusalemme, ha intensificato negli ultimi mesi le sue relazioni con la Cina e addirittura con l’Iran. Il messaggio è chiaro: la nuova alleanza strategica con l’America e la sottoscrizione saudita di un allargamento degli Accordi di Abramo si faranno solo e unicamente se verranno soddisfatte le rigide richieste di Ryad. In caso contrario, Mohammad bin Salman, farà accordi con la Cina e si unirà al fronte Brics, alternativo all’Occidente. Quanto ai rapporti con Israele, Mbs nelle ultime settimane ha denunciato la morte dei palestinesi a Gaza, e ha ribadito con forza che l’unica soluzione è la nascita di uno Stato palestinese.

Dunque, Donald Trump dovrà scegliere se dare ascolto all’estrema destra oltranzista israeliana e allo stesso Bibi Netanyahu, che li copre e aiuta a riconoscere l’annessione della Cisgiordania: se dovesse fare questa scelta, perderebbe ogni possibilità di accordo con Mbs. Oppure, potrebbe decidere di concordare con l’Arabia Saudita le forniture cospicue di sistemi d’arma e di tecnologia per le centrali nucleari, e infine venire a patti sulla nascita di uno Stato palestinese – con garanzie per la sicurezza di Israele ancora da stabilire.

Se sceglierà la strada di un accordo quadro con Ryad, le speranze degli oltranzisti israeliani andranno deluse, e a Netanyahu resterà solo lo spazio di manovra per legittimare nuove colonie e ridurre i confini di una Cisgiordania indipendente. Potrà anche concordare con Mbs tempi lunghi, molto lunghi, per la nascita dello Stato palestinese, e stringenti garanzie di sicurezza. Ma non di più.

Si vedrà, quindi, ma la notizia che Jared Kushner – sette miliardi di patrimonio, senza incarichi ufficiali questa volta – avrà un ruolo di consigliere per gli Accordi di Abramo, concorre a favorire un pronostico avverso alle speranze di chi lavora per l’annessione della Cisgiordania a Israele. Il genero di Trump, infatti, è ebreo ed è un grande amico di Israele, ma tutta la sua strategia diplomatica (e finanziaria) si è sempre imperniata su una più stretta alleanza con Ryad, e sul dare soddisfazione alle richieste di Mohammad bin Salman. I fondamentalisti israeliani rischiano di restare isolati.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club