Quando arrivò il momento della partita, il piano dei Lakers non era più segreto per nessuno. Anche perché Johnson lo aveva anticipato nel corso dell’intervista a bordocampo con l’ex giocatore dei Lakers Hot Rod Hundley. «Giocherò un po’ da centro e un po’ da ala, a seconda delle azioni» aveva detto con un ampio sorriso. Poi i Lakers entrarono sul parquet. «Andammo a metà campo per la palla a due» ha ricordato Westhead. «Jim Chones mi guardò e disse: “Salto io, coach, giusto?”. Risposi: “No, salta Magic”. Volevamo far vedere che il centro era lui».
«La telecronaca era stata affidata a Brent Musburger,» avrebbe ricordato in seguito Jim Hill «che cominciò annunciando con una risata: “E sarà il rookie Magic Johnson da Michigan State a saltare per la palla a due”». Johnson si avvicinò sorridendo al cerchio centrale per saltare contro Dawkins, e anche se perse, i 76ers sembrarono confusi. Los Angeles si portò subito sul 7-0, e poi sull’11-4.
«Il primo tiro che prese Magic fu un gancio dal post basso» ha ricordato Westhead. «Un tiro alla Kareem. E nel resto della partita giocò ovunque. Da guardia, da ala, anche se per tutti giocò da centro. Fu una cosa psicologica. Lo videro tutti come il centro. Il che ci aiutò. La gente spesso dimentica che in quella partita Jamaal Wilkes segnò trentasette punti».
«All’inizio non pensavo che un ragazzo come lui potesse sostituire Kareem» ha detto Lloyd Walton. «Ma con il passare dei minuti i miei occhi erano sempre più sgranati per lo stupore».
Johnson ebbe la mano calda fin dall’inizio, tirando – e segnando – prima con un jumper dalla punta e poi con un gancio sul lato sinistro nonostante la marcatura di Erving. Poi approfittò di un tentativo di furto andato male da parte della stella di Philadelphia per segnare nonostante il fallo di Dawkins. Quindi, in post sul lato destro del campo, attirò un raddoppio e servì Chones per un comodo jumper. Poco dopo fintò il tiro e poi si lanciò verso destra per un pull up jumper da distanza ravvicinata, seguito da un gancio incredibilmente dolce di mano destra partendo dal post basso sul lato destro del campo.
I Sixers sembrarono chiaramente scombussolati dalla sua esibizione, che si arricchì di un palleggio in hesitation che paralizzò l’intera difesa, aprendogli un varco per andare a concludere indisturbato al centro area. Per non parlare di tutto ciò che fece in contropiede.
«Magic entrò in ritmo» ha detto Lionel Hollins nel 2019, sottolineando che l’assenza di Kareem aveva creato una serie di problemi di accoppiamento a Philadelphia. «Correva quasi sempre con un uomo addosso». Sempre secondo Hollins, quando il ritmo rallentava, e si giocava a metà campo, in genere c’era qualcuno su Johnson. «Ma il più delle volte era davanti a tutti, a guidare le transizioni dopo aver preso il rimbalzo. Quella sera ne catturò quindici, ai quali aggiunse assist e una marea di punti. Una delle cose a cui non pensammo fu la sua capacità di segnare dal perimetro, oltre che in post».
Ma a fare la differenza furono soprattutto i contropiedi. «Una volta che recuperavamo il pallone, eravamo già partiti» ha ricostruito Johnson nel 1992. «In transizione Philadelphia non poteva tenerci».
Sempre secondo Hollins, una situazione figlia anche delle decisioni prese da Billy Cunningham sugli accoppiamenti difensivi. «Mancando Kareem, Billy immaginava che Magic avrebbe giocato spesso in post, e che sarebbe stato Nixon a gestire di più la palla. Così mise Julius, anziché me, in marcatura su di lui. Perciò quando Magic catturava il rimbalzo e si lanciava in contropiede, Julius era sempre costretto a inseguire. Fu un accoppiamento sbagliato. Magic era una guardia, Erving un’ala».
Fu quel miscuglio di capacità uniche di Johnson a mandare in confusione i Sixers, offrendo ai telespettatori un antipasto del successivo decennio del basket professionistico. Anche se in differita. Oltre a correre, Johnson lavorò molto in post, attaccando e andando in spin sia a destra che a sinistra.
Hollins ha detto che l’ingresso in campo di Bobby Jones aiutò i Sixers a rallentare lo slancio dei Lakers, andati subito davanti. «Una volta sotto, abbiamo cominciato a cercare gli accoppiamenti migliori e a recuperare». Nel secondo quarto, Philadelphia completò la rimonta portandosi poi sul 52-44. Ma dopo l’intervento di Westhead, che chiese ai suoi di chiudere al centro, i Lakers si ripresero e le squadre andarono all’intervallo sul 60-60. I gialloviola iniziarono il terzo quarto con un parziale di 14-0, guidati anche dai sedici punti di Wilkes solo in quella frazione. Tuttavia, quel parziale non arrivò solo per merito dell’attacco. Grazie alla sua velocità, Johnson riuscì a rubare un passaggio di Henry Bass, seguito poi da un suo passaggio direttamente da rimbalzo difensivo per un comodo layup da parte di Brad Holland.
Malgrado l’ennesima rimonta di Philadelphia all’inizio dell’ultimo quarto, Johnson si rimise all’opera. Prima con un tiro da fermo in faccia al suo marcatore, Bobby Jones, poi, dando la schiena a Jones, palleggiando in punta con pazienza in attesa che il miglior difensore degli avversari facesse una mossa. E quando accadde, nel momento in cui Jones si sbilanciò per provare a rubargli il pallone, Johnson virò verso sinistra e andò a chiudere con un facile sottomano.
«Earvin ebbe molti meriti» ha detto Hollins. «Disputò una gara fantastica. Non giocò da centro, fece la palla a due da centro. Avrebbero potuto farla fare a chiunque, tipo a Jim Chones. Ne avevano di gente in grado di saltare per la palla a due. In quella partita Magic ha fatto la point guard, ed è stato marcato da un’ala che in difesa non era abbastanza veloce per rincorrerlo. E lui ne ha approfittato, mostrandosi aggressivo, attaccando e segnando. Non si è messo fermo in post, come un centro. Ha fatto muovere i suoi marcatori, ma alla fine a vincere la partita è stato Jamaal Wilkes con i suoi 37 punti, che nell’ultimo quarto ha realizzato tutti i tiri importanti che doveva mettere. Anche Brad Holland, rookie proveniente da Ucla, ha segnato qualche jumper importante, così come Butch Lee. E anche Jim Chones ha fatto un partitone. Intendiamoci, Magic è stato fantastico. È stato lui il catalizzatore del loro gioco. In campo aperto era un brutto cliente e in quella partita lo fu particolarmente, non solo in transizione».
A cinque minuti dalla fine, i Lakers erano sopra 103-101. Westhead chiamò di nuovo time out, nel tentativo di far rifiatare i suoi, in quel momento stanchi. E funzionò, visto che al ritorno in campo nei successivi 76 secondi i Lakers si portarono in vantaggio di sette punti. Grazie all’energia della sua giovinezza, Johnson segnò nove punti nelle battute decisive. Il risultato finale fu 123-107.
Tratto da “Magic Johnson, la vita” (66thand2nd), di Roland Lazenby, 25€, pp. 696