Dopo quasi tre anni dall’inizio dell’invasione russa, la lotta degli ucraini contro l’invasione russa ha stancato una parte dell’opinione pubblica italiana, la stessa che ha esultato per la vittoria di Donald Trump. Che si tratti dell’area progressista, sempre più simile ai cugini veterocomunisti, alfieri del “pacifismo” à la Zacharova, o degli attivisti social, per i quali la resistenza ucraina non è più instagrammabile, tutti i buoni e giusti hanno scelto di dare per certa quella narrazione che vuole gli ucraini stanchi di una battaglia impari, che vede in Zelensky un accattone impegnato a elemosinare armi e Kyjiv destinata, sempre in pochi giorni, a rientrare nell’orbita moscovita.
Purtroppo per loro, le cose non stanno così. Gli ucraini non hanno smesso di combattere e dall’Est arriva la ferma risposta alle varie speculazioni occidentali: la guerra continua. Mentre l’esercito regolare continua a respingere l’offensiva russa, dai territori occupati arrivano notizie che non hanno trovato spazio sui giornali europei, notizie che da sole offrono una visione diversa del conflitto e minano le idee diffuse sull’armata russa, apparentemente monolitica e inarrestabile.
Nelle regioni cadute sotto l’attacco del Cremlino si muove una sigla: Atesh, il principale movimento partigiano ucraino. Di Atesh abbiamo scritto lo scorso gennaio, raccontandone la storia e le caratteristiche fondamentali – la segretezza dei suoi componenti, le azioni di sabotaggio e la lotta armata – sottolineandone il contributo fondamentale, assieme a gruppi di disobbedienza civile come il Nastro Giallo, alla resistenza ucraina.
Anche a inizio anno, abbiamo spiegato come non si tratti di un fenomeno circoscritto a pochi episodi, apparentemente ininfluente nel contesto più ampio del conflitto militare, ma che sono proprio le azioni partigiane a destabilizzare i piani della Russia che vede in Atesh una realtà assolutamente pericolosa per i suoi interessi. Da qui la strategia di Mosca: debellare il movimento sul piano militare ed evitare il più possibile di parlarne pubblicamente, così da sminuirne il peso e impedire la creazione di un mito. Queste contromosse, però, si stanno rivelando fallimentari e ce lo dimostra la cronaca militare recente.
Negli ultimi mesi, gli uomini di Atesh hanno condotto alcune operazioni oltreconfine che hanno seminato il panico tra i vertici dell’esercito russo. Azioni coordinate che agiscono su tre piani ben precisi: spionaggio, propaganda e guerriglia. Gli agenti di Atesh sono penetrati nelle unità militari che occupano il suolo ucraino e da lì diffondono in tempo reale gli aggiornamenti più importanti sulle iniziative contro Kyjiv.
A novembre, Atesh ha diffuso sul proprio canale Telegram l’informazione riguardante il generale Teplinsky, comandante del gruppo “Dnepr”, esaltato dalla Tass e dagli altri organi di regime per la risposta al contrattacco ucraino dello scorso maggio; Teplinsky ha iniziato a ispezionare le postazioni dei suoi uomini nella regione di Zaporizhia, per sondare il morale delle truppe e tentare di «ristabilire l’ordine tra i soldati» dopo la fuga di notizie, iniziata proprio da Atesh, sui casi di diserzione e fuoco amico avvenuti tra le proprie fila. Il giorno stesso, gli agenti di Atesh hanno diffuso nel dettaglio il lavoro del radar “Podlet”, usato dalla difesa aerea russa nella baia di Streletskaya per monitorare i possibili attacchi delle forze armate ucraine.
Dopo aver spiegato il funzionamento di “Podlet”, il movimento ha anticipato che sono molte le «sorprese» sfuggite al radar e che in poco tempo sarebbero arrivate le «buone notizie sui “fuochi d’artificio” a Sebastopoli». Altri aggiornamenti diffusi dalle spie ucraine riguardano gli spostamenti dell’esercito russo: il 5 novembre alcuni infiltrati hanno riportato ingenti spostamenti di riservisti nel distretto di Genichesk e la mobilitazione massiccia di nuove reclute da mandare in Crimea, due giorni prima, invece, hanno rivelato la geolocalizzazione di una nuova base russa nei pressi di Sebastopoli – nome in codice “Object No.221”, precedentemente abbandonata dagli occupanti – esponendola agli attacchi dei droni ucraini.
Oltre le informazioni di carattere pratico, la pubblicazione degli scandali interni all’esercito russo come i numerosi episodi di diserzione riesce, dati alla mano, ad abbattere il morale dei soldati di Putin, esponendone le debolezze operative. È qui che Atesh muove la sua seconda offensiva, quella legata alla propaganda. Lo scorso quattro novembre, gli attivisti della “Atesh Civil force” hanno appeso manifesti inneggianti al movimento sulle porte delle residenze militari di San Pietroburgo, invitando i soldati «disillusi» a collaborare riportando qualsiasi informazione utile alla lotta contro il regime.
Episodi simili avvengono dall’inizio dell’occupazione, tra i più significativi riportiamo quello del 26 ottobre scorso: centinaia di volantini della divisione “Atesh Civil Power” sono stati distribuiti a San Pietroburgo, Mosca, Voronezh, Krasnodar e Volgograd, dalle piazze più affollate alle fabbriche fino agli accampamenti militari. Imprese come questa servono non hanno tanto lo scopo di reclutare nuovi collaboratori (per quanto i fatti recenti dimostrino che la rete del movimento è molto più estesa di quanto si pensasse pochi anni fa), ma servono a dimostrare ai russi che gli agenti ucraini agiscono all’interno della Federazione, che il fenomeno non resta chiuso nel Donbas. L’esercito russo si sta muovendo confusamente per cercare di arginare Atesh.
Il pericolo è diventato ancora più reale quando il mese scorso i partigiani ucraini hanno distrutto l’oleodotto di Feodosia e sabotato la linea ferroviaria di Kursk, rallentando l’arrivo di munizioni, viveri e nuovi soldati. Ma finora la risposta alla guerriglia ucraina è stata inefficace, per usare un eufemismo. I generali russi hanno posto diverse taglie sui capi di Atesh, ricompense per i cittadini che ne segnalano le attività e rafforzato la polizia militare nei territori occupati, ma la sfuggevolezza di questa sigla, la segretezza dei suoi componenti e la frequenza, quasi quotidiana, delle loro operazioni rende ogni sforzo vano.
Atesh è un esempio pratico di cosa vuol dire rispondere all’invasione del proprio Paese. Assieme alla lotta dell’esercito regolare, i partigiani ucraini ci ricordano cosa sta succedendo ai confini dell’Europa e che i vaneggiati riallineamenti occidentali, la stanchezza (o meglio, la noia) dei nostri opinionisti e tutte quelle narrazioni che intendono deresponsabilizzarci lasciano il tempo che trovano. In Ucraina si continua a combattere.