In cosa si somigliano il caso Scamarcio e quello Stan? Sebastian Stan è l’attore che interpreta Donald Trump in “The Apprentice”, il film che i paranoici dicono si sia potuto fare solo perché il regista è iraniano e quindi il Donald non si è messo a piantare un casino per un film da festival, senza gli spari e gli inseguimenti e i supereroi, che l’America profonda (qualunque cosa essa sia) non avrebbe visto.
Riccardo Scamarcio è l’ex fidanzato di Valeria Golino. Sì, è anche uno che fa dei film, ma in questo caso è un dettaglio marginale. Sì, ha anche una fidanzata in corso, anche lei un’attrice nota a chi si occupa di viventi (si chiama Benedetta Porcaroli) e del cui lavoro io naturalmente non ho mai visto un fotogramma. Ma per il caso in questione basta: è l’ex fidanzato di Valeria Golino, che è una donna di successo da tanto di quel tempo che ho fatto in tempo ad accorgermene io, che sono ferma al Novecento.
Partiamo da Stan, che fa Trump in un film miracolosamente riuscito, film che riesce a non fare di Trump una macchietta, e che è serbatoio di citazioni con cui commentare la politica americana da qui a chissà quando (e se perdessi tutto il tuo patrimonio?, chiede una giornalista a un Donald degli anni Ottanta; forse mi candiderei a presidente, risponde quello).
Ovviamente “The Apprentice” entra nel circuito dei premi, prima dei quali – cioè in queste settimane: il minuetto delle premiazioni inizia il 5 gennaio coi Globe – ci sono tutta una serie di ritratti, interviste, confronti organizzati dalle riviste di settore. Quello inventato da Variety si chiama “Actors on actors”, va in onda sulla Pbs (la tv pubblica americana), ed è quel che sembra dal titolo: due attori – plausibilmente candidati: le candidature di solito escono dopo che queste cose sono state organizzate, ma insomma non è che chi lavora nel settore non sia in grado di capire chi è potenzialmente da premio e chi no – a confronto.
Perdipiù Stan è anche in “A different man”, altro film da premi, altra interpretazione complicatissima. Insomma, è l’attore del momento, e non comparirà in “Actors on actors”. Giacché, ha spiegato martedì sera a Los Angeles a una proiezione di “The Apprentice”, nessun attore l’ha voluto fare con lui. I portavoce degli altri attori hanno fatto sapere al suo che non avrebbero lasciato che i loro clienti si avvicinassero a materiale da conversazione rischioso quale “The Apprentice”.
Bill Maher racconta che, quando tre anni fa Elon Musk – non ancora sodale di Trump, solo uomo orrendamente ricco e potente – fu ospite di una puntata del “Saturday Night Live”, molti di quelli che ci lavorano non volevano parlargli. Immagino per paura di perdere la loro preziosa purezza. Ma non siete curiosi?, trasecola Maher, che essendo una persona seria non ha visto quello schemino che girava sui social nei mesi scorsi.
C’erano tutti i cattivi possibili da Trump in giù nei vari posti di un aereo, e tu dovevi scegliere in quale posto sederti, vicino a chi. Tutti i giornalisti americani si precipitavano a dire che per carità, piuttosto si buttavano col paracadute. Ma il tuo lavoro non è essere curioso? Cos’hai di più interessante da fare, in aereo, che parlare con qualcuno col quale non sei d’accordo su niente? Guardare “Cold Mountain” nello schermo sul retro del sedile davanti?
Ieri, sui social, c’erano due casi Scamarcio. Uno atteneva a non so che suo intervento in non so quale programma in cui si doleva per i bambini palestinesi o altra banalità. Coloro che si dolgono per gli ostaggi israeliani erano furibondi, giacché la banalità loro sì che è giusta, mica la banalità di quegli altri che invece è assassina, e comunque neppure per caso gli viene il dubbio che le due contrapposte banalità da social (o da talk-show) siano rumore di fondo rispetto a un conflitto centenario che non ha risolto gente che ha studiato molto più di Brocco81 o d’un attore.
E poi c’era, più interessante ai fini del declino dell’arte della conversazione, il caso Scamarcio a “Belve”, dove Francesca Fagnani gli aveva chiesto conto d’una qualche sua dichiarazione maschilista del 2006 (devono aver abolito la prescrizione), e lui rivendicando terronaggine aveva risposto che sì, in effetti pensava ancora che gli uomini fossero i capibranco e le donne quelle che si occupano della casa: «Che dobbiamo fa’: dobbiamo lavare a terra, noi?».
Nessuno, non Scamarcio né la Fagnani, due che non sciacquano un bicchiere da quando c’era la lira, riteneva di dire che i pavimenti non li lavano, nelle loro case, né i mariti né le mogli: li lava il personale di servizio, immagino adeguatamente retribuito, e mai chiamato «cameriera». (La società dello spettacolo è sufficientemente progredita da chiamare la serva «la signora che mi aiuta in casa»).
Tuttavia sui social, dove l’umanità troppo stupida per saper fare conversazione esprime opinioni sull’universo, reagivano come se veramente Valeria Golino fosse stata a casa a fare le pulizie mentre Scamarcio faceva lo splendido in giro. (Il tapino l’aveva pure premesso, «io sono sempre stato con donne super indipendenti», essendo un quarantacinquenne che costruisce i superlativi con «super» come le tiktoker ventunenni; ma niente, neanche quest’indizio è bastato a sedare il femminismo da cancelletti social).
Cos’è peggio, come indizio della morte dell’occidente come lo conoscevamo: la paura di parlare d’un film, nell’epoca che ha ridotto la critica culturale a cuoricini da apporre sotto articoli confermativi della nostra opinione tifosa? O la convinzione che dalla battuta d’un attore sulle faccende domestiche vadano difesi i diritti delle donne, in evidente mancanza di spunti più seri?
Il dibattito, nella stigmatizzazione del non avere Hollywood il coraggio di discutere di “The Apprentice”, si divide tra chi dice che gli attori temano ritorsioni dalla presidenza degli Stati Uniti se parlano di quel film (ma ritorsioni di che tipo? Non t’invitano a cena alla Casa Bianca? Non è meglio, così non rischi un impresentabile autoscatto col Donald?), e chi dice che, interpretandolo, Stan abbia legittimato Trump, sia contiguo al nemico, e col nemico non si parla.
Istanza che ha smesso di stupire, considerato che ormai dopo ogni elezione ci tocca leggere le dolenti testimonianze di chi ha smesso di parlare coi parenti che sono così poco perbene da votare partiti di destra. Per carità, è una scusa come un’altra, se ne cercavi una per non parlare coi più noiosi tra i parenti. In caso contrario, se cioè davvero c’è gente che vuole parlare solo con chi la pensa come lei, si comprende l’inevitabile declino della civiltà della conversazione.
La conversazione è un muscolo: se non lo eserciti si atrofizza. E non lo eserciti frequentando gente cui dire solo e sempre «non potrei essere più d’accordo» o «stavo proprio per dirlo io». E non lo eserciti scappando via se arrivano i cattivi e potresti occupare la serata a studiarli, anche solo per capire cosa li renda vincenti, anche solo per sfilargli da sotto il naso l’ultimo canapé che avevano adocchiato sul vassoio.
La riproduzione in cattività non fa bene alla specie, e a stare troppo tra simili ci s’indebolisce. Si diventa gente che prende sul serio un attore che pensa che lavare i pavimenti sia attività prettamente femminile (neanche fosse il ricamo, per cui servono mani piccole), si diventa catene di montaggio dell’indignazione perpetua. Si finisce per somigliare a quel ritratto di Ed Koch che pitta a un certo punto il Donald di “The Apprentice” parlando con un’intervistatrice: «Talento nessuno, e intelligenza sì e no moderata». Però tantissimi cuoricini dai tesserati della stessa curva.