In Europa centro-orientale, la Romania è stata finora considerata un’eccezione. A differenza di quasi tutti gli altri Stati Ue della regione – Ungheria, Polonia, Cechia, Slovacchia, Slovenia e Croazia – Bucarest era sembrata relativamente immune all’ondata di illiberalismo che ha spazzato, con varie intensità, l’Europa post-comunista. Il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali della scorsa settimana suggerisce che questo stato d’eccezione potrebbe presto finire. Non soltanto il candidato più votato è stato il nazionalista filoputiniano Călin Georgescu (22,3 per cento dei voti), ma George Simion, leader di Aur (Alleanza per l’unione dei romeni, Alianța pentru Unirea Românilor in romeno), formazione di estrema destra, ha ottenuto il 13.9 per cento.
Poiché i due condividono molte posizioni (russofile, euroscettiche e anti-atlantiste in politica estera; illiberali, in politica interna), si può concludere che più di un terzo dell’elettorato romeno – oltre il trentasei per cento – sembra supportare forze apertamente contrarie al modello di democrazia liberale che, pur con molti limiti, si è imposto nel paese dopo la caduta del dittatore comunista Nicolae Ceaușescu nel 1989.
Il primo dicembre si terranno le parlamentari – al momento i sondaggi danno Aur attorno al venti per cento – e l’otto il ballottaggio delle presidenziali. Tra meno di due settimane si saprà quindi se anche il sesto Paese Ue per numero di abitanti prenderà o meno la strada dell’orbanizzazione. Anche nel caso in cui prevalessero infine le forze moderate e liberali, comunque, l’estrema destra sembra essersi ormai consolidata anche in Romania. Questa deriva illiberale si spiega in larga parte con lo stato della libertà di stampa nel paese, accuratamente fotografato in un recente report pubblicato dal Media and journalism research centre (Mjrc) e curato da Liana Ganea e Razvan Marti, dell’Ong ActiveWatch.
Il report fa parte di un progetto pilota curato dal Mjrc che cerca di valutare quanto la situazione della libertà di stampa nei paesi Ue sia allineata alla legislazione comunitaria, specialmente allo European Media Freedom Act (Emfa) approvato lo scorso maggio. Il quadro romeno è in chiaroscuro. Secondo gli estensori del report, uno dei principali limiti all’autonomia e al pluralismo dei media è la scarsa indipendenza degli organi regolatori come il Consiglio nazionale per l’audiovisivo.
In un sistema mediatico come quello romeno, dove la collusione tra editori, politici e giornalisti è la norma, la scarsa imparzialità dei membri del Consiglio non aiuta a favorire lo sviluppo di un’informazione indipendente. Le leggi romene sono quindi allineate a quelle comunitarie sulla carta, ma nella pratica gli organismi regolatori faticano ad assolvere alla loro funzione di organo super partes. Una dinamica simile si registra anche nel caso del servizio pubblico, sotto pressione in un numero crescente di paesi, europei e non. Fin dalla fine del comunismo, sia la televisione (Tvr) che la radio pubblica (Srr) romene sono state accusate di manipolazione politica, censura, pratiche di gestione poco cristalline, corruzione diffusa e scarsa capacità di amministrazione delle finanze.
La situazione di Tvr è abbastanza peculiare. Essendosi dimostrata poco capace di stare al passo coi tempi e competere con le emittenti private, viaggia oggi su livelli di audience molto bassi, attorno al cinque per cento. Resta, tuttavia, in grado di confezionare prodotti giornalistici di qualità, godendo di un livello di autonomia editoriale pur basso, ma più alto di quelle delle concorrenti private che trattano di notizie. Sia Tvr che Srr, comunque, non riescono a produrre quel giornalismo critico del potere politico ed economico che sarebbe richiesto a canali di servizio pubblico. Un terzo ambito problematico per l’autonomia dei media dal potere politico riguarda la distribuzione dei fondi pubblici.
Soprattutto a livello locale e regionale, notano gli autori del report, le autorità tendono a favorire media considerati amici, spesso senza nemmeno indire bandi pubblici per l’assegnazione di contratti pubblicitari. La legge romena, inoltre, permette ai partiti di utilizzare fondi pubblici per comprarsi spazi sui media, incentivando una seconda forma di clientelismo e di fatto sussidiando il comparto mediatico in maniera indiretta. Queste limitazioni strutturali fanno sì che l’offerta mediatica romena sia sì pluralista, ma rimanga generalmente molto dipendente dai potentati economici e politici che governano la Romania.
I pochi reporter indipendenti che operano nel paese hanno vita dura, come dimostra il caso della giornalista Emilia Șercan, vittima di campagne diffamatorie e violazioni della sua vita privata a causa delle inchieste condotte su politici di alto livello, come l’ex primo ministro e attuale presidente del Senato Nicolae Ciucă. Sulla base degli altri precedenti nella regione, ci si può aspettare che, nel caso in cui si imponessero le forze illiberali nella doppia tornata prevista a dicembre, la situazione sarebbe probabilmente destinata a deteriorarsi ulteriormente.