Da Benriach è facile arrivarci. Prendi l’auto da Edimburgo e punti il nord. Passi attraverso il Parco Nazionale di Cairngorms, uno dei luoghi più incontaminati della Scozia. Tra brughiere, distese d’erica e di rocce dominate dal monte Ben Macdui, si nasconde un serbatoio immenso di sorgenti d’acqua purissima che fa la fortuna dello Speyside e della quarantina di distillerie disseminate in questo fazzoletto di terra, affacciato sul mare del Nord.
Coi monti e il parco alle spalle, la strada inizia a incrociare il fiume Spey, che dà il nome al territorio. Passata Craigellachie, sulla strada per Elgin, sali tra i campi di colza fino a Benriach, nei pressi di Longmorn. Il mare è poche miglia più avanti. C’è un motivo se i suoi ultimi cinquant’anni, Benriach li ha voluti mettere in bottiglia – anzi, per la precisione, in trentasette bottiglie – parte di un’edizione speciale proveniente da un’unica botte. Sono i cinquant’anni in cui la distilleria è rinata (due volte) dopo oltre sessanta di silenzio.
Nascere prima del Pattison crash
Benriach nasce nel 1898, fondata da John Duff, che era già proprietario della vicina distilleria Longmorn. Tra il 1880 e il 1890 il whisky gode di un periodo d’oro e la produzione aumenta considerevolmente, così anche Duff come altri pensa di raddoppiare, costruendo un nuovo impianto poco lontano da quello già in attività.
Tuttavia, appena un anno dopo, un disastro si abbatte sull’intero sistema produttivo scozzese (e non solo), a causa di una rete distributiva che aveva insensatamente concentrato tutta la ricchezza nelle mani di un’unica famiglia, i Pattison. L’omonima compagnia prospera, imbottigliando, producendo, vendendo bottiglie e anche acquisendo importanti partecipazioni in diverse distillerie. L’azienda è quotata in borsa e spende cifre enormi in pubblicità. Tra le iniziative più bizzarre viene ricordato l’acquisto di 500 pappagalli cinerini, addestrati a dire “Buy Pattison’s whisky!”, che furono regalati ad altrettanti gestori di locali. Solo che, non appena il mercato vira, la Pattison va in bancarotta, trascinando con sé molte distillerie. In molte iniziano a chiudere e tra queste c’è Benriach, poco dopo la sua nascita, nel 1900.
Nella prima metà del ventesimo secolo la situazione non migliora, anzi si susseguono disastri epocali come la prima guerra mondiale, il proibizionismo – che blocca l’ingresso di alcol in un mercato fondamentale come gli Stati Uniti –, la grande depressione del ’29 e la seconda guerra mondiale.
In tutto questo tempo Benriach resta silente. Tra le sue mura di pietra non si distilla, ma si continua a maltare i cereali per la vicina Longmorn. E questo permette all’azienda di sopravvivere.
Due rinascite per acquisizione
Nel 1965 la Glenlivet Distillers Ltd fa riaccendere gli alambicchi di Benriach e si apre un periodo fatto di molte sperimentazioni di stile, in cui si inserisce anche la torba, non esattamente caratteristica dei whisky dello Speyside. Il primo Single Malt arriva nel 1994. La proprietà passa di mano alcune volte, finché non si inserisce il colosso francese Pernod Ricard, ma dura poco. Benriach si ferma di nuovo alla fine degli anni Novanta.
L’occasione buona arriva nel 2004, quando ad acquisire la distilleria è Billy Walker che, con alle spalle una lunga esperienza in Chivas, la rivitalizza completamente e la rilancia, assieme alle altre tre sotto la sua gestione – GlenAllachie, Glendronach e Glenglassaugh – per le quali Benriach fa un po’ da quartier generale. Il motore dello Scotch Whisky nel frattempo sta ripartendo e ricominciano ad aprire le distillerie. Nel 2016 Brown-Forman, il gruppo americano che possiede Jack Daniel’s, si prende Benriach, Glendronach e Glenglassaugh, posizionandole nel proprio portfolio come “boutique distilleries” e valorizzandone l’identità.
Il naso di una donna
Uscito Billy Walker, la proprietà affida il ruolo di master blender a Rachel Berrie, che ha già fatto carriera in diverse distillerie importanti. Berrie, che è una delle professioniste più rinomate nel mondo del whisky, si mette al lavoro nelle tre distillerie per reindirizzare le produzioni verso uno stile definito e riconoscibile. In particolare, nei magazzini di Benriach si trova di fronte a una varietà enorme di botti in maturazione e questo si traduce in una tavolozza infinita di colori con cui giocare oppure, come forse preferirebbe dire lei, di fronte a tanti orchestrali diversi da dirigere, ora in assolo ora in ensemble, per comporre le melodie che ha in mente. Al di là della descrizione poetica, non è affatto un lavoro semplice: bisogna conoscere tutte le botti, ricordarsi dove stanno, avere sotto controllo i tempi di utilizzo e capire come mescolarle.
Il risultato per Benriach è un “core range” (così si chiama la linea principale di etichette di una distilleria) molto ben definito, composto di otto referenze dalle più giovani alle più invecchiate, dalle entry level alle più costose, torbate e non. Accanto a queste si alternano le edizioni speciali, tra cui l’ultima rappresenta una sorta di sintesi temporale.
Imbottigliare cinquant’anni
La release più rara di Benriach è uscita dalla distilleria appena qualche settimana fa. Rara perché ne esistono solo trentasette bottiglie e soprattutto perché non si tratta di un blend di differenti botti, ma di un’unica botte di whisky, distillato il 21 settembre 1966 e imbottigliato al cinquantesimo anno di età. Si chiama Benriach 1966 Cask Aged 50 Years e in Italia ne è arrivata una sola bottiglia, la numero 33.
A far bene i conti, potrebbe sembrare strano che da una botte, che appena riempita contiene circa duecento litri, possano uscire così poche bottiglie, invece la spiegazione è semplice. In cinque decenni, gran parte del whisky è evaporato – o se lo sono bevuto gli angeli, per dirla alla maniera poetica dei distillatori – quindi ciò che resta lo immaginiamo ben concentrato.
Lo immaginiamo perché il contenuto di quella bottiglia in Italia non lo ha assaggiato nessuno. Il costo pare si aggiri intorno ai ventimila euro e al momento è custodita nei magazzini di Fine Spirits, l’importatore italiano. «Cinquant’anni di opulenta raffinatezza con note di sublimi datteri mielati e delicate spezie di rovere, in armonia con una persistente finezza di mela e pera e tracce di pompelmo», così descrive il distillato Rachel Berrie, che è tra le poche persone ad averlo provato. A chi se lo potrà permettere, fidandosi del naso della master blender, magari quel whisky parlerà di tante stagioni, dei tentennamenti, delle rinascite e di tutte le persone che gli sono passate di fronte. A noi ha dato la scusa per raccontare un pezzo di storia dello Scotch Whisky.