Mistero buffoLa miracolosa crescita dell’occupazione italiana è stata in gran parte un’illusione

L'alto numero di occupati negli ultimi anni non è il risultato di un reale miglioramento strutturale del mercato del lavoro, ma del rimbalzo economico post-pandemia e alcune dinamiche demografiche favorevoli agli over 50.

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È terminata la crescita dell’occupazione che negli ultimi anni aveva fatto gridare molti al miracolo. Questo almeno per quanto riguarda il segmento della popolazione più rilevante per la nostra economia: gli under 50. Nell’arco di un anno, tra ottobre 2023 e ottobre 2024, il numero di lavoratori tra i quindici e i ventiquattro anni è diminuito dello 0,3 per cento, mentre quello tra i venticinque e i trentaquattro anni è aumentato di appena l’1,4 per cento. Nella fascia tra i trentacinque e i quarantanove anni, invece, non si registrano variazioni significative. Se si confrontano i dati con quelli del 2019, il 2024 segna di fatto la fine della precedente crescita degli occupati tra i venticinque e i trentaquattro anni, che oggi risultano aumentati solo del 6,8 per cento rispetto a quell’anno, mentre tra i quarantenni si osserva addirittura un calo. L’unico gruppo a mostrare una crescita continua e consistente è quello degli over 50, con un aumento del 13,6 per cento rispetto al periodo pre-Covid.

La demografia gioca un ruolo cruciale: i cinquantenni rappresentano l’ultima generazione caratterizzata da una crescita numerica, ma anche il dato relativo, ossia il rapporto tra lavoratori e popolazione (il tasso di occupazione), ha smesso di aumentare. Prendiamo ad esempio la fascia tra i venticinque e i trentaquattro anni: alla fine del 2023, il tasso di occupazione era cresciuto del 6,6 per cento rispetto al 2019, raggiungendo il 69,2 per cento. Ma da allora si è fermato.

 

Fonte: Istat, dati percentuali

È tempo di tracciare un bilancio: come si collocano i progressi occupazionali del periodo 2021-2024 rispetto a quelli degli altri Paesi? Sono riusciti ad alleviare i problemi strutturali del mercato del lavoro italiano? La verità è che ciò che sembrava un miracolo era in realtà un’illusione ottica. Tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo del 2024, in Italia il numero di lavoratori è aumentato del 2,9 per cento, mentre nell’Ue del 3,9 per cento. I forti incrementi registrati negli ultimi tre anni sono stati in gran parte il risultato del fatto che, a causa del Covid, il numero di disoccupati era calato più bruscamente che altrove tra il 2020 e l’inizio del 2021, rendendo il successivo rimbalzo più marcato. Tuttavia, il divario con i dati europei persiste, anche chi continua a lavorare oltre i settant’anni.

 

Fonte: Eurostat

Il divario con l’Unione Europea è attribuibile principalmente alla fascia di età tra i trentacinque e i cinquant’anni. Per gli under trentacinque, al contrario, si è registrato un aumento dell’occupazione superiore alla media Ue, anche se questo trend si è ormai arrestato. Rispetto al 2019, l’incremento è stato del sei per cento per i venticinque-ventinovenni e del 4,4 per cento per i trenta-trentaquattrenni, rappresentando senza dubbio l’aspetto più positivo, sebbene ancora insufficiente, di questa fase economica.

Tale crescita è stata favorita da normative sul lavoro più agevoli, come il tanto vituperato Jobs Act, ma anche dalla riduzione del costo del lavoro reale, che ha reso più conveniente assumere giovani. Pur essendo mediamente più istruiti, questa categoria ha dovuto accettare salari con un potere d’acquisto inferiore rispetto ai coetanei delle generazioni passate. Un ulteriore fattore è il cambiamento culturale: il calo dei matrimoni tra i ventenni e l’aumento delle persone single ha spinto molte donne a entrare nel mercato del lavoro invece di rimanere inattive.

Ma questi numeri non compensano il crollo dei lavoratori di altre fasce di età, quello del 5,2 per cento di quanti hanno fra trentacinque e i trentanove anni, quello del 10,9 per cento di chi ne ha tra quaranta e quarantaquattro e del 2,4 per cento per i quarantacinque-cinquantenni. Tutti segmenti centrali nel mondo del lavoro che invece in Europa hanno visto una certa stabilità degli occupati.

 

Fonte: Eurostat

Fonte: Eurostat

È l’inevitabile effetto della demografia, ancora più evidente nella composizione dell’incremento occupazionale italiano. Tra metà 2019 e metà 2024 a fare la parte del leone sono stati i lavoratori sessantenni, cresciuti di quattrocentoquaranta mila unità e quelli cinquantenni, aumentati di cinquecentotrenta mila. Molto minore, di centosessanta mila unità in più, il contributo dei ventenni.

Ma, soprattutto, è quello dei trentenni a distinguere l’Italia dagli altri Paesi, perché nel nostro caso è stato negativo: i lavoratori di questa età seppur di poco sono diminuiti (di quarantamila unità), mentre nella Ue sono cresciuti di trecentomila. In Germania, nonostante la crisi, di ben quattrocentocinquanta mila, in Francia di centosessanta mila. In Spagna, come in Italia, sono diminuiti, di centotrenta mila unità, ma nel Paese iberico, perlomeno, i quarantenni sono aumentati di centomila, mentre gli occupati italiani della stessa età sono crollati di ben quattrocentoquaranta mila unità.

 

Fonte: Eurostat

 

Fonte: Eurostat

Il fatto che i dati peggiori per l’Italia siano quelli relativi a trentenni e quarantenni è cruciale e ha un impatto sui numeri deludenti dei consumi e quelli pessimi della natalità. È dopo i trent’anni che ormai si fanno progetti di genitorialità, che si formano le famiglie, la carenza di potenziali genitori, di nuclei familiari che consumino quanto guadagnato al lavoro è tra le cause del declino che ormai, dopo la sbornia del rimbalzo post Covid e del Superbonus, è ridiventato evidentissimo.

La popolazione di questi segmenti chiave è in calo o stagnante, la percentuale di lavoratori su di essa è cresciuta, da qui un incremento del tasso di occupazione, che è stato maggiore di quello registrato nell’Ue in quasi tutte le fasce di età. Per esempio tra i venticinque-ventinovenni e tra i trenta-trentaquattrenni è salito in cinque anni del 6,7 e del 5,2 per cento, contro progressi medi europei del 2,9 e del 2,3 per cento.

Questo incremento ormai si è arrestato e ha contribuito in modo insufficiente a ridurre il notevole divario tra l’Italia e il resto d’Europa nel tasso di occupazione. Tra i venticinque e i ventinove anni, questo divario era del 18,5 per cento nel 2019 ed è sceso al 14,7 per cento, mentre per i trenta-trentaquattrenni è passato dall’11,1 all’8,2 per cento, restando comunque su valori ancora elevati. Per i quarantenni, il divario si è ridotto di circa due o due e mezzo per cento, ma è ancora superiore al sei per cento. Al contrario, tra gli over cinquantacinque il gap non solo non si è ridotto, ma è addirittura aumentato.

Fonte: Eurostat

L’Italia ha sempre avuto strutturalmente tassi di occupazione molto più bassi della media europea. In teoria dovrebbe essere più facile aumentare il numero dei lavoratori, a prescindere dalla demografia sfavorevole, perché ci sarebbe a disposizione un esercito di riserva di inattivi o disoccupati più vasto che altrove cui attingere. Ma accade solo per i venticinque-ventinovenni. In questa fascia gli occupati sono aumentati effettivamente più che in Francia o Germania, ma meno che in Spagna o in Grecia. Questo non è accaduto per chi ha tra trentacinque e quarantaquattro anni. Nonostante il basso tasso di occupazione di partenza i lavoratori sono scesi, colpa ovviamente del calo demografico, ma non solo.

 

Fonte: Eurostat

Se a essersi occupati sono stati solo una parte dei potenziali lavoratori c’entra anche il cosiddetto mismatch delle competenze. La Germania soffre della stesse dinamiche demografiche italiane, ma in queste fasce di età cruciali ad avere un impiego è tra l’ottantaquattro e l’ottantasei per cento della popolazione, mentre in Italia circa l’otto per cento in meno. Il sistema economico tedesco, potremmo dire, spreca meno risorse umane. E in tempi di crollo della natalità e della popolazione più giovane è proprio di spreco che dobbiamo parlare. Se una volta ci si era illusi, erroneamente, che potessimo permetterci le milioni di donne inattive, i tantissimi giovani che non arrivavano neanche al diploma, quelli che non avevano mai sviluppato competenze necessarie al mondo del lavoro, ora più che mai non è possibile.

Quando si parla di maggiore competitività delle imprese e dell’ecosistema economico, oltre al contenuto tecnologico si deve pensare anche alle competenze che dovrebbe avere chi lavora o si accinge a lavorare, Su questo punto siamo indietro esattamente quanto sul versante della ricerca e dell’innovazione.

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