Cominciai dai numeri ufficiali, cercando nei dati il bandolo che mi avrebbe portato fino a Kherson da Volodymyr Sahaidak, il fantasma di cui talvolta si parlava nelle leggende tra cronisti che a tarda sera alzano il gomito. I russi non avevano ancora bussato al Centro per la riabilitazione sociale e psicologica dei minori, ma sarebbe accaduto presto. Perciò Volodymyr aveva allestito le contromisure. All’occorrenza avrebbe falsificato documenti e inventato adozioni, pur di non consegnare i bambini. E noi di lui e del suo centro non sapevamo nulla.
Volodymyr si preparava a combattere da solo, senza alleati e in completo isolamento. Ci pensava giorno e notte. Sembrava caduto in una cospirazione nella quale qualsiasi cosa avrebbe potuto fare o proferire sarebbe stata una condanna a morte per lui e la definitiva sparizione dei bambini. Non poteva contattare giornalisti fuori da Kherson, non poteva mandare messaggi, non poteva rivolgersi a Kyiv e sapeva che non avrebbe potuto negoziare con Mosca. «Speravo che qualcuno di voi si mettesse a cercarci prima o poi», esordirà la prima volta che ci siamo incontrati. Ma ci sarebbero volute settimane.
Avevo cominciato dai numeri. Già dal 2014, quando la guerra nel Donbass era esplosa nel disinteresse generale, le autorità ucraine avevano aperto un ufficio incaricato di tracciare le sparizioni dei minori. Fino al 24 febbraio 2022 negli istituti ucraini c’erano almeno centomila bambini. Il trasferimento illegale in Russia e nelle aree sotto il controllo di Mosca non era più solo un’ipotesi. Documenti riservati e testimonianze ufficiali confermavano lo scenario peggiore.
All’inizio di marzo 2022, meno di dieci giorni dopo lo scoppio della guerra, le autorità ucraine avevano espresso preoccupazione per cinquemila bambini registrati in diverse strutture ma non più rintracciati. A questi andavano aggiunti gli altri minori – più di trecentomila – arrivati nella Federazione Russa con almeno un genitore o un adulto di riferimento e dei quali a distanza di anni non si conosce l’esatta destinazione. Metà dei centomila ospiti degli istituti sono orfani e una buona percentuale sono bambini con disabilità.
La prova delle deportazioni ce la fornisce Vladimir Putin in persona. Il 30 maggio 2022 il presidente russo firma un decreto per accelerare l’adozione degli orfani ucraini trasferiti in Russia e nei territori controllati da Mosca. Angela Travis, esponente del l’Unicef arrivata in Ucraina per occuparsi del l’emergenza infanzia, confermava nel corso delle numerose conferenze stampa di quelle prime settimane che l’agenzia Onu era «a conoscenza di queste segnalazioni», ma non poteva sul momento fornire dettagli né procedere alle verifiche, «a causa del l’impossibilità di accesso alle aree lungo il confine con la Federazione Russa».
Anche l’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, aveva ribadito durante alcuni nostri colloqui di non avere ancora ricevuto risposta da Mosca alla reiterata domanda di accesso nei territori russi o sotto il controllo del Cremlino. Molti riscontri arrivano proprio dagli sfollati.
«A partire dal 20 aprile 2022 l’Unicef», si legge in una nota pubblica del 13 maggio di quell’anno, «ha fornito assistenza a oltre novemila persone evacuate da Mariupol e dalle località in prima linea». Dai racconti di chi è riuscito a percorrere i corridoi umanitari giungono dettagli sempre nuovi. Le Nazioni Unite mettono al lavoro solo per i minorenni che necessitano di assistenza sessantatré squadre mobili in tredici regioni, oltre a una linea telefonica nazionale. Nelle aree centrali e occidentali sono stati creati «spazi sicuri».
E alla fine del 2022 Amnesty International aggiornerà un rapporto, diffuso a dicembre, dedicato proprio ai trasferimenti forzati. L’organizzazione umanitaria aveva «documentato diversi casi in cui bambini non accompagnati, anziani e persone con disabilità sono stati trasferiti con la forza da Mariupol a Donetsk». Non di rado «bambini, persone con disabilità e anziani che avevano già raggiunto aree di relativa sicurezza e stavano pianificando di proseguire verso le zone controllate dal governo ucraino, si legge nel dossier, «sono stati cercati e dirottati verso le aree occupate dai russi a Donetsk dalle autorità controllate dai russi».
Solo nel primo anno stime più aggiornate calcolano in settecentoventottomila il numero di minorenni entrati in territorio russo dal febbraio 2022. La maggior parte di questi, assicura il Cremlino, si trova ancora con le famiglie o con adulti di riferimento, dunque non possono essere annoverati tra gli «orfani». E gli altri che fine hanno fatto? Quanti sono? Chi se ne occupa?
In tanti anni di conflitti e crisi umanitarie era la prima volta che mi capitava di apprendere che uno stato di sua iniziativa cambiasse la cittadinanza a dei minorenni. Da nessuna parte i manuali di diritto internazionale menzionano questa eventualità in tempo di guerra. Chiesi un chiarimento all’Ufficio per i Diritti umani dell’Onu. «Il diritto umanitario internazionale», fu la risposta di uno dei portavoce, «proibisce l’evacuazione dei bambini per decisione di una delle parti nel conflitto armato, a eccezione di un’evacuazione temporanea quando lo richiedano ragioni impellenti relative alla salute o al trattamento medico dei bambini o alla loro sicurezza».
Filippo Grandi, nel corso di un’intervista, fu inequivocabile. Volevo porgli una domanda diretta: «Avete notizie dei bambini “trasferiti” in territorio russo dall’inizio del conflitto?». Se avesse risposto di sì, avrei avuto uno scoop sensazionale: l’Onu che accusa Putin di aver deportato dei minorenni. Se avesse negato di esserne a conoscenza, la Russia avrebbe segnato un punto a proprio favore e forse anche la guerra avrebbe preso un’altra direzione.
Prima di arrivare alla domanda che da sola valeva l’intera intervista avevo girato intorno al tema cruciale. «Riuscite ad accedere anche ai profughi sul lato russo?» chiesi a Grandi. Reagì da funzionario navigato, ma qualcosa nelle sue parole suggeriva che era il momento di essere chiari. Nel corso dell’intervista che avevo pubblicato per “Avvenire” il 24 febbraio 2023, rispose: «Diciamo che il sistema di autorizzazione all’accesso c’è, ma è molto lento, quindi prima di ottenere il permesso di visitare un certo sito o un certo gruppo di persone, a volte passano mesi. Abbiamo offerto molte volte alla Russia aiuti umanitari per i profughi che si trovano nel territorio della Federazione. La nostra offerta resta sul tavolo, ma ancora senza risposte».
Dal tono della sua voce sentivo che doveva tenere a bada l’indignazione. In oltre trent’anni di servizio Grandi ha vissuto le peggiori crisi umanitarie in Africa, Asia, Medio Oriente, sempre sul posto. Insomma, non parla a sproposito. Ascoltò la domanda con l’attenzione di sempre: «Avete notizie dei bambini “trasferiti” in territorio russo dall’inizio del conflitto?». La pausa stavolta fu più lunga del solito, come per cercare parole che collimassero al millimetro: «Al momento ci sono solo delle stime e nessun dato certo. Quello che sappiamo è che sono state varate delle norme in conflitto con il diritto internazionale. In guerra o in situazioni di crisi non si può in alcun modo modificare la nazionalità di un bambino che si presume non accompagnato, ma su cui non si è fatta nessuna ricerca per rintracciare i familiari. Altre norme approvate di recente facilitano l’adozione di questi bambini, ma neanche questo si può fare finché non c’è modo di verificare l’esistenza di familiari e la possibilità di rientrare nel Paese d’origine».
Parlare di «stime e nessun dato certo» vuol dire che le deportazioni erano un fatto, anche se non misurabile con precisione. In altre parole, Putin stava commettendo un crimine di guerra. Ma aveva bisogno di un alibi: sostenere di aver messo al riparo i minorenni sottraendoli al furore delle battaglie.
Tratto da “Il salvatore di bambini” (Feltrinelli) di Nello Scavo, pp. 144, 16,00€