Prigioniero politicoL’imbarazzante commissariamento di Salvini nel suo stesso partito

Nei prossimi dodici mesi il leader leghista dovrà difendersi dagli attacchi interni di Zaia, Fedriga e Romeo, che gli intimano di difendere gli interessi del Nord come ai vecchi tempi e mollare qualcosa sulle ambizioni nazionali

Lapresse

Sostituire Matteo Salvini alla guida della Lega è prematuro. O comunque non è possibile al prossimo congresso che dovrebbe svolgersi entro marzo 2025, soprattutto dopo l’acuto della sentenza di assoluzione per la vicenda Open Arms. Il vicepremier ha però dodici mesi per dimostrare di meritare ancora la guida di un partito che langue dietro Forza Italia e non è in grado di portare a casa le promesse solenni. L’abolizione della legge Fornero è un miraggio, la flat tax un’utopia, l’autonomia differenziata è stata falcidiata dalla Corte Costituzionale. È tutto da vedere se il governo farà slittare alla primavera del prossimo anno le regionali d’autunno, regalando a Luca Zaia la possibilità di accendere la fiaccola delle Olimpiadi invernali di Cortina-Milano. Sicuramente Salvini non otterrà il terzo mandato per il governatore veneto, che dovrà ripiegare sulla poltrona lagunare di sindaco di Venezia.

Un anno di ossigeno, senza elezioni e urne aperte dove misurare se lo scivolamento continua oppure c’è una salvifica inversione di tendenza. Un anno per posticipare il redde rationem con gli alleati, Fratelli d’Italia innanzitutto, che vogliono soffiare al Carroccio il doge di San Marco. Un anno in cui Salvini dovrà darsi da fare per imporre gli interessi del Nord e scolorire il partito nazional-sovranista, come gli hanno detto tutti i governatori leghisti: l’unico patriottismo che conoscono è quello delle loro regioni. Il più esposto è Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato, eletto segretario della Lega lombarda a dispetto dello stesso Salvini. In un colloquio con il Corriere della Sera, Romeo si è pure concesso il lusso di dire che sta dando al vicepremier «un’opportunità: quella di fare il federatore. Se fa il federatore, la sua strada può avere un futuro. Bisogna recuperare le radici del Nord e impiantarle all’interno del progetto del partito nazionale».

Impensabile qualche anno fa un diktat del genere in un partito concepito come leninista, dove il capo dettava legge e non si muoveva una foglia. Ora invece Salvini è commissariato da un tridente composto da Romeo, Zaia e il presidente friulano Massimiliano Fedriga. Gli interessi del Nord prima di tutto, quelli che hanno radicato nel territorio l’identità leghista, annacquata lungo lo stivale italico. Un commissariamento che sarà ancora più evidente al congresso di primavera, appena in tempo per dare quel «segnale di discontinuità sulla guerra in Ucraina». Sono sempre parole di Romeo, che non ha esitato a ripetere nell’aula di Palazzo Madama negli ultimi anni di guerra scatenata dalla Russia.

Le ha ripetute anche nei giorni scorsi durante le dichiarazioni sulla manovra economica, alla quale ha riservato molte critiche, mettendo in imbarazzo il ministro (leghista) dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Tanto che Francesco Boccia del Partito democratico ha chiesto in maniera sarcastica ai parlamentari del suo partito di fare spazio a Romeo tra i banchi dell’opposizione «dove si sentirebbe senz’altro a suo agio…».

Il capogruppo è, se possibile, più putiniano di Salvini, il quale si trova con le spalle al muro. Dovrà portare i suoi gruppi a votare presto il decimo pacchetto di armi da inviare in Ucraina. Dovrà convincerli pure a modificare il disegno di legge sulla Sicurezza dopo l’intervento informale del Quirinale. Il presidente Sergio Mattarella ha chiesto di modificare le norme sul carcere per le donne incinte e le madri di bambini piccoli e di eliminare il divieto della vendita di schede telefoniche agli immigrati senza permesso di soggiorno.

Il commissariamento di Salvini è un problema pure per la premier Giorgia Meloni. Un vicepremier prigioniero politico del tridente del Nors non sarà facile da gestire nel 2025, quando si dovranno fare i conti (in tutti i sensi) con l’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca. Impossibile conciliare prima il piccolo Nord Italia con l’America First, con i dazi e con l’aumento delle spese militari per compensare il disimpegno americano sul fronte europeo. Difficile fare previsioni di crisi di governo, inutile illudersi quando c’è di mezzo la gestione del potere. Ma una cosa è sicura: il finto pacifista Romeo al posto di Salvini significherebbe che al peggio non c’è mai fine.

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