T-DayIl re-insediamento di Trump nel giorno del pensiero magico

Più che di un normale passaggio di poteri, si è trattato di un vero e proprio «Regime change». Di sicuro le categorie della politica non bastano a spiegare il senso e la portata del suo discorso, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

Associated Press / LaPresse Only italy and Spain

Come capita spesso con un certo genere di film, il sequel è semplicemente una versione più estrema e violenta del primo episodio, assai più povera di idee e dalla più esile sceneggiatura, che scivola subito nel grottesco. Il secondo discorso di insediamento di Donald Trump non fa eccezione. Per esempio, ma è solo uno dei mille che si potrebbero fare, quando dichiara di voler portare la pace nel mondo, occupare il Canale di Panama ed espandere il territorio americano. Il che somiglia molto a una dichiarazione di guerra, come ha notato Edward Luce sul Financial Times. A meno che, aggiungo io, con il concetto di espansione territoriale non intendesse riferirsi alla colonizzazione di Marte, che in effetti arrivava poco dopo.

«Circondato dagli uomini più ricchi del mondo, con più di mille miliardi di dollari nella stanza, sormontati da Elon Musk (434 miliardi), Jeff Bezos (240 miliardi) e Mark Zuckerberg (212 miliardi), il ritorno di Trump è stato benedetto da quella che il presidente uscente Joe Biden ha definito la nuova oligarchia». È significativo che a sottolinearlo sia un editorialista del Financial Times, secondo il quale «il contrasto tra Trump e i suoi predecessori, Bill Clinton, George W. Bush, Barack Obama e Biden, ha rappresentato più un cambio di regime che un normale passaggio di poteri».

Di sicuro le categorie della politica non bastano a spiegare il senso e la portata di un discorso caratterizzato da una forte dose di pensiero magico, in cui da un lato si descriveva in termini apocalittici un paese devastato dal crimine, dalla miseria e dal declino industriale, sprofondato in una sorta di Medio Evo, ovviamente per colpa dei democratici; dall’altro si annunciava l’inizio di una nuova «età dell’oro», e proprio a partire da subito («The golden age of America begins right now»), grazie alla cancellazione di qualunque vincolo ambientale, dalle trivellazioni («Drill, baby, drill») alle automobili («Potrete acquistare la macchina che preferite»), grazie all’espulsione immediata di milioni di immigrati, ai dazi contro i prodotti stranieri, al ritorno della «libertà di espressione» e alla fine di qualunque politica di inclusività («Da oggi in poi la politica ufficiale del governo degli Stati Uniti sarà quella secondo cui esistono solo due generi: maschile e femminile»).

Un crescendo che Stefano Pistolini sintetizza così: «Il capo adesso è l’uomo della libertà e non pretende ragionevolezza ed empatia, ma assenso, sostegno ed eccitazione. Le sue parole, i gesti e i volti di questa giornata surreale risuonano in una bolla destinata a passare alla storia come quella in cui si consuma un’inversione di marcia psico-sociale che è un all-in senza compromessi». Se la conclusione vi sembra eccessiva, o anche solo prematura, forse è perché non avete ascoltato – e io ho dimenticato di segnalarvi – il modo in cui ha ricordato l’attentato di Butler, dove rimase ferito a un orecchio, e cioè: «Sono stato salvato da Dio per rendere l’America di nuovo grande».

Per un’analisi dal punto di vista del bon ton leggi l’articolo di Guia Soncini

 

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

X