Il caso AlmasriQuei garantisti che confondono Berlusconi con Orbán

Meloni sta tentando di alimentare questo equivoco per farne la base della sua campagna sulla riforma della giustizia, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

Roberto Monaldo / LaPresse

Giorgia Meloni torna ad attaccare i magistrati, accusandoli di voler governare senza passare dalle elezioni, mentre tutto il centrodestra prende di mira il procuratore di Roma, Francesco Lo Voi. Si va dalla richiesta dei membri laici del Csm di aprire un fascicolo contro di lui agli articoli della stampa di area per screditarlo, ad esempio con la risibile storia del diritto all’aereo di stato che il governo gli avrebbe tolto come vera motivazione dell’indagine. È una tecnica che abbiamo già visto all’opera, con successo, nel caso della giudice Apostolico, presa di mira per le sue decisioni sui migranti, e che non andrebbe confusa con la vecchia polemica tra politica e magistratura degli anni del berlusconismo. È evidente che Meloni sta tentando di alimentare questo equivoco per politicizzare il caso Almasri e farne la base della sua campagna sulla riforma della giustizia. È altrettanto evidente che molti sinceri garantisti, e moltissimi insinceri imbroglioni, le sono andati dietro senza pensarci due volte.

Ma si tratta di una truffa. Tra le due vicende c’è tutta la differenza che passa tra Silvio Berlusconi e Viktor Orbán. Il primo è stato un uomo politico che per più di vent’anni ha fatto di tutto per difendere se stesso e i suoi interessi, ma è stato soprattutto un fattore di conservazione, che ha lasciato l’Italia esattamente come l’ha trovata, senza avere né riformato la giustizia né cancellato l’indipendenza della magistratura, senza avere realizzato né la rivoluzione liberale da lui promessa né la trasformazione dell’Italia in un regime illiberale denunciata dai suoi oppositori. Il secondo no. Orbán ha teorizzato e realizzato il modello della «democrazia illiberale», anzitutto attraverso la cattura del potere giudiziario, dei principali organi d’informazione e delle leve dell’economia pubblica.

È una differenza fondamentale, che non andrebbe mai dimenticata. Io, per dire, sono favorevolissimo alla separazione delle carriere tra giudici e pm – e ancor più tra giudici e giornalisti – e a qualsiasi altro intervento limiti lo strapotere della magistratura e il suo improprio protagonismo sulla scena pubblica, ma allo scopo di difendere lo stato di diritto e ripristinare la separazione dei poteri, non per cancellarli in favore di un regime autoritario e giustizialista con i migranti, i poveracci e tutti gli avversari reali o percepiti dei partiti di governo, e garantista solo con loro (vedi l’imbarazzante caso Santanchè, per citare solo l’ultimo).

Quanto tutta questa campagna sia pretestuosa e strumentale, del resto, è dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio da un precedente noto a tutti. Se infatti la colpa di Lo Voi consisterebbe nel non avere cestinato l’esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti sul caso Almasri, e averlo invece trasmesso al tribunale dei ministri, i teorici del complotto giudiziario dovrebbero spiegarci perché la magistratura si comportò esattamente allo stesso modo con Giuseppe Conte – certamente non un campione del garantismo, né un fautore della separazione delle carriere – a fronte di un’accusa ben più fragile, presentata peraltro da una esponente di Fratelli d’Italia.

Nel 2020, infatti, come ricorda oggi su Linkiesta Carmelo Palma, l’ex parlamentare e attuale vicepresidente della Regione Lazio, Roberta Angelilli, presentò un esposto alla Procura di Roma accusando Conte di avere messo la sua scorta a disposizione della compagna, Olivia Palladino. «Il gravissimo indizio del reato ministeriale compiuto da Conte – nientepopodimeno che peculato! – era rappresentato da un filmato della trasmissione Le Iene, in cui si dimostrava che un agente della scorta aveva soccorso e protetto la compagna del Capo del Governo dallo stalkeraggio mediatico compiuto da parte di un inviato della trasmissione all’interno di un supermercato». Un’accusa rilanciata per mesi da parlamentari e giornalisti di destra, a cominciare da Giorgia Meloni, come fosse uno scandalo internazionale. Evidentemente ben più grave – per questi curiosi garantisti, e ancor più curiosi difensori del primato della politica – della liberazione del direttore di un lager in cui vengono abitualmente ammazzati, torturati e stuprati uomini, donne e bambini.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

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