Lasciare crescere l’erba per proteggere (e incrementare) la biodiversità e rendere il suolo più poroso, drenante e quindi capace di assorbire l’acqua piovana in eccesso. È la pratica dello sfalcio ridotto, che Milano – sulla scia di altre città europee e non solo – ha iniziato ad applicare la scorsa primavera all’interno di cinquantaquattro aree diffuse nei nove Municipi, per un totale di 1,3 milioni di metri quadrati coinvolti (il nove per cento dei prati pubblici del capoluogo lombardo).
Lo sfalcio ridotto è una soluzione “nature based”: in città sempre più grigie e standardizzate, dove la cura del verde urbano è spesso orientata da ragioni meramente estetiche, è fondamentale dare alla natura lo spazio giusto per proliferare, fare il suo corso e contribuire all’adattamento e alla mitigazione dei cambiamenti climatici di origine antropica.
Questa gestione del verde è accompagnata da un dilemma comunicativo, perché l’erba alta può apparire meno gradevole rispetto a un prato inglese. Non è facile spiegare alla cittadinanza che non si tratta di incuria, ma di un approccio che sta diventando necessario in un’epoca caratterizzata dall’interconnessione tra la crisi del clima e la crisi della biodiversità. Come per la mobilità urbana (Città 30, eliminazione dei parcheggi, piazze aperte…), il cambio di paradigma deve toccare anche le politiche che coinvolgono le aree naturali.
C’è poi un tema, secondario, di benefici economici indiretti: oltre a ridurre il consumo d’acqua per l’irrigazione e l’uso di fertilizzanti, lo sfalcio ridotto favorisce la disseminazione spontanea di sementi e permette di risparmiare il carburante generalmente impiegato nei tagliaerba. L’obiettivo principale di questi interventi rimane però di carattere ambientale, perché i benefici sulla biodiversità sono consistenti e scientificamente comprovati.
Ovviamente questa pratica non può essere applicata ovunque, e quando si lascia l’erba alta diventa ancora più importante la pulizia dei prati pubblici. Un’altra premessa necessaria da fare è che le aree non sfalciate vengono comunque “accorciate” un paio di volte l’anno: da parte di chi cura il verde urbano, in linea teorica, non c’è mai un totale disinteresse.
Nonostante i dubbi di alcuni cittadini e le critiche dell’opposizione – a maggio alcuni consiglieri della Lega hanno consegnato al sindaco Beppe Sala dei mazzi di forasacchi alti quasi un metro –, il Comune di Milano è andato avanti con la sperimentazione e non ha intenzione di fermarsi qui. Il primo monitoraggio indipendente, infatti, ha confermato la giusta direzione intrapresa dall’amministrazione, almeno per quanto riguarda l’aumento della biodiversità urbana. Lo studio, presentato venerdì 24 gennaio a palazzo Marino, è stato condotto dal team dello ZooPlantLab del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’università di Milano-Bicocca.
La ricerca si è focalizzata sulla presenza di insetti, impollinatori e non, all’interno di otto parchi coinvolti nelle operazioni di sfalcio ridotto. Secondo i risultati, nelle zone con l’erba alta si è verificato un incremento di insetti fino al trenta per cento rispetto alle aree sfalciate frequentemente. In più, nei prati più ricchi di fiori ed erbe fiorite come le carote selvatiche, la radichiella, i trifogli e la centaurea, gli esperti hanno evidenziato una presenza più consistente di insetti (aumenti fino al sessanta per cento). La presenza di boschetti urbani, invece, ha innescato incrementi fino al quaranta per cento.
Poco più di un anno fa, quando il Comune di Milano ha avviato la sperimentazione, diversi cittadini hanno espresso preoccupazioni in merito a un potenziale aumento delle zanzare nelle superfici con l’erba alta, ma il problema non si è concretizzato. Secondo Leonardo Forbicioni, entomologo e coordinatore della World biodiversity association onlus, «l’erba non falciata non aiuta in alcun modo la proliferazione delle zanzare. Un aumento della diversificazione vegetale farebbe aumentare sicuramente il numero di specie di artropodi presenti in una determinata area. Tra questi, aumenterebbero anche, ad esempio, gli antagonisti e i predatori delle zanzare. Aumentare il tasso di biodiversità anche in piccole aree come aiuole o giardini, non può che far bene all’equilibrio generale tra le specie».
La sperimentazione sullo sfalcio ridotto, dice l’assessora milanese al Verde e all’Ambiente, Elena Grandi, è «partita in un periodo in cui ha piovuto praticamente per due mesi. Le aree si confondevano perché l’erba cresceva molto velocemente ovunque (l’erba non si può tagliare quando ci sono forti piogge, ndr). Pur con le difficoltà nel raccontare questa scelta, il riscontro è stato molto positivo. Ora avremo un ulteriore confronto con i Municipi per capire come modificare o incrementare queste aree. Con la primavera ripartiremo allo stesso modo, anzi: cresceremo. La città può essere un laboratorio di tutela della biodiversità, e questi interventi – apparentemente insignificanti dal punto di vista mediatico – possono essere fondamentali».
Come spiega Massimo Labra, professore ordinario di Botanica generale alla Bicocca, «l’Italia ospita la metà delle piante a fiori d’Europa, e molte di queste specie vegetali morirebbero senza gli insetti impollinatori. L’elemento dell’erba ha un effetto booster dal punto di vista della biodiversità». Lo sfalcio ridotto, prosegue, «è un intervento low cost che sì, magari a qualcuno dà un po’ fastidio, ma penso che sia un sacrificio logico. Chiaramente, avere grandi parchi non è sufficiente: gli insetti fanno fatica a muoversi da un’area verde all’altra, dunque nella pianificazione urbana è fondamentale avere tanti spazi naturali vicini. Va creata una rete che garantisca continuità e che permetta a questi organismi di spostarsi».
La ricerca della Bicocca si inserisce all’interno del National biodiversity future center, un progetto del Pnrr da trecentoventotto milioni di euro che coinvolge più di duemila ricercatori impegnati nella salvaguardia e nella valorizzazione della biodiversità: «Il monitoraggio ci ha confermato che gli insetti sono tra gli organismi animali più veloci a rispondere alle alterazioni ambientali. In meno di un anno abbiamo notato dei cambiamenti importanti», conclude Paolo Biella, ricercatore della Bicocca di Milano.