Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha promesso di mettere fine a «quattro anni di declino americano». In fondo, non sorprende, visto che ci ha abituati a dichiarazioni ben più lontane dalla realtà. La verità, però, è che oggi si trova nell’invidiabile posizione di ereditare l’unico Paese che sembra sfuggire al celebre «declino dell’Occidente», un tema che da oltre un secolo si è trasformato quasi in un topos letterario. Certo, non tutti i redditi degli americani hanno visto la crescita reale che desideravano, anzi, ma dal punto di vista globale la forza economica degli Stati Uniti è l’unica rimasta pressoché intatta nell’ambito del primo mondo.
I dati del Fondo Monetario Internazionale mostrano come la quota di Prodotto interno lordo mondiale detenuta dagli Stati Uniti sia stata sostanzialmente stabile negli ultimi anni e come, anzi, rispetto al minimo toccato dopo la grande crisi finanziaria di quindici anni fa sia persino risalita di più di cinque punti, fino al 26,2 per cento del 2023. Da qui al 2029 potrebbe scendere, ma di pochi decimali, a differenza di quello che accadrà nelle altre aree dell’Occidente.
Secondo queste proiezioni tutti i Paesi considerati avanzati alla fine del decennio avranno visto la propria quota scendere in venti anni dal 68,6 al 56,3 per cento, nel caso dell’Ue la riduzione sarà in proporzione ancora maggiore, dal 24,3 al 16,7 per cento, trainata da quella delle principali economie dell’Unione, Italia, Francia e Germania, che insieme dovrebbero passare dal rappresentare il 14,7 per cento del Pil mondiale nel 2009 all’8,7 per cento nel 2029. Simile declino sta interessando, come si sa, anche il Giappone. Nel frattempo si è bloccata l’ascesa della Cina, principale e di fatto unico rivale degli Usa, che dal 2021 non ha più visto crescere la sua fetta dell’economia globale, destinata a rimanere sotto il 18,2 per cento toccato quell’anno.
Dati del Fmi, dollari correnti, proiezioni fino al 2029
Dietro questi numeri ci sono fattori sia economici che demografici. Di questi ultimi si parla meno, ma contano. Gli Stati Uniti sono tra i pochi grandi Paesi occidentali in cui non solo la popolazione è sempre cresciuta, di diciassette milioni solo gli ultimi dieci anni, ma in cui è previsto dall’Onu che continui a salire, fino a raggiungere e forse superare i quattrocento milioni abitanti in questo secolo. Ora sono circa trecentotrentacinque milioni. Naturalmente il resto del mondo ha visto un tasso di incremento ancora maggiore, l’Africa corre, e quindi la quota americana della popolazione mondiale è scesa, ma solo dal 4,6 al 4,2 per cento negli ultimi venti anni. Nello stesso periodo la fetta dell’Unione europea è scesa molto di più, dell’1,1 per cento, dal 6,8 al 5,7 per cento, mentre in Cina persino è precipitata dal 25,1 al ventidue per cento.
Dati del Fmi, proiezioni fino al 2029
Non c’entra solo il tasso di fertilità rimasto fino al 2016 sopra 1,8, fino al 2019 maggiore di 1,7 e solo da poco sceso verso quota 1,6, mentre nell’Ue è diminuito a 1,47. Negli Stati Uniti tra gli anni Novanta e il Covid la differenza tra immigrati ed emigrati è stata tra quattro e sei ogni mille abitanti, mentre in Europa si è quasi sempre mantenuta tra uno e tre. La forza demografica continua a favorire quella economica, è anche per questo che il Pil americano cresce più di quello del resto dell’Occidente e lo farà anche nei prossimi anni. È salito più di quello dell’Unione europea in dieci degli ultimi quindici anni, lo farà per il resto del decennio, ma, soprattutto, ormai è sempre più ridotto il divario tra la crescita americana e quella cinese, con quest’ultima che era doppia o tripla della prima e che entro il 2030 dovrebbe essere solo del cinquanta per cento superiore.
Dati del Fmi, proiezioni fino al 2029
Ma anche se volessimo considerare il Pil al netto del tema demografico, quindi pro capite, la sfida degli Stati Uniti al mito della decadenza dell’Occidente è evidente. Il prodotto interno lordo per abitante, soprattutto se misurato con il criterio del potere d’acquisto, dopo il 2010 ha accelerato rispetto non solo a quello italiano, ma anche tedesco e inglese. In particolare dopo il 2008 è crollato il divario tra il potere d’acquisto della popolazione di Italia, Germania, Regno Unito e quello dei cinesi, scendendo da quaranta-cinquanta mila dollari l’anno a trenta-quaranta mila oggi, mentre per quanto riguarda gli Stati Uniti questo non è successo, anzi. La differenza tra il Pil pro capite Ppp americano e cinese è leggermente salito nel tempo, rimanendo di più di cinquantamila dollari, mentre dovrebbe crescere ulteriormente nei prossimi anni.
Dati del Fmi, proiezioni fino al 2029
La migliore dinamica demografica, si sa, si aggiunge a una migliore produttività, a un mercato dei capitali unico al mondo, a un livello di innovazione che, come ha sottolineato pure Elon Musk, che del tema sa qualcosa, beneficia dall’enorme attrattività delle università e delle aziende americane verso i talenti di tutto il mondo. Questo vantaggio economico degli Stati Uniti, i suoi investimenti, i suoi consumi sono tra le molte cause del disavanzo nella bilancia dei pagamenti del Paese, da cui Donald Trump è ossessionato. È un deficit che viene da lontano e che, anzi, venti anni fa era ancora peggiore, visto che è stato nel primo decennio del secolo superiore al quattro per cento del Pil e ha sfiorato il sei. Non ha, però, impedito tassi di crescita molto superiori di quelli di Germania o Italia, da dieci anni in attivo, né del resto l’avanzo cinese ha evitato all’economia del gigante asiatico di raffreddarsi.
Dati del Fmi, proiezioni fino al 2029
La speciale posizione degli Usa, come unico campione e leader del primo mondo, oggi ancora più di venti o quarant’anni fa, forse non è pienamente compresa dagli americani, perlomeno non dal punto di vista economico, anche a causa della retorica del declino, una narrazione quasi distopica visti i dati macroeconomici degli Stati Uniti. E solo gli Stati Uniti possono rovinarla, magari con qualche politica mirata a ridurre il deficit della bilancia dei pagamenti attraverso i dazi, cosa che, secondo quasi tutti gli analisti, farebbe scendere anche la crescita americana oltre a quella mondiale.
La leadership in campo militare, invece, è sempre stata più chiara, anche a livello di percezione, eppure in questo caso la quota americana sulla spesa mondiale, per quanto amplissima, è scesa più di quanto non abbia fatto quella del Pil, a causa dell’attivismo russo, cinese e dei Paesi emergenti di tutto il mondo. Nel 2023 era del 37,7 per cento, contro il cinquantuno per cento del 2010 ed è naturalmente destinata a diminuire se Donald Trump riuscirà a convincere gli alleati a spendere di più.
Dati Sipri
Il presunto declino economico rischia di oscurare quello, più concreto, in ambito militare, complice la consueta propaganda. La presidenza Trump potrebbe aggravare entrambi se dovessero essere confermate misure come i dazi, l’espulsione di massa degli immigrati e il disimpegno in politica estera. Tuttavia, Donald Trump non ha mai avuto difficoltà a smentire se stesso, i suoi programmi, le dichiarazioni e persino le proprie idiosincrasie. Potrebbe sorprenderci, come sempre.