Ogni stagione politica ha i suoi scappati di casa. Dopo quella dei grillini arruffapopolo e i salviniani avventurieri, ora è il turno di Fratelli d’Italia, eredi, a differenza degli altri due, di un certo professionismo politico sopravvalutato – non è che il Msi fosse questa scuola ateniese di filosofia politica – ma molto usato per coprire l’ignoranza dei problemi.
Lo squadrone dei Fratelli vive in un mondo tutto suo dentro una smodata considerazione di sé. Sabato 1 febbraio, senza Giorgia, hanno fatto una riunione della direzione (più che una riunione, una parata) per lodarsi a vicenda – chi si loda s’imbroda, dicevano le nonne – dove hanno parlato di «risultati straordinari»: sembrano Di Maio sul balcone di palazzo Chigi quando annunciò di avere sconfitto la povertà.
Un crescendo rossiniano fino all’autoesaltazione della sorella della presidente del Consiglio che ha evocato forse l’unico riferimento culturale di cui dispone, cioè J.R.R. Tolkien, lo scrittore tutto sommato minore che fu subito “sangiulianizzato” all’inizio dell’avventura governativa con una inutile mostra alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, ormai fatta diventare da loro uno stand di Atreju. Frodo, la Compagnia dell’Anello: mitologia, fantasy, appunto, il mondo parallelo di gente trovatasi un po’ per caso nella stanza dei bottoni che si sta eccitando pazzamente davanti alle orde di fotografi sinora appannaggio dei “comunisti” e affini.
I Fratelli e i relativi stuoli di ragazze e ragazzi che palleggiano con i cellulari – giovani assistenti cui non pare vero essere lì – sciamano per le stradine della Roma barocca camminando a un metro da terra ora che sono accettati nei salotti che contano e contesi dalle televisioni, ormai in mano loro, il duopolio Rai-Mediaset genuflesso nel segno di un indemoniato Bruno Vespa e un più pop Nicola Porro.
Alla cosiddetta riunione hanno parlato i ministri, applaudendosi l’un l’altro, hanno tutti attaccato la magistratura come berlusconiani di serie B – «fateci lavorare» – ma idee sul Paese (pardon, Nazione) zero, su come smuovere l’economia zero, su come aggiustare scuola e sanità zero. E Santanchè? Almasri? L’Albania? Come dice la ministra del Turismo, «chissenefrega». Persino sulla domanda più politica – la legislatura reggerà? – zero, eppure nel Transatlantico non si parla che di quando si andrà alle elezioni, ma loro si divertono ad alimentare il chiacchiericcio, a depistare la discussione: come dice Benito Mussolini nella serie televisiva “M – Il figlio del secolo”, «tutto fa brodo».
Eppure avrebbero il dovere di chiarire, Giorgia Meloni e la sorella, fino a che punto intendono muovere guerra alla magistratura, all’opposizione, a chi la pensa diversamente da loro; lo dicano perché alla lunga la Nazione potrebbe stufarsi di un clima dove si urla tanto e si combina poco. Quella Nazione che non c’era, alla parata di sabato, e tantomeno il Paese reale e i suoi problemi che loro fanno finta di non vedere beandosi della droga dei sondaggi e del metadone delle comparsate al Tg1.
Quell’autocelebrazione nel segno del comando è stata piuttosto il Grande Riscatto delle sedicenti idee di quando erano ragazzi a raccontarsela tra di loro nelle stanzette missine, ed è solo e sempre questo complesso di inferiorità cui all’epoca si reagiva con le botte e oggi con il sottopotere che ha fatto vibrare la voce di Arianna Meloni, una perfetta sconosciuta assurta a leader politico che detiene le chiavi del potere nazionale grazie alla sorellanza con la padrona del governo. Ma, orgoglio tolkieniano a parte, dove sia il Paese, dove siano le sue domande, dove sia la politica, tutto questo Arianna non lo sa.