«La “Lobby dei dazi”, guidata dal Globalista, e sempre in errore, Wall Street Journal, sta lavorando duramente per giustificare che Paesi come Canada, Messico, Cina, e troppi altri da nominare, continuano la TRUFFA DELL’AMERICA che dura da decenni, sia per quanto riguarda il COMMERCIO, la CRIMINALITÀ, sia per quanto riguarda le DROGHE VELENOSE che possono circolare liberamente in AMERICA». Questo è uno scampolo della prosa con cui Trump dalla sua piattaforma Truth ha risposto all’accusa del tradizionale giornale di riferimento del mondo degli affari statunitense di avere scatenato «la più stupida guerra commerciale della storia».
Il linguaggio può sembrare più o meno lo stesso che il neopresidente arrivato Casa Bianca usa sempre, ma stavolta c’è una parola che forse è chiave. «Globalist», a mo’ di insulto. L’agenda di Trump e dei suoi simpatizzanti è in genere rubricata come «sovranismo», quando non si tira in ballo il fascismo, che al massimo è un’analogia. Ma Trump ha già colpito Canada e Messico con tariffe rispettivamente del venticinque per cento e del dieci per cento su una serie di beni. Alla fine della scorsa settimana invece ha annunciato l’imposizione di dazi contro l’Unione europea, compresa l’Italia. Poi ha giustificato questa decisione sostenendo che l’Ue si sta approfittando dell’economia americana, sottolineando lo squilibrio commerciale tra le due sponde dell’Atlantico: «Non comprano le nostre auto, non comprano i nostri prodotti agricoli, prendono quasi nulla da noi, mentre noi importiamo milioni di auto ed enormi quantità di cibo e beni agricoli».
Secondo l’amministrazione Trump, queste misure tariffarie sarebbero necessarie per proteggere i lavoratori e le imprese americane, ma molti esperti avvertono che potrebbero avere effetti dannosi sull’economia interna, aumentando i prezzi per i consumatori e riducendo la competitività delle aziende statunitensi sui mercati globali. Non solo. Diversi economisti avvertono che la guerra commerciale scatenata dalla Casa Bianca potrebbe avere effetti destabilizzanti per l’economia globale. Secondo Lawrence Summers, ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti, questi dazi potrebbero scatenare uno shock dell’offerta auto-inflitto: porteranno a un aumento dei prezzi per i consumatori americani e rallenteranno la crescita economica.
Seguendo questa strada, e chiudendo il cerchio con l’attacco al «Globalist» Wall Street Journal, in pratica Trump si è definito No Global, che però, appunto, è cosa diversa rispetto al fascismo, che risponde a situazioni, slogan e soluzione istituzionali di oltre un secolo fa.
Anche il concetto di «sovranismo» è diverso. Nella sua forma attuale, il «sovranismo» può segnare il suo inizio nel discorso sulla «democrazia sovrana» fatto il 22 febbraio 2006 a un meeting del partito putiniano Russia Unita da Vladislav Surkov, che sarebbe poi stato vice-primo ministro. Il termine si è poi diffuso in particolare dopo la crisi dei migranti siriani del 2015, alimentandosi anche dal precedente disagio per la crisi greca, e poi con la Brexit e con le polemiche sulla gestione dell’emergenza Covid. È però essenzialmente un concetto europeo e legato alla contestazione dell’integrazione europea, anche se viene ormai esteso per analogia anche in altri contesti.
Il concetto di protezionismo è invece più antico. In una forma più arcaica definita mercantilismo, fu l’ideologia degli Stati europei all’inizio della modernità, ed ebbe il suo più noto esponente nel Jean-Baptiste Colbert, ministro del Re Sole. Fu appunto per polemica contro questa prassi che nacque il liberismo, a partire da Adam Smith e dalla sua famosa spiegazione: «Per mezzo di vetri, focolai e pareti calde, in Scozia si può coltivare uva molto buona e da essa si può ricavare un vino molto buono a un costo circa trenta volte superiore a quello per importare vino dall’estero. Sarebbe sensato vietare l’importazione di tutti i vini stranieri semplicemente per incoraggiare la produzione nazionale di chiaretto e borgogna?». «Dove non passano le merci, passeranno gli eserciti», avrebbe ulteriormente chiarito il secolo dopo il francese Frédéric Bastiat.
Fu poi contro il liberismo che il mercantilismo risorse nella nuova veste del protezionismo. Primo grande teorico il filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte, che come corollario ai suoi “Discorsi alla nazione tedesca” contro Napoleone sostenne anche il progetto di uno Stato commerciale chiuso. Libro proprio dell’anno 1800. Sorta di programma socialista ante litteram, questo discorso fu edulcorato da Friedrich List nell’idea che il protezionismo non fosse tanto un ideale assoluto, ma una necessità per gli Stati con industrie nascenti, che avrebbero potuto poi passare al liberismo una volta in condizioni di competere. In effetti List stesso si proclamava liberale. Professore di economia all’Università di Tubinga, nel 1825 era stato costretto ad emigrare negli Stati Uniti appunto per salvarsi da persecuzioni politiche, ma nel 1832 tornò in Germania proprio come console statunitense. Influenzò dunque entrambi i Paesi. La Germania, ispirando quell’unione doganale dello Zoolverein, che nel 1834 iniziò a funzionare tra i trentanove Stati tedeschi, un po’ come oltre centoventi anni dopo la Cee avrebbe iniziato a funzionare a livello continentale. Ma negli Stati Uniti già il primo segretario al Tesoro Alexander Hamilton nel suo “Report on Manufactures” aveva difeso quella teoria della difesa temporanea che in effetti avrebbe improntato la storia statunitense praticamente fino alla vittoria nella Seconda Guerra Mondiale.
Make America Great Again: in effetti è vero che gli Stati Uniti sono cresciuti in quel modo. La stessa Guerra di Secessione è leggibile anche come conflitto tra gli Stati industriali e protezionisti del Nord e un Sud schiavista che la monocultura del cotone avrebbe invece spinto al libero scambio. Solo che, appunto, in realtà l’America di allora non era grande, ma lo stava diventando. Quando lo è diventata, al contrario, il suo interesse è stato quello di poter imporre dappertutto il libero scambio, anche perché nel 1944 a Bretton Woods era stato accettato il dollaro come valuta mondiale.
La spinta ovviamente si accentuò ancora di più dopo la vittoria nella Guerra Fredda, furono gli Stati Uniti in prima fila nel promuovere l’evoluzione dell’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (Gatt) nel più impegnativo Wto come organizzazione del commercio internazionale, e fu George H. W. Bush a volere con Canada e Messico quell’Accordo di Libero Scambio del Nord America (Nafta) che fu firmato il 17 dicembre 1992 ed entrò in vigore il primo gennaio 1994. Mentre fu suo figlio George W. Bush nel novembre del 2003 a lanciare l’altra idea dell’Accordo di Libero Scambio delle Americhe (Afta), o Enterprise for Americas, che avrebbe esteso l’area di libero scambio a tutto il Continente.
Ma già il primo gennaio 1994, il giorno stesso della firma del Nafta, nel Chiapas, il Subcomandante Marcos gli montò contro l’insurrezione zapatista. Il 30 novembre 1999 a Seattle, in Canada, durante il vertice del Wto almeno quarantamila manifestanti ispirati a un’opposizione anticapitalista contro il libero commercio scatenarono quella protesta da cui nacque l’etichetta di No Global. Nel luglio del 2001 i No Global incendiarono contro il G8 la battaglia di Genova. E il 4 e 5 novembre del 2005 al Quarto Vertice delle Americhe nell’argentina Mar del Plata il progetto dell’Afta è definitivamente fatto saltare dal doppio gioco del presidente argentino Néstor Kirchher. Da una parte fa da anfitrione, dall’altra ospita un Terzo Vertice dei Popoli che fa da sponda ai cinque leader da cui viene il blocco al progetto: quattro di sinistra – lo stesso Kirchner, il brasiliano Lula, l’uruguayano Tabaré Vázquez e il venezuelano Hugo Chávez – e uno di destra, il paraguayano Nicanor Duarte Frutos, che però fa blocco trasformista con i vicini.
Insomma, è il gioco tra movimento No Global e ondata a sinistra latino-americana che blocca il progetto di integrazione continentale. Però è poi Trump al primo mandato, divenuto presidente con lo stesso partito dei Bush, che fa saltare il Nafta, sia pure per sostituirlo il primo luglio 2020 col nuovo accordo Umsca. Ma col secondo mandato ha fatto saltare anche quello, e a questo punto si è definito lui come il grande alfiere del sogno No Global di far saltare il commercio mondiale come origine di ingiustizia. Sic transit gloria mundi.