Lo scudo per il papà della Boschi è una frottola

Da giorni ci provano un po' tutti, ma sembrava più facile. In tanti cercano la “pistola fumante”, ma non viene fuori nulla. Allora ci si deve arrangiare con quello che si ha. Ieri ci siamo occupa...

Da giorni ci provano un po’ tutti, ma sembrava più facile. In tanti cercano la “pistola fumante”, ma non viene fuori nulla.

Allora ci si deve arrangiare con quello che si ha.

Ieri ci siamo occupati proprio della disonestà intellettuale di certa stampa italiana. Disonestà che appare per lo più frutto di pregiudizio e di schieramento a prescindere.

Ecco allora che anche Il Fatto Quotidiano si abbassa al livello di Libero (che qualche giorno fa aveva inutilmente tentato di convincerci di un inesistente scudo normativo a favore del padre di Maria Elena Boschi) e tenta anch’esso di persuaderci che il governo abbia deliberatamente amnistiato le responsabilità (ancora tutte da dimostrare in ogni caso) del papà della ministra.

L’articolo è firmato dalla redazione. Il titolo è roba forte: “Banca Etruria, “tre parole nel decreto e il salva papà Boschi è realtà”. E il ministro era presente al Cdm che varò il testo”.

Ve la faccio breve. Secondo Il Fatto il governo, all’art. 35 comma 3 del decreto di recepimento della direttiva europea sul bail-in (decreto n. 180/2015), avrebbe riservato l’esercizio delle azioni di responsabilità prima spettanti alla banca (che rimane soggetto diverso da coloro che la gestiscono) ed ai creditori sociali della stessa (obbligazionisti compresi), ai commissari liquidatori.

Per Il Fatto si tratterebbe di una deroga a quanto accade di solito per le banche che falliscono e siccome tale deroga sarebbe stata richiamata anche nel c.d. decreto salva banche (che in realtà salva i correntisti e certifica il default di Banca Etruria & co.), non potrebbe che trattarsi di prova evidente di questo fantomatico conflitto che tutti disperatamente cercano, neanche fosse il santo Graal.

Il giornale, per supportare questa tesi, sostiene che solitamente alle banche che vanno in default si applica l’art. 72 del Testo Unico Bancario (d. lgs. n. 385/1993), che, al contrario di quanto accadrà per Banca Etruria, lascerebbe nelle mani dei creditori l’azione risarcitoria.

Sbagliato. Sonora bocciatura in diritto bancario. Con demerito, inoltre, vista la professione esercitata e il tentativo di raggiro della pubblica opinione.

L’articolo col quale fare i paragoni del caso non è l’art. 72, che riguarda l’amministrazione straordinaria, ossia quello che conosciamo come commissariamento e che non comporta il default dell’istituto, bensì la prosecuzione dell’attività. Un contesto in cui non avrebbe senso togliere l’azione risarcitoria ai creditori sociali.

L’articolo con cui fare il paragone è invece l’art. 84 del Testo Unico bancario (anch’esso del 1993, ma in realtà già presente anche prima nel nostro ordinamento) che disciplina le azioni di responsabilità verso gli organi dirigenti proprio nell’ipotesi di insolvenza e fallimento della banca, nell’ambito di una particolare procedura denominata liquidazione coatta amministrativa.

Guarda un po’, il comma 5 dell’art. 84 del TUB stabilisce che sia l’azione risarcitoria spettante alla società, sia quella spettante ai creditori, sono rimesse al commissario liquidatore. Come detto, l’art. 84 risale a prima del 1993.

Banca Etruria venne posta in amministrazione straordinaria nel febbario di quest’anno per poi essere avviata proprio a liquidazione coattiva con l’emanazione in data 21 novembre 2015 del decreto di risoluzione da parte della Banca d’Italia (cfr. ultimo punto elenco delle premesse del comunicato).

Insomma, l’azione dei creditori contro gli organi dirigenti della banca aretina aveva senso fino al 21 novembre, dopo di che, con la certificazione del suo dissesto, tale azione è stata posta correttamente nelle mani degli organi di risoluzione della crisi.

La scelta del governo è pienamente coerente con il sistema legislativo vigente e l’anomalia vi sarebbe stata proprio se il governo avesse lasciato l’azione di resposanbilità nelle mani dei creditori.

La scelta è coerente con lo stesso art. 146 della legge fallimentare (norma del 1942), che riserva anch’esso al curatore fallimentare l’esercizio di tutte le azioni risarcitorie verso gli organi dirigenti della società fallita, togliendole ai singoli creditori.

Motivo di un simile indirizzo legislativo? Equità. Assicurare parità d’armi, di condizioni e trattamento a tutti i creditori, nel cui interesse unitariamente considerato gli organi della procedura di insolvenza potranno agire.

E’ principio acquisito nel nostro ordinamento che nel fallimento del proprio debitore si sia tutti uguali (si parla in questo caso di par condicio creditorum). Se così non fosse, i creditori più piccoli, che magari non possono permettersi di sostenere i costi di un’azione di responsabilità (che non è affatto un’azione semplice), potrebbero risultare svantaggiati rispetto ai creditori più grandi che potrebbero soddisfarsi autonomamente sul patrimonio del dirigente.

Lasciando ogni azione agli organi dell’insolvenza, invece, si stabilisce che questi possano recuperare il più possibile (anche dagli ex dirigenti) nell’interesse di tutti i creditori unitariamente considerati.

Epitteto aveva ragione. Non sono i fatti a turbare gli uomini, ma le loro opinioni intorno ai fatti.

Piero Cecchinato