Step by StepBerlinale, meglio Carlo Marx

BERLINO – Il boato delle critiche e del caos provocati dai primi effetti dell’ordine esecutivo firmato da Trump sull’immigrazione, il cosiddetto “muslim ban”, è rimbalzato anche sulla Berlinale. Co...

BERLINO – Il boato delle critiche e del caos provocati dai primi effetti dell’ordine esecutivo firmato da Trump sull’immigrazione, il cosiddetto “muslim ban”, è rimbalzato anche sulla Berlinale. Così meglio si capisce perché il direttore della rassegna cinematografica (9-19 febbraio 2017) Dieter Kosslick, abbia cercato in tutti i modi di non lasciare spazio e commenti su Donald Trump, durante la conferenza stampa di presentazione del Festival, ieri a Berlino.

Anche perché s’era preparato un bel discorso sulla diversità che sebbene non sia un tema nuovo per il festival berlinese, con Trump e la xenofobia in Europa che dominano i titoli dei giornali è tornato di straordinaria attualità. Per essere nel vero, il direttore Kosslick si è spinto ancora più avanti quando, annunciando la visone sul grande schermo del film Il giovane Karl Marx con August Diehl nel ruolo del filosofo tedesco ha dichiarato che, “sarebbe bello poter guardare il mondo di oggi attraverso gli occhi di Marx”.

Perché Marx è meglio? Perché “ le altre ideologie hanno finito col rendere i ricchi più ricchi e i poveri più poveri”, precisano dalla Berlinale

Naturalmente, non è andato oltre una critica misurata. Non ha raccolto ad esempio, la protesta dell’Associazione degli Oscar che si è schierata contro il bando ai musulmani deciso dal presidente americano Trump, dopo che il regista iraniano Asghar Farhadi, aveva dichiarato che non andrà a ritirare l’Oscar per il suo film Il Cliente. “Il nostro programma è una protesta sufficiente”, si è limitato a rispondere Kosslick a una domanda su come il festival del cinema di Berlino, noto per il suo “impegno politico”, si posizioni di fronte alle decisioni di Donald Trump, che stanno dividendo gli Stati Uniti e indignando il mondo.

Sicché ascoltando Kosslick con negli occhi l’immagine della capigliatura di Trump, torna in mente il lucidissimo pamphlet scritto da John Maynard Keynes nel 1919, per documentare gli errori del Trattato di Pace di Versailles, e denunciare gli effetti negativi dell’umiliazione della Germania, come pure degli egoismi nazionalistici di Gran Bretagna e Francia e, infine, della superficiale affermazione d’egemonia degli Usa.

Anche Ronald Reagan come Trump venne accolto al suo insediamento con gli insulti, con le marce di protesta, dal disprezzo dagli intellettuali radical-chic di mezzo mondo

Infatti, Donald Trump nella prima settimana da inquilino della Casa Bianca ha subito ha rinnovato l’asse con Londra nell’incontro con Theresa May che per molti versi evoca i fasti dell’intesa raggiunta negli anni Ottanta, dalla coppia Ronald Reagan-Margareth Thatcher.

Da quel sodalizio nacque e poi si consolidò la politica della “Reaganomics” e dei Chicago Boys di Friedman, e con essa l’ideologia del mercato come valore assoluto e generale e non come strumento di libera competizione. La conseguenza la stiamo ancora vivendo nello strazio, che si riassume nel conflitto tra l’avanzata inarrestabile della globalizzazione e la rinascita degli spiriti nazionalisti. Poco importa se il mondo ne esca squassato, con i ricchi sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri. Infatti, i media mainstream poco ne parlano, o non ne parlano affatto. Ragion per cui il “alla Berlinale interessano i poveri come a Marx”, sparato da Kosslick, più che una battuta potrebbe suonare come una provocazione, anche se l’eco probabilmente durerà lo spazio del festival.

Non è detto però, perché anche Ronald Reagan – come Trump – venne accolto al suo insediamento con gli insulti, con le marce di protesta, dal disprezzo dagli ambienti intellettuali, radical-chic di mezzo mondo. Poi un giorno, l’ex attore di Hollywood s’incontrò con Gorbaciov e insieme cambiarono il mondo e la sua mappa. Cominciando dal crollo del Muro di Berlino.

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