Cari lettori, scrivo queste righe per evitare di rispondere singolarmente ogni volta a queste due obiezioni: «Patria italiana è un nome di destra», «l’elmo è un simbolo troppo violento, militaresco, troppo maschile».
Sentite, ragazze, ragazzi, se i pochi libri che avete letto li avete letti male non è colpa mia e non sarà col mio tempo che sconterò la vostra ignoranza. Attenzione, quando vi dico “ignoranti” non sto offendendo la vostra persona elevando l’aggettivo a dimensione universale. Mi riferisco solo ed esclusivamente al difetto di sapere che vi induce a queste due obiezioni.
Da All’Italia, Francesco Petrarca
Non è questo ‘l terren ch’i’ toccai pria? / Non è questo il mio nido / ove nudrito fui sí dolcemente? / Non è questa la patria in ch’io mi fido, / madre benigna et pia, / che copre l’un et l’altro mio parente?
Perdio, questo la mente / talor vi mova, et con pietà guardate / le lagrime del popol doloroso
Questa cosa è di destra? È di sinistra? Il senso di appartenenza a un suolo che ti ha dato i natali è una boutade o una realtà?
Questa cosa è. Semplicemente. Sarebbe bene che iniziassimo tutti a preoccuparci delle cose che sono.
Guardate che avere mille identità e non averne è la stessa cosa. E considerate che il presupposto di ogni dialogo e confronto è avere una propria identità. Bello vivere in mezzo a tutte le genti del mondo. Magari meno bello è farlo da fantasmi.
In risposta alla seconda obiezione, quella sull’elmo.
Primo argomento: che la forza sia divenuta una pecca è l’indice più manifesto dell’entropia contemporanea cui “Patria Italiana” si prefigge di opporsi, da ogni punto di vista. A chi mi chiede continuamente il programma: il programma è questo. Poi ci sono i programmini, che sono gli altri.
Secondo argomento: io non credo alla rappresentazione parodistica delle donne che le vorrebbe avversatrici di tutto ciò che è loro differente. È il discorso di prima: la diversità è una ricchezza, è la ricchezza del mondo. Dunque io credo che il miglior modo per rispettare le donne sia essere uomini. Ricordo un film di Godard, Il disprezzo: guardatelo.
A me, uomo, viene naturale impiegare una certa simbologia, che peraltro è stata “la” simbologia partitica fino a pochi decenni fa. Ricordate? Lo scudo crociato, la falce e il martello, la fiamma…
Di che cosa è espressione un simbolo tratto dal mondo militare? Di fermezza nella lotta, non di volontà di lotta.
Dobbiamo in sostanza deciderci, tutti quanti. O il mondo è perfetto com’è, e allora non vi sono conflitti e il bene trionferà se non oggi domani, comunque, oppure il mondo è drammaticamente e spietatamente ingiusto e la libertà e i diritti vanno conquistati e difesi con fermezza. Militaresca fermezza.
Io è 40 anni che mi porto da una casa all’altra il poster del Che. Politicamente era un asino. Umanamente un eroe. Non mi dispiacerebbe qualcosa a mezzo.
A presto.