Berlino. L’AfD, Alternative für Deutschland, nonostante predichi un estremismo di chiaro stampo xenofobo, ha offerto subito un nuovo posto di lavoro a Daniel Zabel. E’ il funzionario di polizia, che ha perso il posto dopo aver pubblicato sui social il testo del mandato di cattura di uno dei sospettati dell’omicidio di Daniel Hillig a Chemnitz. Lo ha fatto – ha spiegato – per dimostrare che i media mainstream tedeschi sul tema dei migranti non sono piu’ credibili e che continuano ad ingannare l’opinione pubblica.
E’ accaduto nella città della Sassonia, assediata per due giorni dalla teppaglia inferocita neonazista, che all’urlo di «stranieri raus» e «il popolo siamo noi» ha messo a ferro e a fuoco l’ex Karl-Marx-Stadt, così si chiamava fino al 1990 la città di Cheministz .
Un’autentica rappresaglia, rubricabile alla voce terrorimo, per la morte di un tedesco di origine cubana di 35 anni durante una lite con un iracheno, ora in custodia cautelare con l’accusa di omicidio tutta da provare. Quanto basta per accumulare odio sugli immigrati, e accrescere le fila dei militanti di estrema destra Pro-Chemnitz, un movimento nazionalista e populista con simpatie per un auspicato quanto utopico nuovo nazionalsocialismo, che si è affiliato all’AfD.
Infatti, l’AfD continua a raccogliere consensi. Ha conquistato un impressionante 12,6 per cento alle elezioni federali dell’anno scorso, diventanto così il partito d’opposizione con il maggior numero di seggi in parlamento. E’ emerso pure che moltitudini di lavoratori l’hanno con stime che variano dal 16 al 20 per cento nell’ ex Repubblica Democratica Tedesca, con le regioni economicamente più disagiate, con la manodopera malpagata e la più disoccupata.
Scrive bene Rosa Balfour, Senior Fellow al German Marshall Found, quando avverte che, “I vecchi partiti mainstream potrebbero essere tentati di fare accordi tra di loro per impedire ai populisti di salire al potere…ma questo è esattamente una ragione che spinge i cittadini a votare contro l’establishment”. L’antidoto al populismo – spiega l’esperta – sono piuttosto “nuove idee per combattere l’ineguaglianza e l’insicurezza sociale, per creare posti di lavoro nell’economia verde…la sinistra, la destra e il centro devono combattere la battaglia delle idee, non quella per i posti di potere”.
Viceversa la maggioranza di governo continua a non prendere sul serio le paure degli elettori, col rischio di legittimare assieme alle posizioni xenofobe dei populisti, ogni forma di protesta contro i migranti, i profughi, i musulmani.
Usa toni ancora più espliciti Sophia Gaston, visiting research fellow alla London School of Economics, quando tira le orecchie al media mainstream che non indaga sulle rimostranze vere dell’ elettorato. “Il populismo dovrebbe suonare come un campanello dall’allarme per i politici tradizionali”, per prestare più attenzione a temi troppo speso ignorati, come identità, senso di appartenenza, cultura e tradizione. Tuttavia – ammonisce la studiosa – “così come le forze del populismo non si sono formate dal giorno alla notte, c’è una lunga strada davanti per riacquistare la fiducia dell’elettorato…l’alternativa al populismo c’è, la questione è se i leader politici avranno il coraggio e l’energia per realizzarla”.
Ci prova a salire sul muro che scotta, il leader storico della socialdemocrazia tedesca Oskar Lafontaine, il quale sulla sua pagina di Fb condanna l’assurda ideologia dei “no-border-no-nation”, inchioda chi lo accusa di essere un nazionalista di sinistra e si rilancia, insieme alla moglie Sahra Wagenknecht e ad altre importanti personalità con un nuovo raggruppamento politico capace di superare i tradizionali confini della Linke e della sinistra tedesca.
“Il modo piu’ semplice”, egli sostiene, “è guardare dentro l’ideologia “no-border-no-nation”, perché chiunque si ponga la questione di come poter costruire uno stato sociale capirà immediatamente quanto questa ideologia sia lontana dalla realtà”.
Spiega: “Nei paesi anglosassoni spesso la metà dei dottori e degli infermieri arriva dai paesi in via di sviluppo. In Germania c’è uno scatto d’ orgoglio ogni volta che, si fa la conta delle migliaia di medici e di operatori sanitari che provengono dalla Siria, dalla Grecia e lavorano qui. Almeno su questo punto i seguaci dell’ideologia dei “confini chiusi agli immigrati” dovrebbero iniziare a capire che stanno sostenendo qualcosa di irrealistico e completamente antisociale”, conclude il leader storico della sinistra tedesca.
Lafontaine si è guarda bene dal ricordare che è la Rivoluzione russa che ha alimentato le lotte anticolonialiste in tutto il mondo, debitrici quindi dello spartiacque storico aperto da Lenin, il quale a sua volta aveva costruito la propria formazione culturale, sui testi di Marx e della filosofia classica tedesca. Sicché rimanendo nella logica, ogni immigrato meriterebbe un indennizzo. E’ con questo slancio universalistico seppure in uno scenario mutato, che le classi dirigenti europee si vedono oggi costrette a fare i conti. Il fatto nuovo è che la sinistra, la Linke, di Lafontaine e della consorte e segretaria del partito Sahra , non si accanisce sull’ingiustizia storica, non rispolvera Lenin, come sarebbe accaduto fino a qualche decennio fa. Infatti Lafontaine evita la polemica, l’assopisce con una riflessione di uno spessore tangibile, che illumina la sinistra di una luce nuova.
Esattamente il contrario di quanto avviene in Italia per bocca di Walter Veltroni che si ricandida come un possibile leader-replay barattando come se fosse appena nata una visione deteriorata, un già visto, un deja vu.
Una proposta così “nuova” che è data per perdente già dal suo inizio, poiché è la medesima che ha aperto la strada agli odierni populismi, nonché a una cultura politica diffusa, astiosa proprio verso i partiti e le istituzioni, accusati di nascondere la verità pur di conservarsi i posti di potere.
Nel suo articolo dell’altro ieri su Repubblica, l’ex segretario non ha speso un commento sul fatto che la penisola italiana risulta occupata da «59 basi militari americane» (è il «quinto avamposto statunitense nel mondo per numero d’installazioni militari, dopo Germania, con 179 basi, Giappone con 103, Afghanistan con 100 e Corea del Sud con 89). Non ha spiegato nemmeno perché i governi offrono sistematicamente «al Pentagono tutto ciò che vuole», e il territorio italiano è sottoposto ad una gigantesca operazione di spionaggio da parte di NSA e CIA.
Non si è soffermato un attimo – è ancora più grave – sugli ormeggi sociali storici della Sinistra. Infatti, “non parla di privatizzazioni, di leggi sul lavoro, dell’assenza di democrazia interna, del maschilismo, del disastro urbanistico di Roma, del sistema di Mafia Capitale che ha azzerato la sua credibilità di amministratore”, come ricorda lo scrittore romano Christian Raimo. Insomma, mancava solo che citasse il suo compagno di merende “Cicciobello” (Francesco Rutelli ndr.) e il quadro era completo.
A proposito del “nuovo”, mi torna in mente il ministro della Giustizia Herta Däubler-Gmelin(SPD), quando nel 2002 spiegò a un quotidiano tedesco, che la Casa Bianca aveva inasprito con pratiche crudeli, la repressione in Iraq perché, «Bush vuole distrarre la popolazione dalle proprie difficoltà. Si tratta di un metodo popolare, Hitler ha fatto la stessa cosa». Accadde il pandemonio, Herda divenne il simbolo del coraggio.
Svelò i trattamenti inumani qualche semestre prima, che i funzionari governativi europei denunciassero la pratica del Waterboarding ordinata dall’amministrazione Bush e le torture perpetrate dall’esercito americano nel carcere di Abu Ghraib. Non mi pare che in Italia ci siano state mai denuncie di contesti altrettanto simili.
Beninteso, nonostante il ricordo di quelle prove di coraggio la Linke non è avanzata di molto e la SPD ha dimezzato i consensi. Non il rispetto, però.
Originale: vincenzomaddaloni.it