Oggi ritorno a scrivere di politica ed economia, due temi che mi appassionano perché sono il presupposto del vivere civile, che è poi, per quanto mi riguarda, il vivere tout court.
E l’occasione è ghiotta. Ieri question time alla Camera. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, rispondendo ad un’interrogazione di Leu, assicura: «Il Documento di Economia e Finanza verrà presentato secondo i termini di legge», vale a dire entro il 10 aprile.
E aggiunge: «Certamente nel prossimo Def si aggiorneranno le previsioni economiche: l’aggiornamento porterà a una valutazione e alla verifica dei saldi che saranno oggetto del confronto con l’Unione europea».
Ma ieri, mercoledì 20 febbraio Anno Domini 2019, lo spread ha chiuso a 276 punti base, e leggerlo non è come bere una camomilla.
Lo spauracchio, che non è poi uno spaventapasseri comune ma è the Scarecrow: «It never sleeps, it never dies, it can’t be stopped, hear their cries», è la recessione.
Ed è uno spauracchio che fa ombra nei campi italiani già adesso, da due trimestri. Lo chiamano “recessione tecnica” per avere meno paura e perché non hanno ancora capito che nulla dovrebbe fare più paura di una cosa tecnica che non ha valvole di sicurezza.
Fu nel 1975 l’economista Julius Shiskin a suggerire in un articolo sul “New York Times” di prendere in considerazione l’andamento del prodotto interno lordo in due trimestri consecutivi: se il calo permane allora il Paese è in recessione, l’opposto della crescita economica.
La domanda di beni e servizi si contrae, la disoccupazione aumenta, gli investimenti calano, insomma l’economia va a ramengo, ad Aramengh, all’estremo confine del ducato.
Se questo accade, ed è accaduto, servono investimenti. Ma le banche italiane sono messe male. Come del resto le banche tedesche, ma affari loro.
A me, italiano, importa che il problema dei titoli tossici in pancia agli istituti di credito nazionali non sia nemmeno stato affrontato, lo si è accollato ai contribuenti senza vergogna alcuna.
A me, italiano, importa che da dieci anni a questa parte vadano riducendosi i prestiti concessi a quelle PMI che rappresentano i due terzi dell’economia italiana, e che non si voglia ammettere che occorre rifondare da capo a piedi la cultura del lavoro.
«Il lavoro nobilita l’uomo», si diceva. Si è detto per secoli. A un certo punto di questa frase ci hanno insegnato a ridere.
Proprio quei beneficiati dal regime sinistroide che in gioventù levavano i pugni al cielo. Non fatemi fare i nomi, perché non meritano i loro nomi vengano fatti.
Quelli che quando parlano di lavoratori sanno parlare solo delle categorie protette. Dei metalmeccanici, come nell’Autunno caldo, come nello sciopero davanti alla Pirelli. E badate che so di cosa parlo. Ho fatto il metalmeccanico, con orgoglio. Alzino la mano i dirigenti della sinistra che possono dire altrettanto.
«Che cosa vogliamo? Vogliamo tutto», si leggeva nei Quaderni piacentini. «Per questo la battaglia contrattuale è una battaglia tutta politica».
Ecco l’origine dello sfacelo. La battaglia contrattuale è ed è sempre stata una battaglia anche economica. Perché è quando smetti di far di conto che diventi un opportunista e un ladro.
Perché è quando fingi o, peggio, dici, che pensi non si debba dispiacere mai a nessuno che – se non vivi in un mondo perfetto – offendi gli ultimi, la cosa più facile. La cosa più vile.
E tu questo sinistra hai fatto, hai offeso gli ultimi. Sei arrivata a contestare il pane ai disperati, opponendogli il rispetto del lavoro. E lo facevi non dando lavoro. Vergognati.
Sinistra tu hai smesso di contare, e quando è rimasto un pollo non lo hai diviso lo hai rubato per il tuo zoccolo duro: dipendenti pubblici sindacalizzati.
E come mai sarà successo che ora sei alle corde farlocca e parli per bocca di inetti e nanetti?
Per venire all’oggi, sinistra, tu davvero vuoi vendere che dopo nemmeno esserti accorta che la gente ha fame o peggio, avendolo visto ma spietatamente occultato, la recessione sia attribuibile al governo attuale? Tu che hai insegnato a fottersene dei conti se sei dalla parte giusta del fiume? Ma neanche morente riesci ad avere un momento di verità?
Non potrai sempre cavartela con la demonizzazione di un regime sepolto da settant’anni. O ammonendo contro un razzismo inesistente.
Tu lo fomenti. È la tua linfa. Tu sei razzista contro ogni obiettore.
È «il fascismo degli antifascisti» esecrato da Pasolini.
È il tuo immenso limite culturale.
E te lo dice uno di destra, per cui la cultura è tutto. Ma prima di essere tutto, è tolleranza, verità e misura.