Fonsai, una condanna c’è già stata: dal mercato

Fonsai, una condanna c’è già stata: dal mercato

Il forte sospetto che abbia raggiunto un accordo occulto con Salvatore Ligresti è una ghigliottina sospesa sulla testa del banchiere Alberto Nagel. Se dimostrato, confermerebbe che l’amministratore delegato di Mediobanca non avrebbe esitato ad aggirare la legge e raggirare gli investitori pur di raggiungere l’obiettivo: in questo caso l’intervento di Unipol in Fondiaria Sai in regime di salvataggio e quindi senza obblighi di Opa.

Se dimostrato, appunto. L’arbitro del mercato, la Consob, è sotto la guida di un presidente, Giuseppe Vegas, che si è messo a tifare per le operazioni di sistema. In campo, però, c’è anche la Procura di Milano, e questo può sempre riservare colpi di scena. Ma le indagini giudiziarie viaggiano su tempi diversi da quelli della Borsa. Gli eventuali processi possono durare anni. E fino a sentenza definitiva Nagel resta un banchiere forse arrogante, forse spregiudicato, di sicuro imprudente e pasticcione, ma innocente.

Una condanna, però, il banchiere di Mediobanca e l’operazione di sistema che rischia di costargli la poltrona l’hanno già ricevuta. Anzi, una doppia condanna. Da parte di quell’aggregato anonimo di investitori che va sotto il nome collettivo di “mercato”. La prima condanna è nel clamoroso flop dell’aumento di capitale, che il mercato ha assorbito in percentuale notevolmente inferiore alle attese delle banche del consorzio di garanzia. La seconda è il crollo delle quotazioni di FonSai, che ha azzerato il valore del capitale pre-aumento. Due elementi che hanno un significato univoco: una bocciatura secca.

Il flop dell’aumento. L’aumento in opzione di 1,1 miliardi di euro era diviso fra è diviso fra azioni ordinarie (916,9 milioni di euro) e di risparmio di categoria B (181,8 milioni). Al termine dell’offerta, il primo di agosto, Fondiaria Sai ha fatto sapere che sono state sottoscritte il 68,273% delle azioni ordinarie e il 22,2% delle azioni di risparmio B. L’inoptato, ossia la parte dell’aumento che non è stata sottoscritta (432 milioni in totale), è stato giustificato con spiegazioni quali “il rischio Paese” e “lo spread”). La colpa, insomma, sarebbe dell’Italia. L’insuccesso, in realtà, è più ampio di quello mostrato dalle percentuali evidenziate dalla società, e va ben oltre l’effetto Paese. Se dall’ammontare complessivo della ricapitalizzazione (1,1 miliardi) si sottraggono le quote sottoscritte dagli azionisti che hanno il controllo o che hanno voluto l’operazione (400 milioni fra Unipol e Unicredit), si ha che la parte di aumento soggetta al vero e proprio rischio di mercato era di 698 milioni. E di questa il 61% non è stata assorbita dal mercato. L’imponente schieramento di banche di investimento, capitanato dalla banca che fu di Enrico Cuccia, non è bastato.

Quando la parola va agli investitori. Di fronte all’offerta, insomma, quasi due su tre dei vecchi azionisti hanno scelto di tenersi fuori. E a ben vedere. Per sottoscrivere 252 azioni ordinarie (al prezzo di 1 euro cadauna), in sede di aumento, occorreva sborsare 252 euro, previo esercizio di un diritto di opzione acquistabile sul mercato a prezzi crollati praticamente a zero. L’atteggiamento prevenuto degli investitori si è dimostrato più che giustificato. Dalla conclusione dell’offerta in opzione, le quotazioni delle azioni ordinarie FonSai sono rimaste sotto il prezzo di collocamento o al più allineate. E la minaccia di un inoptato massiccio mantiene gli investitori sul chi va là.

L’asta disertata. Il motivo del rinvio dell’asta dei diritti inoptati, al di là delle patetiche scuse veicolate da Mediobanca (genere: ferragosto, Borsa mia non ti conosco), è tutto qui: con le quotazioni sotto il prezzo di collocamento, l’asta andrebbe deserta. Perché pagare per un’opzione che ti dà diritto a comprare le azioni ordinarie FonSai a 1 euro, quando le stesse azioni le puoi comprare direttamente sul mercato a poco meno di 1 euro o giù di lì? In vista dell’asta dei diritti di opzione rinviata a fine agosto, sarà perciò interessante osservare se il titolo FonSai ritornerà sopra quota 1 euro, condizione necessaria perché la società possa racimolare qualcosa con la vendita all’asta dei diritti. E anche se il recupero avrà una sua giustificazione autonoma e indipendente da interventi di sostegno per risollevare i prezzi di Borsa. In caso di asta a vuoto, le banche del consorzio dovranno farsi carico della sottoscrizione di azioni ordinarie per circa 291 milioni di euro, mentre il gruppo Unipol dovrà rilevare le azioni di risparmio di categoria B per 141 milioni. Questo stock di titoli destinato a finire sul mercato rischia di essere una zavorra sulle quotazioni per diverso tempo, anche se le banche del consorzio si sono vincolate a non vendere per quattro mesi. Men che meno aiuta la prospettiva di una fusione a quattro (con la controllante Premafin, la controllata Milano e con Unipol Assicurazioni), che avrà ulteriori effetti diluitivi, anche per effetto di concambi non certo favorevoli. 

Valore azzerato. Gli effetti sono ancora più eclatanti se si guarda alla capitalizzazione. Incorporando l’effetto dell’aumento, al prezzo di 1 euro, FonSai capitalizza 920 milioni (azioni di risparmio escluse). Ossia circa 3,6 milioni in più dei 916 milioni entrati con l’aumento di capitale (escludendo sempre dal calcolo le azioni di risparmio). Dei circa 300-370 milioni che FonSai capitalizzava ancora pochi mesi fa, al netto dell’aumento restano quindi appena 3,6 milioni. L’amara conclusione è che si è praticamente azzerato il valore dei titoli in mano ai vecchi azionisti. Chi, ancora a maggio, aveva in mano azioni ordinarie per 3.000 euro si ritrova in mano un pugno di mosche: 30 euro. Il modo in cui è stato strutturato il salvataggio ha fatto un falò di quello che era sopravvissuto alla gestione Ligresti.

Twitter: @lorenzodilena

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