“Per ridurre gli avvocati la soluzione è il numero chiuso”

“Per ridurre gli avvocati la soluzione è il numero chiuso”

Troppi avvocati. Il problema è semplice da definire, ma difficile da risolvere. L’ultimo tentativo, adesso, sembra nelle mani del ministro della Giustizia Paola Severino. Sul suo tavolo sarebbe presente un disegno che tenti di prendere il problema dalle fonti, cioè dal corso di laurea. Triennale uguale per tutti, ma specialistica diversificata a seconda dello sbocco che si intende raggiungere. Magistratura, notariato o avvocatura. Una mossa che vorrebbe colpire il grande numero di avvocati italiani, e di ridurlo per il futuro. Anche incidendo su un fenomeno che, secondo il ministro, è grave, cioè la scelta dell’avvocatura come professione di ripiego.

I dati forniti dal Consiglio Nazionale Forense non danno un’impressione diversa. Il numero degli avvocati si aggira sui 234.000. A questi, vanno aggiunti anche 57.000 praticati. Una folla sterminata. In senso relativo, un quarto degli avvocati europei è italiano. Occorre metterci mano, ma l’ipotesi avanzata dal ministro, almeno per come è formulata adesso (è ancora allo stato di bozza) non sembra risolutiva. Di sicuro, ha incassato il parere contrario di Guido Alpa, presidente del Consiglio Nazionale Forense, che giudica l’idea una proposta vecchia già scartata. Non capisce, spiega al Corriere, come sia possibile che sia stata riesumata. 

Ma anche nel mondo dei professionisti l’entusiasmo non è alto. «Certo, il numero degli avvocati è altissimo. Che siamo in troppi, è senza dubbio», spiega a Linkiesta Laura Salvaneschi, avvocato e professoressa di procedura civile presso l’Università Statale degli Studi di Milano. «Ma non si capisce quale beneficio potrebbe dare una riforma di questo genere». Le critiche sono precise e calate nel concreto. «Se il triennio è uguale, in che modo si differenzia la specialistica? Non c’è una grande differenza tra le materie che serve conoscere per diventare avvocati e magistrati. Forse più per i notai, ma in generale non ci si distingue molto», spiega. È difficile stabilire, come primo punto, i programmi dei diversi corsi di studio.

La cosa rende anche «improbabile che uno che scelga un indirizzo non possa poi modificarlo, magari con un esame aggiuntivo». Del resto, considera, «il diritto civile è sempre il diritto civile, non cambia molto da indirizzo a indirizzo, no?». E poi, a livello statistico, «la maggior parte degli studenti vuole fare l’avvocato. Sono pochi che desiderano diventare notai. La figura del magistrato affascina molti, ma pochi intraprendono davvero quella carriera». Un po’ è anche perché le prime due figure richiedono una quantità di studio e lavoro maggiore, «senza dimenticare che per diventare avvocati serve un esame, per diventare magistrati, un concorso. Sono prove diverse».

Insomma, agire a livello di corso di laurea non serve. «No, non è detto», chiarisce. Ma il punto da toccare, sostiene, è un altro: «So che dicendo questo divento impopolare, ma non è da escludere che la vera selezione debba essere fatta prima, e non dopo». Cioè, all’ingresso nell’Università. «Con il numero chiuso, oppure con un altro provvedimento che permetta di mantenere alto il livello degli studenti». Questo, sostiene, «permetterebbe di evitare lo scollamento tra preparazione universitaria ed esami di categoria, oltre che con il mondo del lavoro». Insomma, selezione all’entrata e poi «esami più difficili. Anche questa è un’altra cosa che mi renderà impopolare, ma secondo me ci sono esami fondamentali che dovrebbero essere più duri. E serve a tutti».

Molti dei laureati raggiungono voti «tra l’80 e il 90, cioè molto bassi» e questo «abbassa il livello di tutta la professione». Al contrario, «a Milano c’è una concentrazione di avvocati altissima, che genera un fenomeno opposto: si trova un lavoro solo se si è usciti con la lode e si conoscano le lingue. Altrimenti, chi esce con un 100, che non è un votaccio, non riesce a posizionarsi». E anche questo, sostiene, non rende omogenea la categoria. Se allora l’intenzione del ministro è buona, i mezzi per perseguirla non convincono tutti. Anche se, va ricordato, si tratta ancora di una bozza.