Da quando esiste la Costituzione, esiste il dibattito degli esperti sulle sue interpretazioni. Discussioni non confinate al mondo accademico, ma che segnano, in realtà, gli snodi più delicati della vita politica (e non solo) italiana. Così è per la polemica sulla trattativa stato-mafia, e il problema delle intercettazioni, avvenute in modo casuale, del presidente della Repubblica. Napolitano ne ha chiesto la distruzione.
Le opinioni sul caso sono diverse: il momento politico è delicatissimo, ma anche la questione è complessa e importante. In ballo c’è anche tutto un modo di vedere la storia degli ultimi vent’anni. Un atteggiamento del genere potrebbe lasciar trapelare dubbi o, addirittura, sospetti. Meglio fugarli? Come spiega a Linkiesta il costituzionalista Valerio Onida, professore di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Milano ed ex presidente della Corte Costituzionale, Napolitano si è attenuto alla Costituzione e ha scelto di privilegiare la protezione della parola del presidente della Repubblica. Stando al dettato costituzionale, il presidente della Repubblica non può essere intercettato e non può essere incriminato se non per attentato alla Costituzione e alto tradimento. E restando
Il presidente della Repubblica, recita il testo della Costituzione, non è responsabile per gli atti commessi nell’esercizio delle sue funzioni. Ma cosa significa, nel concreto?
Qui il testo è chiaro: nel momento in cui esercita la sue funzioni, il Presidente gode di una immunità che è limitata solo da due ipotesi: l’alto tradimento e l’attentato alla Costituzione. Sono i due reati per i quali può essere incriminato. In questi casi l’accusa è di competenza del Parlamento, e il giudizio è di competenza della Corte costituzionale integrata.
Certo. Ma cosa si intende per “atti”?
Tutto ciò che viene compiuto dal presidente nel suo ruolo di presidente. Lettere ai ministri, messaggi alle Camere, firma di decreti, esternazioni compiute “nella qualità”, eccetera.
Anche l’attività di moral suasion?
Certo, anche quella.
Mentre il criterio della irresponsabilità non vale se il presidente non è nell’esercizio delle sue funzioni.
Proprio così.
E cosa succede, in concreto, se commette reati fuori dall’esercizio delle sue funzioni?
Questo la Costituzione non lo prevede, non ne parla. La Corte Costituzionale ha già affrontato il caso, con riguardo alla responsabilità civile. Si tratta del caso di Cossiga, chiamato in giudizio da due persone per dichiarazioni offensive nei loro confronti. La Corte costituzionale ha chiarito che per dichiarazioni estranee all’esercizio delle funzioni, il Presidente può essere chiamato a rispondere.
Ma questo apre a casi ancora più complicati. Pensiamo al penale.
Si tratta di una situazione che non si è mai verificata. Non ci sono precedenti. Ci si chiede se durante il mandato valga un principio di non procedibilità, come quello stabilito in Francia da una legge costituzionale a seguito del caso Chirac.
Appunto: e se i reati sono stati commessi prima dell’elezione a Presidente della Repubblica?
Anche qui vi è lo stesso problema. Se si afferma la improcedibilità temporanea per gli atti estranei all’esercizio delle funzioni, essa dovrebbe valere anche per i fatti anteriori all’assunzione del mandato.
E il Presidente della Repubblica può venire intercettato?
Anche qui, la norma non è chiarissima. Viene vietata, in modo esplicito, l’intercettazione del Presidente della Repubblica quando è indagato nei due casi sopracitati, cioè l’attentato alla Costituzione e l’alto tradimento. In quel caso, le intercettazioni possono essere compiute solo dopo l’eventuale sospensione del Presidente della Repubblica, disposta dalla Corte Costituzionale. Al di fuori di questo caso, si presume vi sia un divieto assoluto di intercettare il Presidente.
Anche nel caso di intercettazioni casuali?
Può capitare, come del resto è successo a Napolitano, che una conversazione telefonica del presidente della Repubblica sia registrata in occasione di intercettazioni legittimamente disposte nei confronti di suoi occasionali interlocutori.
E come ci si regola, allora?
Qui vi sono punti di vista diversi. Napolitano ha ritenuto che l’intercettazione debba essere distrutta subito e senza condizioni, e ha sollevato un conflitto di attribuzione di poteri perché la cosa non è avvenuta. Altrimenti, essa dovrebbe passare al vaglio del pm e del giudice, per decidere se le conversazioni contengano elementi rilevanti per quanto riguarda le indagini penali. Sulla questione ci sono punti di vista differenti.
E secondo lei?
È ragionevole, a mio avviso, il punto di vista del Presidente. Le spiego perché: il divieto assoluto di intercettazioni (mentre ad esempio nel caso dei parlamentari il divieto non è assoluto, perché l’intercettazione può essere disposta con l’autorizzazione della Camera di appartenenza) discende dalla necessità di proteggere la libertà e la segretezza delle comunicazioni del Presidente della Repubblica. Se le intercettazioni venissero vagliate in una “udienza-filtro”, le parole del Presidente diventerebbero conoscibili, visto che sarebbero note alle parti coinvolte nell’indagine. E quindi verrebbe meno la piena protezione della libertà e segretezza delle comunicazioni del Presidente.