SARNICO (BERGAMO) – È tornata la pace, a Sarnico. L’invasione di giornalisti è finita, e così la processione dei curiosi. Ora il paese di seimila anime (ma ben ventimila in estate, dicono) può tornare all’oziosa quiete della vita di lago – il lago d’Iseo, tra Bergamo e Brescia – degli ultimi giorni d’agosto (che la vedono svuotarsi di turisti e abitanti di seconde case). Il tran tran dell’estate è stato ristabilito, ma per farlo è stato necessario allontanare lo scomodo ospite: Renato Vallanzasca. Era finito laggiù perché seguiva un programma (segreto e anonimo) di reinserimento al lavoro. Il suo impiego era in un negozio di abbigliamento, il Lord, nel centro del paese, dove imparava a fare il commesso. E, a quanto dicono, era anche bravo. Però, a Sarnico, non poteva restare. «Una questione di incompatibilità ambientale», spiega a Linkiesta il sindaco Franco Dometti. Due parole che ha ripetuto fin dall’inizio, da quando è scoppiato il caso. «Vallanzasca si è reso responsabile di fatti di sangue, gravissimi, nella provincia di Bergamo, a Dalmine. E la moglie di uno dei poliziotti uccisi abita a pochi chilometri da qui», spiega. Una cosa che a molti, in paese, è apparsa insopportabile.
Eppure lavorava bene, dicono i suoi due colleghi al negozio. «Lui ha un grande carisma, è intelligentissimo, sapeva coinvolgere tutti, e vendeva molto. Sia ai grandi che ai piccoli», spiega Alex, uno dei due (intanto, la proprietaria, Fiore Testa, annuisce). Aveva scelto quel mestiere, quando è stato inserito nel programma di lavoro per detenuti, perché gli era familiare, visto che «sua madre aveva un negozio di abbigliamento, a Milano, in via Porpora». Parlare di lui significa, per i commessi, fare il ritratto di una persona «del tutto normale», tranquilla, pacifica. Feroce criminale? No. Almeno, non più. «Sapesse le risate», racconta Claudio, “il più bravo commesso del mondo”, se si vuol credere a quanto dicono le clienti. «Era anche molto serio», aggiunge. «Del resto, sono passati 40 anni, la gente cambia, le persone cambiano». Le colpe restano, però: Vallanzasca è detenuto a vita, per gli omicidi e le rapine. E insieme alle colpe, ci sono i ricordi. Vallanzasca invecchia, ma per tutti resta sempre Vallanzasca.
E così, lavorava sette ore al giorno. Dal carcere di Bollate a Sarnico doveva seguire un percorso stabilito, che faceva in pullman. «Quando si faceva tardi e doveva tornare a Milano, si metteva a correre. Sembrava un bambino», dicono entrambi. E se gli si chiede se avesse parlato degli anni “da bandito”, la risposta è unanime: mai. «Faccio un esempio. Una volta ho fatto una battuta. Qui vicino c’è una banca e ho detto: “andiamo a rapinarla”. Be’, non l’ha presa gran bene», scherza Alex. Però, normale o meno, era pur sempre Vallanzasca. E da quando è girata la voce (ed è finita sui giornali), una folla di curiosi e giornalisti si è assiepata davanti al negozio. «Un disastro». Si rompe la tranquillità: tutti i giorni, Vallanzasca era circondato, inseguito, osservato. «Doveva perfino nascondersi». Il negozio ha tolto l’insegna per evitare di essere riconosciuto da chi veniva da fuori. Il caso è arrivato a coinvolgere anche il ministero.
Maria Fiore Testa, la proprietaria del negozio, non ha resistito e ha deciso di mollare. Inviando un fax di licenziamento al carcere di Bollate («giusto due righe, senza motivazione»). Non ne poteva più di giornalisti, curiosi, poliziotti in borghese e in divisa intorno alle vetrine. E gli affari hanno cominciato ad andare male. «Prima che venisse Vallanzasca, l’incasso era di circa mille euro al giorno. Ora sono cento, se va bene». I fornitori e i clienti non hanno gradito la mossa. «Camicie da 69 euro adesso devono essere vendute a 29», dice, ripiegandone una. Altrimenti non vanno. E poi anche gli amici: Fiore «è stata cancellata da un invito a un matrimonio», da quando è girata la storia di Vallanzasca. A vederla, si vede che è provata. «Sono stanchissima», sorride. Solo la Chiesa del luogo li appoggiava, ma in silenzio. Renato era diventato una maledizione.
Eppure, il progetto di lavoro per detenuti non è certo una mostruosità. «Avevo fatto domanda perché il mio negozio fosse inserito in queste liste. Poi mi hanno fatto un colloquio, per stabilire se fossi idonea». Il detenuto, che il proprietario non conosce e non può scegliere prima, («è come un’adozione»), viene sul posto per imparare un lavoro, «in prova». Viene pagato come un commesso normale, «poco più di mille euro». Soldi che finiscono allo Stato, per pagare il suo mantenimento. Le agevolazioni per i negozianti che aderiscono, anche di tipo fiscale, non ci sono più. «Se lo faccio, è per volontariato», e non è la prima volta, visto che qualche anno prima Maria Fiore aveva lavorato per un centro per ciechi, a Bergamo. Ora, è da quasi un anno che ha rilevato il negozio, e ha pensato di aderire all’iniziativa. Ma il detenuto che le è stato affidato si è rivelato un caso troppo complicato. In ultima analisi, per il suo commercio, un danno. «Passate tra un mese: e vedrete che qui sarà tutto chiuso», dice Alex.
«Il territorio non era pronto», spiega il sindaco, infastidito, tra le altre cose, di non esser stato contattato prima che Vallanzasca fosse mandato a Sarnico. «Certo, il programma prevede segretezza, ma lui non è come gli altri». Un detenuto preceduto dalla sua fama e dai suoi delitti terribili, anche se compiuti trent’anni fa, richiede sempre una buona dose di cautela. «Sia per rispetto dei parenti delle vittime, sia per questioni di ordine pubblico», e indica, dalla finestra, la strada dove si assiepavano i curiosi. «L’avessero mandato qui a novembre, sarebbe stato più facile: ad agosto c’è il boom di turisti, e così il numero di persone che andava al negozio per curiosare aumentava. Certo, scoprirlo dai giornali non mi è piaciuto. Forse era il caso di avvertirmi prima». Ma, in tutta onestà, il sindaco di Sarnico lo avrebbe accettato, Vallanzasca, se fosse stato avvisato prima? «Non lo so», risponde. «Ma uno come lui, con gli ergastoli che ha, può essere recuperato alla società?»
Chissà. C’è da dire che Renato Vallanzasca, nelle sue nuove vesti da commesso, all’inizio si era confuso tra gli abitanti e i turisti di Sarnico. Un signore di 62 anni come altri, difficile da riconoscere. «È cambiato molto rispetto alle immagini storiche», dicono di lui in paese. Meno capelli di quando muoveva i primi passi negli ambienti criminali del Giambellino. «Non lo avevo riconosciuto: pensi che ho neanche visto il film su di lui», racconta da dietro il bancone la proprietaria del bar di via Vittorio Veneto. «È un signore molto simpatico», dice. «Di solito veniva qui a mangiare un ghiacciolo al limone». Ma non a pranzo. Vallanzasca a pranzo «ci andava con i colleghi, come tutti gli altri. Più giù, verso il lungolago».
La sua normalità, però, è durata poco più di due settimane. Qualcuno «ha avuto l’occhio più lungo, ha cercato le foto recenti su Internet e ha scoperto chi era», racconta. Ma l’afflusso di curiosi a lei, non ha fatto un gran danno: «Per noi è stato solo lavoro in più», scherza, nel suo primo giorno del dopo-Vallanzasca, «Venivano qui a prendere il caffè e a fare due chiacchiere». Poi torna seria e, senza saperlo, ripete le parole del sindaco: «Questi programmi di reinserimento li possono fare quelli che hanno una pena di pochi anni, non chi ha quattro ergastoli da scontare come lui. Cosa vuoi recuperare?».
La strada che costeggia il lago d’Iseo
Vista dal lungolago di Sarnico
In questa cornice da cartolina, tra le montagne bergamasche e l’acqua piatta del lago di Iseo, l’arrivo di Renato Vallanzasca è stato «come una bomba a orologeria». Se si va sul lungolago, tra le siepi appena potate e le piante fiorite, all’ora di pranzo non c’è quasi nessuno. Nel silenzio, le tapparelle colorate delle seconde case di milanesi e bergamaschi sono quasi tutte abbassate. Qualcuno dà da mangiare ai cigni. Qualcun altro sistema le barche ormeggiate al porticciolo. Molti bar sono chiusi. Un signore in costume sta passando l’aspirapolvere tra i tavoli bianchi del suo locale. «Vallanzasca non l’ho visto», dice, «non poteva arrivare fin qui». Nei giorni scorsi, «c’è stata molta confusione, c’era gente che veniva apposta da fuori con la macchina fotografica solo per vederlo». E poi aggiunge: «È giusto che se ne sia andato, qui vicino abita il cugino di uno degli agenti che ha ucciso».
E così si scopre che Vallanzasca, a Sarnico, non lo voleva nessuno. Lo conferma anche uno degli ultimi vacanzieri abbronzati rimasti in paese. «Ah sì? L’hanno licenziato?», chiede mentre lega il suo scafo al pontile. «Finalmente. Se ne doveva andare. Dobbiamo smetterla di mantenere gente come lui». E aggiunge: «Sì, l’ho visto, sono andato anch’io vicino al negozio dove lavorava». Il parere di turisti e sarnichesi è unanime: l’antico nemico di Francis Turatello da Sarnico doveva andarsene.
«E adesso? Dopo Renato Vallanzasca e George Clooney, ora ci manderanno pure Totò Riina?», dice una delle clienti di un bar, confondendo celebrità e celebrità. Ma c’è chi è più duro. «Perché dobbiamo pagargli l’ergastolo? Una cartuccia costa molto di meno, no?». Cinquanta centesimi, precisa. «Ma anche se fosse cento euro, sarebbe comunque più vantaggioso» continua. «L’hanno mandato a fare il commesso in un bel negozio con l’aria condizionata. Perché invece non l’hanno spedito a spaccare pietre o a lavorare nelle fogne?», si chiede la proprietaria di uno dei pochi bar rimasti aperti. «Invece di far lavorare i giovani disoccupati, fanno lavorare i detenuti», le risponde una delle cameriere tra i tavoli.
La polemica tocca più livelli. Prima i parenti delle vittime, il territorio, la confusione provocata dai curiosi. Poi i disoccupati che si vedono scippare il lavoro dai criminali. «Guardi che se ci pensa, a me conviene di più andare dentro – continua il barista della pallottola – Cosa ci perdo? Lì avrei tutto: cibo, letto, donne ogni tanto. Qui devo sgobbare tutto il giorno. Chi è il condannato? Io o lui?»
Sui giovani disoccupati, Fiore respinge ogni accusa. Lei, a far lavorare i giovani di Sarnico nel suo negozio, ci aveva provato. «Ma c’era chi non voleva lavorare nel fine settimana, o chi chiedeva di fare solo alcuni orari», racconta. E alla fine, «lo sa quanti anni ha la commessa che ho dovuto assumere perché non aveva troppe pretese? Settantadue!». Sull’onda, si inserisce anche Alex: «Proviamo a mettere un cartello “cercasi personale” e vediamo quanti giovani si presenteranno qui a fare il commesso. Nessuno. È come in Franciacorta, senza i lavoratori africani l’uva sarebbe andata tutta a male», spiega.
Ma questi sono altri problemi, altre storie, anche lontane. Ora, a Sarnico, si dovrà tornare alla vita di tutti i giorni, con la quiete da ripristinare, e con i conti da pagare. Qualcuno, anche non i suoi. Non c’è più Vallanzasca, e agosto è alla fine. Sulla calma del lago, la pace è tornata.