«Nel 2006 parlammo di ricchezza e povertà, oggi parliamo di mobilità sociale». Comincia con queste parole il Festival dell’Economia di Trento 2015, giunto ormai alla sua decima edizione. A pronunciarle è Tito Boeri – direttore scientifico del Festival e dal 10 febbraio di quest’anno presidente dell’Inps su indicazione del Consiglio dei Ministri – al cospetto delle massime autorità politiche trentine: Ugo Rossi, presidente della Provincia Autonoma e Alessandro Andreatta, sindaco della città rieletto il 10 maggio che apre le danze ringraziando i media «che grazie ai loro riflettori ci hanno permesso di crescere» e «il popolo dello scoiattolo» – ormai celebre espressione per indicare i partecipanti al Festival.
Non tutti sono d’accordo: un gruppo di lavoratori dell’Usb (Unione Sindacale di Base) si è accampato fuori dal Palazzo della Provincia di Trento con striscioni polemici contro il Festival e contro Boeri. «Questo non è un Festival dove si vuole realmente risolvere i problemi, è una kermesse dove non si fa mai un bilancio di quali scelte hanno portato a quali conseguenze. Le disuguaglianze sono figlie dell’austerità e loro continuano a dirci che bisogna proseguire con le soluzioni della Troika».
Intervistato da Linkiesta, uno dei delegati sindacali ha chiesto «più attenzione ai problemi locali della Regione». In Trentino, sebbene la situazione sia più rosea che in altre regioni d’Italia, si sono persi pezzi importanti di industria, a cominciare dalla chiusura dello stabilimento Whirpool di Gardolo. Il delegato ha contestato l’uso del «lavoro volontario» al Festival (soprattutto da parte di studenti universitari) sulla scorta delle polemiche che da mesi inseguono l’organizzazione di ExpoMilano 2015, e ha invitato il Presidente dell’Inps Tito Boeri a revocare la campagna La Mia Pensione dove i giovani possono simulare le proprie pensioni future, spesso magre e risicate, e sarebbero quindi incentivati a sottoscrivere forme di previdenza complementare con istituti privati. «Come se Assicurazioni Generali facesse pubblicità ad Unipol», dice, visto che l’Inps è un ente pubblico e che con gli istituti previdenziali privati sarebbe teoricamente in concorrenza.
«Sono dieci anni che si pratica l’austerità, prendete atto del fatto che la povertà è aumentata, le disuguaglianze sono aumentate, è sparita base industriale e che l’autoritarismo di certe ricette economiche mette in seria discussione la democrazia», prosegue il delegato Usb.
Ed è curioso che contestato e contestatori, alla fine, la pensino quasi allo stesso modo: «L’assenza di mobilità sociale – dice Boeri – è sinonimo di disuguaglianza delle opportunità». Negli ultimi anni, spiega il presidente dell’Inps, diminuiscono le disuguaglianze fra nazioni, mentre aumentano quelle interne ai confini dei singoli Stati – solo in Italia la crisi ha tranciato del 30% i redditi del 10% più povero della popolazione, mentre nelle fasce più alte l’impatto negativo è stato “solo” del 5%. La forbice si è allargata.
Discorso analogo per l’Europa, o meglio l’Eurozona, dove si è assistito inermi alla crescita di squilibri regionali (per esempio i dati relativi alla disoccupazione fra la Germania e la Grecia o la Spagna) che in molti casi toccano il rapporto di 1 a 5. «Un’unione monetaria non può resistere a divari di questa portata», sostiene Boeri, che rivendica di aver portato a Trento dal 2006 ad oggi molti “economisti critici”, a cominciare dai Nobel Paul Krugman, editorialista del New York Times. Krugman chiuderà il Festival martedì alle 16 al Teatro Sociale con un incontro dedicato a un quesito chiave: “Esiste davvero una contrapposizione tra efficienza ed equità?”.
«Riuscite a immaginarvi una persona che per sessant’anni non riceve aumenti?»
Oltre a lui, c’è soprattutto Joseph E. Stiglitz – premio Nobel per l’economia nel 2001 per i suoi studi sulle asimmetrie informative e nome che nel panorama della discussione economica scalda i cuori e gli umori. Stiglitz è protagonista, assieme al padrone di casa Boeri che lo introduce citando un sondaggio secondo cui sarebbe «il quarto economista più influente di sempre nel mondo», dell’incontro “La grande frattura: nuove prospettive sulla disuguaglianza e su come ridurla” all’Auditorium S. Chiara, uno dei centri nevralgici dell’intero Festival.
Stiglitz comincia dal principio e dalla sua terra, gli Stati Uniti: «Parlo di disuguaglianza e la studio perché sono nato nell’Indiana: nella mia città si produceva l’acciaio e so cosa significa assistere al processo di de-industrializzazione di un Paese, o anche solo di una sua porzione».
«Vi voglio parlare di quali sono le cause e le manifestazioni delle disuguaglianze». Continua a usare il plurale Stiglitz, perché «la disuguaglianza economica è una sola, ma in America le più gravi riguardano quelle della salute», le persone povere in assenza di un servizio sanitario nazionale e che, anche dopo l’Obamacare, godono di un’aspettativa di vita di anni inferiore rispetto a persone con redditi elevati; e «le disuguaglianze della giustizia: quando i nostri ragazzi vanno a scuola giurano sulla bandiera e sulla giustizia incarnata dalla Costituzione, ma io farei aggiungere la frase: per chi se la può permettere».
I salari reali minimi negli Usa, ponderati per l’inflazione, sono più bassi di quanto fossero 60 anni fa, rimasti inchiodati al palo: «Riuscite a immaginarvi una persona che per sessant’anni non riceve aumenti?». Il sogno americano è una bugia, afferma Stiglitz: «c’è sicuramente chi riesce a scalare la piramide sociale ma – secondo il Nobel – la disciplina economica deve occuparsi di statistiche e probabilità, non di aneddotica».
Nelle classifiche sulla disparità di reddito all’interno dei Paesi industrializzati, gli Usa svettano davanti al Regno Unito. Sul terzo gradino del podio l’Italia.
Sciorina dati e grafici, Stiglitz dal palco del S.Chiara di Trento: il paese con la minor disuguaglianza – la Danimarca – è anche il Paese con la più alta mobilità sociale, c’è una correlazione che impone di studiarle assieme.
E non risparmia accuse all’amministrazione Obama e alla Federal Reserve: per Stiglitz, il Quantitative easing della Fed si basava su presupposti sbagliati, riassumibili nella frase: “Diamo un sacco di soldi alle banche e speriamo che li prestino ai nostri lavoratori sottopagati”. «Non poteva funzionare, sul lungo periodo, e infatti i dati parziali sulla crescita del Pil mostrano nell’ultimo trimestre il ritorno del segno meno».
L’economista americano non usa mezze misure nemmeno per parlare della Banca centrale europea: «l’istituto guidato da Mario Draghi è governato da logiche e principi che andavano molto di moda negli anni ‘80 e ‘90 ma che adesso sono posizioni anti-storiche».
Il professore di Yale e Mit sveste i panni dell’economista critico solo per complimentarsi con il suo collega francese Thomas Piketty, autore del best- seller Il Capitale nel XXI secolo, con il quale tuttavia non condivide l’orizzonte destinale: «La disuguaglianze non sono destinate a crescere per sempre, abbiamo i mezzi, gli strumenti e le conoscenze per bloccare questo fenomeno. Il problema reale non è né il capitalismo né il capitale XXI secolo. Il problema è la politica, la democrazia nel XXI secolo».