Il Fronte sarà nazionale, ma le alleanze le cerca fuori. Così si spiega la visita in Italia di Marion Maréchal Le Pen, vicepresidente del Front National. Prima a Roma, poi a Milano, dove ha incontrato il gruppo della Lega in Regione, ha pranzato con i leader del Carroccio, ha elogiato la Regione Lombardia per la sua legge sulla famiglia naturale, e ha infine evidenziato i “punti di contatto” con il partito guidato da Salvini. L’applauso del pubblico però è arrivato al termine della sua tournée, al Palazzo delle Stelline, dove ha presenziato al convegno “Milano capitale delle identità”. Insieme a lei lo stesso Salvini, Vincenzo Sofo e un redivivo ma taciturno Davide Boni.
«Noi siamo i soli che abbiamo il coraggio di dire la verità», dice la giovane Le Pen. Tutti approvano. L’ospite francese è più che il benvenuto per la nuova Lega di Salvini. Sofo, da bravo cavaliere, dopo una citazione di Plutarco sulle virtù degli Spartani, le lascia la parola: «Del resto, siamo un popolo latino», ammicca. Ma come: non erano celti? Marion non sembra apprezzare molto ma sorvola: i problemi sono altri. C’è la società multiculturale che si traduce in società multiconflittuale, l’Europa che crolla, la sovranità in discussione. «Ci fanno dimenticare chi siamo, la nostra storia, le nostre tradizioni. Sono amnesie volute dalle élite. Ora sappiamo solo cosa non siamo. E di sicuro, non siamo terra di Islam». Applausi. Salvini approva. Il problema è l’Europa, spiega. «Lo diceva già Umberto Bossi». E appena nomina il senatùr, crolla la bandiera appesa al tavolo. Del resto, questa nuova è una Lega “di popoli latini”.
Il dialogo, che è poi una serie di monologhi, prosegue spedito. No alla Turchia, «che non è mai stata, non è e non sarà mai Europa», no alla Bolkenstein, no al TTIP, no al Jobs Act e alle politiche del lavoro tedesche. Sì, invece, «all’agricoltura italiana, alla pesca italiana». Poi ancora no: stavolta all’Onu, «carrozzone schiavista che ci costa 15 miliardi all’anno, con 65mila dipendenti». Un consiglio, «mandateci i vostri i figli a lavorare, li sistemate». No alle accuse di razzismo, di sessismo, di omofobia che «ci piovono addosso, a me a Marion, ogni giorno». Sì, invece alla solidarietà. Ma come? «La Lega e il Front National sono per la solidarietà – mi piace fare incursioni nel campo degli avversari – ma attenzione: senza sicurezza economica e sociale non si può avere solidarietà». Altri applausi.
Alla fine, la battaglia vera è culturale. Marion spiega che i media «ci stanno facendo accettare l’inaccettabile, perché il primo combattimento è semantico. È una questione di parole: la politica le utilizza, le cambia, le rivolta contro il loro significato, da lì discende un cambiamento culturale». Per questo, «dobbiamo fare una resistenza». Parola azzeccatissima. «dicono migrants? No, sono clandestins». E poi: «non dicono più delinquente, ma giovane noto alle forze di polizia». E «noi non siamo un partito sovranista, ma eurofobo. Così con queste parole ci fanno passare come pazzi, irrazionali». Le parole sono importanti. Lo sa anche Salvini, che rilancia: «Ormai non ci sono più immigrati, sono tutti rifugiati. E i centri di espulsione ora si chiamano hotspot». Insomma, bisogna lottare anche su questo piano. Contro «la giornata nazionale dell’accoglienza, il 3 ottobre» – fischi in sala. «Contro quanti cercano di convincerci di quanto sia bella l’immigrazione» – altri fischi. Contro Renzi, «di cui ho appena finito il libro», come sa chiunque legga Oggi, e contro Pisapia, «di cui ho appena cominciato a leggerlo». Non «perché io sia un intellettuale» – ultimi fischi. Ma «perché il nemico va conosciuto». Nuovi applausi
Ora però, la coalizione è grande. C’è la Lega, il Front National, l’Alternative fur Deutscheland, «che è composto da professori e che i giornali dipingono come nazisti». Tutti uniti per una nuova Europa, anche nella cultura. «Ad esempio, l’arte», dice Marion Le Pen, «in Francia mi hanno attaccata perché ho criticato la sovvenzione di una mostra che esibiva materiale pedopornografico e satanista». Quella «era un’arte che vuole rompere gli schemi. Noi siamo per qualcosa di diverso, un’arte nazionale, per tutti, che non sia la contemplazione di un paio di puntini rossi che nessuno capisce davvero». Cioè «noi vogliamo valorizzare ciò che amiamo, cioè il buono e il bello». Kaloi kai agathoi. Belli e buoni. Altro che Plutarco: questa è Sparta.